Anais Ginori la Repubblica, 19/03/2005, 19 marzo 2005
Cosa direbbero le donne dell’Islam, se potessero parlare, la Repubblica, sabato 19 marzo 2005 «Vado avanti perché Theo Van Gogh avrebbe voluto così
Cosa direbbero le donne dell’Islam, se potessero parlare, la Repubblica, sabato 19 marzo 2005 «Vado avanti perché Theo Van Gogh avrebbe voluto così. Lo faccio per lui, per vendicare il suo assassinio e perché non voglio cedere alle minacce dei terroristi». Ayaan Hirsi Ali è molto bella. Ha grandi occhi neri, una treccia raccolta le incorona l’ovale del viso. Alta, esile, voce di velluto, gesticola in continuazione. L’aspetto gentile contrasta con i suoi propositi, sembra accecata dalla volontà di salvare tutte le musulmane da quella che definisce la «gabbia delle vergini». una donna sola e braccata. Vive in una località segreta, è seguita a vista da guardie del corpo. La sua condanna a morte è stata annunciata nella lettera che un giovane fondamentalista islamico ha lasciato conficcata nel corpo di Theo Van Gogh, ucciso lo scorso 2 novembre. «La prossima sei tu». Era lei il vero bersaglio. Insieme al pronipote del pittore olandese, Hirsi Ali ha infatti scritto e realizzato Submission, film-denuncia sulle violenze che le musulmane subiscono in nome del Corano. Nelle immagini, cinque donne nude si rivolgono ad Allah e raccontano abusi fisici e sessuali compiuti da mariti, padri, fratelli. Sulla pelle hanno tatuati dei versetti. Quegli 11 minuti «blasfemi» sono costati la vita a Theo Van Gogh e hanno provocato una fatwa contro la sceneggiatrice. «Finché sarò viva continuerò a dire quel che penso. Ho già pronto il nuovo film, Submission parte II. Stavolta parlerò dell’oppressione della religione sull’individuo». in fuga da quando è bambina. Suo padre è stato costretto a fuggire dalla Somalia durante il regime di Siad Barre. cresciuta in esilio, tra Etiopia, Arabia Saudita, Kenya. A 22 anni è scappata di nuovo, rifiutando di sposare uno sconosciuto cui era stata promessa. Dall’Olanda è stata adottata: ha studiato, lavorato come interprete. Poi l’approdo alla politica: prima nel partito socialdemocratico, ora in quello liberale. Il 12 aprile Einaudi pubblicherà il suo libro Non sottomessa, che rischia di essere esplosivo almeno quanto il film. Riuscire ad incontrarla è una corsa ad ostacoli. Un manipolo di assistenti e segretarie filtra ogni richiesta, lei si sente sicura soltanto in Parlamento. Riceve in una stanzetta vuota. Dopo essere stati perquisiti, ci si può avvicinare, lasciando fuori borsa e cappotto. L’assassino di Theo Van Gogh è in prigione. Ma la polizia ha arrestato altre persone sospettate di volerla uccidere. Come affronta la paura? «Ci convivo e basta. Il 2 novembre la mia vita è cambiata. stato molto difficile adattarmi alle rigide misure di sicurezza, sono stata costretta a vivere in una base militare». Eppure vuole andare avanti. «Certo. Mai potrei arretrare di fronte alle intimidazioni». E sta preparando un altro film che alimenterà le polemiche. Alcuni esponenti islamici hanno già presentato ricorso in tribunale per bloccarlo. «Il ricorso è stato respinto. Esprimere le proprie opinioni con immagini e parole per fortuna è lecito». Ammetterà che lei esprime opinioni piuttosto violente. Ne cito una: «L’Islam è una religione misogina». «Riconosco che ci sono lati positivi nella nostra religione, come la pietà, la solidarietà. Ma per quanto riguarda le donne, in nome dell’Islam vengono tramandate pratiche crudeli e terribili. La donna è proprietà dell’uomo, padre o marito: deve arrivare vergine al matrimonio, cresce segregata in casa, non viene mandata a scuola. Una volta sposata, se viene picchiata o stuprata non ha scappatoie». Secondo lei «il Profeta Maometto è stato un pervertito». «Se un uomo oggi sposa una bambina di 9 anni va in prigione. Questo ha fatto il Profeta nel VII secolo. Voglio soltanto far capire che non si può cercare in quell’esistenza avvenuta in epoca premoderna un modello di vita per la società attuale». Chi sarà il regista del suo prossimo film? «Non posso rivelarlo. Sarà anonimo, come tutto il cast. L’unico nome che leggerete sarà sempre e soltanto il mio». Quando ha conosciuto il regista Van Gogh? «Una sera a cena con amici, nel maggio 2003. Un anno dopo mi chiama al cellulare. Stavo a New York. ”Ayaan dobbiamo fare qualcosa insieme contro questi fondamentalisti”, mi dice. Si era molto arrabbiato vedendo un predicatore alla tv. ”Quando torno in Olanda ti chiamo”. Così iniziò Submission». Lei scrisse il film? «In realtà era un progetto nel cassetto. Quando l’ho raccontato a Theo si è entusiasmato». Si è mai pentita di aver fatto quel film? «Ho molti sensi di colpa. Chi non li avrebbe? Theo è stato ucciso in un modo orrendo, porterò per sempre questo fardello». Il 2 novembre è cambiata anche la vita della pacifica e tollerante Olanda. «Siamo chiari: il nostro è e rimane un grande paese democratico. Abbiamo soltanto perso l’innocenza. Ci siamo resi conto che l’integrazione di culture diverse rispetto a quella occidentale ha un costo». Lei ha chiesto misure severe per fare rispettare i diritti umani alle comunità musulmane. «Non ho niente contro la religione in quanto fonte di consolazione. Rifiuto invece la religione come regola di vita e di morale». Non teme che i suoi argomenti portino a una deriva islamofoba? «Chiedo solo al mondo musulmano di fare un po’ di autocritica. Anche nella Bibbia o nel Talmud ci sono testi non favorevoli alla donna, ma cristiani ed ebrei hanno potuto criticarli». Perché ha abbandonato il partito socialdemocratico? «Non sopportavo più il relativismo culturale di certi progressisti laici che vogliono mettere tutti sullo stesso piano». un principio di tolleranza. «Soltanto se viene bandita ogni forma di intolleranza. Andate a chiedere alle musulmane maltrattate cosa preferiscono». Alcune donne in Occidente scelgono liberamente di portare il velo per onorare la loro fede. «Finché decidono in libertà va bene. Ma ci sono migliaia di donne che non hanno scelta». Lei si batte in particolare contro le mutilazioni genitali, di cui è stata vittima. «Mio padre era contrario. Mia nonna circoncise me e mia sorella di nascosto. un’usanza che non c’entra col Corano ma se le massime autorità religiose prendessero veramente posizione contro l’infibulazione scomparirebbe». Ha mai portato il velo? «Quando ero adolescente. Poi mi sono innamorata e ho capito che sarei stata costretta a mentire». Perché ha abbandonato la sua religione? «L’11 settembre 2001, vedendo quelle immagini. Ho sentito il proclama di Osama bin Laden. E ho pensato ”non è possibile!”. Sono andata a prendere il Corano, bin Laden citava veramente passi del nostro testo sacro. Il rifiuto è stato naturale». Crede che possa esserci un Islam moderato? «Le società islamiche si trovano a dover affrontare gli stessi problemi della cristianità prima dell’illuminismo. La mia speranza ripone innanzittutto sui 15 milioni di musulmani che vivono in Occidente: tra loro ci potrebbe essere un Voltaire islamico». Pensa di avere prima o poi una famiglia? «Prendo la vita giorno per giorno, non mi faccio troppe domande sul futuro. Se ci pensassi dovrei deprimermi e francamente, in questo momento, preferisco essere arrabbiata». Anais Ginori