Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  febbraio 02 Giovedì calendario

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 18. Il camper della Mussolini Tra le cento maniere di rovinarsi la salute, assolutamente da evitare gli attacchi di bile e l’abuso di cappuccini

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 18. Il camper della Mussolini Tra le cento maniere di rovinarsi la salute, assolutamente da evitare gli attacchi di bile e l’abuso di cappuccini. Nel caso della Mussolini, le due cose insieme hanno trasformato un banale camper da scampagnata fuori porta nella gabbia di un’indemoniata, che per quasi cinque giorni ha inveito, comiziato e bestemmiato in una lingua politicamente sconosciuta, qua e là impreziosita da pezzi di autentica bravura alla Nannarella. Esorcisti laici e non si sono alternati dentro e fuori quel camper per ammansire la facinorosa, ora in deliquio sul canapè, ora minacciosamente affacciata all’oblò della sua tana semovente. La furia, i lampi, la mimica roteante della pupilla, nulla da invidiare allo stile di nonno Benito affacciato al balcone di piazza Venezia. Appena stemperata al quinto giorno di digiuno, per via delle fauci secche, i languori e le prime visioni mistiche che, in dissolvenza incrociata, alternavano lo spettro di Capezzone alle cofane di amatriciana offerte da condomini pietosi, folle adoranti o sbertuccianti che passavano al fianco della fascinosa camperista, cantando a squarciagola «Giovinezza, Giovinezza, Primavera di Bellezza» e le telefonate al fronte di zia Sophia che, da Parigi o da Los Angeles, le trasferiva la solidarietà di tutta la California progressista contro lo Schwarzenegger di Cassino, quel lottatore di wrestling del Governatore Storace, trapunto dagli spilloni della Mussolini. Per placare la belva in gabbia, indisponibili lo stesso Storace o Jannacci, quello che vuole il bis di piazzale Loreto, le hanno dato in pasto ogni giorno uno diverso, un giornalista incauto, un kamikaze di An, andati e mandati a schiantarsi contro quel treno in corsa a narici fumanti. Nelle incisioni del Cinquecento i peccati capitali hanno la faccia di Belzebù. Checché ne dica Eraclito, la collera è uno di quei lussi che non ti puoi permettere, a meno che tu non sia Gandhi o la moglie mormone di un marine psicopatico. Per ritrovare la furia distruttiva di Alessandra, quando si abbatte sull’incolpevole telefonino che le annuncia la sentenza del Tar, bisogna risalire a certi demoni aztechi, a certi pitbull quando il postino puzza di piscio di gatto, a certo Hemingway armato, a certe Oriane Fallaci curve sulla tastiera, al tremante Tremonti che telefona a Saccà, furibondo per l’imitazione della Guzzanti. Forse all’ultimo Moravia. Un incazzoso vero. Che quella volta in un accesso di collera si fa arrostire e servire a tavola il merlo di casa. Sempre meglio del cane di Mentana che, invece di addentare il padrone, si mangia i suoi calzini e muore stecchito. Alla funesta ira di certo Emilio Fede dal lager redazionale di Milano Due, al Fabrizio Del Noce che spacca il setto nasale a Staffelli a colpi di tapiro. E poteva andare peggio se, invece del tapiro, si fosse ritrovato per le mani un machete, come quel bracciante nigeriano che ha fatto a pezzi la datrice di lavoro prima di cucinarla nel brodo di zuppa. Al Mike Tyson che smontava donne, pugili e camere d’albergo, senza distinguere le une dagli altri, la stessa cieca rabbia dello scimpanzè che, dopo due anni di astinenza sessuale, ha demolito lo zoo di Rostov. Giancarlo Dotto