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 2005  gennaio 15 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 21 MARZO 2005

Ma alla Banca mondiale temono il falco o l’idealista?
Il 2005 potrebbe essere un anno importantissimo per la lotta alla povertà. Purtroppo, un paio d’ostacoli sembrano rallentare le iniziative di cooperazione. Danilo Taino: «I governi, infatti, a breve devono nominare i vertici di due istituzioni che stanno al cuore delle politiche di sviluppo: la Banca Mondiale e la Wto, Organizzazione mondiale del commercio. Il rischio, piuttosto alto, è che si imbocchi una strada di mercanteggiamenti, di scontri, di litigi - come è successo nelle occasioni simili più recenti - che impedisca a queste organizzazioni di funzionare. James Wolfensohn, uno che non piace a George Bush, non si ricandiderà per un terzo mandato quinquennale alla presidenza della Banca Mondiale, l’istituzione di Washington che ogni anno finanzia lo sviluppo dei Paesi più poveri con una ventina di miliardi di dollari (una quindicina in euro). Tradizionalmente, il posto va a un americano, dal momento che la guida dell’organizzazione gemella, il Fondo monetario internazionale (Fmi), va a un europeo». [1]

La Banca Mondiale è un’agenzia Onu nata nel 1944. [2] Vittorio Zucconi: «Con diecimila dipendenti, rivaleggia con il Pentagono nel numero di impiegati ed esperti e la sua nobile missione, finanziare quei progetti di infrastrutture in nazioni povere che il capitale privato evita, da anni viene attaccata da economisti ed esperti come una semplice estensione ideologica del capitalismo americano in Paesi che devono accettare violente terapie monetariste e diktat finanziari per ottenere la carità di qualche aiuto». [3] Guglielmo Ragozzino: «Della Banca mondiale si dice spesso che non è democratica. ”Infatti non si basa sul principio di un paese un voto, ma sul sistema un dollaro un voto”. Di questo si parla in India, un paese che detiene il 2,55 per cento dei voti, con una popolazione che raggiunge il 20 per cento dell’umanità. Anche la Cina ha il 2,55 per cento dei voti, con una popolazione ancora superiore. I voti pesanti sono degli Usa (19,63), del Giappone (9,43) di tre paesi europei Germania, Regno Unito e Francia, (con rispettivamente 7,29, 6,99, 4,76 per cento). Per dirla altrimenti, gli europei, insieme, equivalgono agli Usa; i paesi più ricchi, tutti insieme, superano il 48 per cento, dieci volte i voti di Cina più India. Per le decisioni maggiori occorre l’85 per cento dei voti, e ciò significa che sia gli Usa sia i tre europei hanno un diritto di veto». [4]

Nel 2004 la Banca Mondiale ha finanziato 245 progetti. [2] Gianni Riotta: «I pastori del villaggio di Ait Igda, sulle montagne del Marocco, dovevano affrontare due ore di marcia su un’ardua mulattiera per vendere il latte delle loro greggi. Ora una strada permette l’accesso al mercato locale in 15 minuti. A Sambaida, nelle lande povere del Nordest brasiliano, un mulino macina i 35 sacchi di farina che bastano a strappare alla miseria un’intera famiglia. Sono progetti che non si sarebbero mai realizzati senza i 15 miliardi di euro elargiti ogni anno dalla Banca Mondiale. Uno sportello così importante, che basta la nomina dell’ex viceministro della Difesa Usa Paul Wolfowitz a nuovo presidente per scatenare una ridda di reazioni. Da chi denuncia il golpe di Bush, che impone alla World Bank un consigliere falco, capace di sbagliare la valutazione sulle truppe necessarie a pacificare l’Iraq e di sperare, troppo presto, nei profitti del petrolio, a chi invece auspica urgenti riforme per la bulimica burocrazia della Banca». [5]

La Banca Mondiale, si dice, vizia i Paesi poveri con prestiti troppo generosi. E poco selettivi. Riotta: «Già nel 2000, il ”Rapporto Meltzer”, redatto tra gli altri dall’economista progressista Jeffrey Sachs, osservava che il 59 per cento dei progetti della Banca non va a buon fine: se la società civile dei Paesi poveri non è abbastanza forte per assorbirli, i finanziamenti si disperdono nella corruzione e nel clientelismo. Studiosi come P. T. Bauer e saggisti come Sebastian Mallaby concludono che i piani della Banca prosperano se intrecciati agli investimenti tradizionali (di cui rappresentano solo il 2 per cento), liberi dalla speculazione politica delle oligarchie e capaci di incoraggiare una classe dirigente autonoma». [5] Naomi Klein: «Gli interventi della Banca Mondiale, condizionando le produzioni nazionali non per favorire i bisogni locali ma secondo l’interesse delle corporazioni internazionali, hanno lasciato inalterato lo stato di povertà dei paesi sottosviluppati. La visione dell’economia secondo Wolfowitz peggiorerà le cose, economia e guerra per lui sono un binomio perfetto». [6]

La Banca Mondiale non è mai stata un’istituzione democratica. Ma negli anni 90 è stata attraversata da un’ondata di critica interna. Marina Forti: «Tutto era cominciato con le dighe sul fiume Narmada, in India: spinta dalle proteste delle popolazioni indiane sfollate e dall’indignazione internazionale, nel ’92 la Banca aveva incaricato una commissione indipendente di rivedere quel progetto. Il risultato andò ben oltre la bocciatura del progetto Narmada (da cui infatti la Banca si è ritirata): quella commissione segnò una sorta di terremoto interno che ha avviato due meccanismi permanenti - il Comitato d’ispezione (che riesamina i progetti di sviluppo finanziati) e una serie di meccanismi di verifica interni. L’attuale presidente James Wolfensohn aveva esordito in quel clima, nel 1995». [7]

Molti Paesi si sentono minacciati dall’arrivo di Wolfowitz. Klein: «Intanto l’Africa, il Ciad ad esempio è già in pessime condizioni. Ma anche l’America latina. Ci sono paesi con movimenti sociali forti, con governi di centrosinistra che stanno rigettando il neo-liberismo. Il grido ”se ne vadano tutti” si espande dall’Argentina alla Bolivia, vediamo i cambiamenti in Uruguay. Che non piacciono al governo di Bush, che ha già minacciato il Venezuela di Chavez, si parla di necessità di una presenza militare. Che succederà quando la politica di Bush e quella della Banca Mondiale agiranno all’unisono?». [6] La designazione di Wolfowitz, comunque, non è ancora una nomina. Massimo Gaggi: «Fin qui l’indicazione dell’amministrazione Usa è stata recepita senza troppe obiezioni dai 24 direttori esecutivi della Banca che formalizzano la nomina. Stavolta le cose potrebbero andare diversamente». [8]

Nel 2000 l’Europa candidò alla direzione del Fondo monetario il tedesco Caio Koch-Weser. La dichiarata opposizione americana portò però i governi europei a ripiegare su Hoerst Koehler. Antonio Tricarico: «Lo scontro transatlantico fu ricomposto con la definizione di linee guida per la selezione dei vertici delle due istituzioni di Bretton Woods: documento che non ha mai avuto una piena approvazione da parte dei consigli di Banca e Fondo, nonostante le richieste incalzanti dei paesi in via di sviluppo, in particolare del cosiddetto ”gruppo dei 24” a guida sudafricana che riunisce le economie emergenti. Così, per la nomina di Rodrigo Rato al vertice del Fmi l’anno scorso gli europei per salvare la faccia hanno presentato due candidati dopo essersi consultati con Bush, ma in pratica non hanno seguito le procedure discusse nel 2001, generando l’opposizione dichiarata di ben 11 dei 24 direttori del consiglio del Fondo che hanno proposto altri candidati del Sud, invano. Purtroppo è proprio questa coscienza sporca a bloccare oggi gli europei». [9] Colbert I. King: «Se l’amministrazione Bush ha fatto i suoi compiti e toccato tutte le basi giuste nelle capitali europee chiave, Paul Wolfowitz sarà il prossimo presidente della Banca Mondiale. Se, però, i funzionari di Bush hanno omesso, prima dell’annuncio di questa settimana, di proporre il nome di Wolfowitz ai Paesi perplessi riguardo alla sua scelta, allora l’amministrazione è stupida e arrogante come dicono i suoi critici». [10]

La nomina di Wolfowitz ricorda quella di McNamara. Un altro che, come lui, veniva dal Pentagono e da una guerra difficile. King: «Nel caso di McNamara, la Banca Mondiale non diventò uno strumento della Camera di Commercio Usa o uno strumento della sua politica estera come molti temevano. Questo non significa che la Banca ebbe tutti successi sotto la direzione McNamara. I dati non supportano questa tesi. Alcuni prestiti non fecero alcuna differenza. A volte i fondi finirono nelle mani sbagliate. giusto osservare, comunque, che durante i 13 anni con McNamara al timone, dal 1968 al 1981, la Banca Mondiale divenne un vigoroso promotore della riduzione della povertà mondiale». [10] Non tutti condividono il giudizio positivo su McNamara. Steve Radelet, ex sottosegretario al Tesoro statunitensi: «Distribuiva i fondi sulla base dell’aderenza dei governi alle politiche dell’Amministrazione». [11]

«Il nuovo George Bush è quello vecchio». Sono parole di W., nel recente viaggio in Europa. Ennio Caretto: «Non era uno scherzo». [12] Pochi giorni prima di proporre Wolfowitz alla guida della Banca Mondiale, il presidente aveva piazzato un altro falco in un organismo internazionale: John Bolton, duro negoziatore sui temi degli armamenti, nominato rappresentante permanente degli Usa all’Onu. Gianni Riotta: «I dibattiti fra studiosi di geopolitica stanno al mondo reale come un tè tra anziane dame di compagnia della Regina a Buckingham Palace sta a una rissa tra le gangs dei Latin Kings a Chicago. I conflitti si specchiano in sale affrescate, la cortesia è ubiqua, tra diplomatici, docenti, forbiti osservatori. Una sola volta, nei tanti pomeriggi passati a cercare di capire il mondo in uno studio con candelabri e tappeti rossi, ho avvertito il clima violento che ricordo dai giorni trascorsi invece a Los Angeles occupandomi di gangs, Creeps contro Blood. Accadde dopo l’intervento di John Bolton, il conservatore del Dipartimento di Stato americano, capelli rosso fuoco, baffi bianco neve. In pochi minuti insultò così ruvidamente gli europei presenti, marchiandoli da pusillanimi, ignoranti, poco fecondi, poveri, ex colonialisti e imbelli, che un gentile amico, che ha dedicato la vita intera all’amicizia con gli Stati Uniti, lasciò il seminario paonazzo, ”Io lo strozzo quello lì”». [13]

Perché infilare proprio la volpe nel pollaio? Ragozzino: «Mettendo insieme le due nomine di Bolton e Wolfowitz, esce un quadro interessante del secondo mandato del presidente Bush. I prescelti sono essenzialmente uomini di rottura, conosciuti per tali. Non sono diplomatici, non trattano, né tengono conto del bene dell’istituzione che capeggiano (Wolfowitz) o nella quale svolgono un compito decisivo (Bolton). Sono stati scelti in primo luogo per mandare segnali, segnali ripetuti ai paesi che per megalomania si ritengono potenti e all’insieme del mondo. Questa è la regola, dice Bush, tanto alle Nazioni unite che alla Banca Mondiale. Le prime sopravviveranno solo mettendosi al passo che tutti i giorni Bolton scandirà. La seconda dovrà cambiare natura e impegno se vorrà contare, altrimenti si farà a meno di lei. Benissimo la sua lotta alla povertà, ma nei confronti dei veri poveri, che sono quelli che decidiamo noi, Bush & C». [14]

Il Bush II (vecchio o nuovo che sia) segue un doppio binario. Maurizio Molinari: «Dimostra di ritenere che la riconciliazione con gli europei non è in contraddizione con la volontà di affidare la proiezione dell’America nel mondo a chi rappresenta il conservatorismo compassionevole. La riconciliazione con l’Europa ha a che vedere con la gestione dell’agenda politica di breve termine della guerra al terrorismo: dalla convergenza sul negoziato con Teheran sul nucleare alla condivisione delle pressioni sulla Siria affinché ritiri truppe dal Libano, dal sostegno al nuovo governo iracheno alla prospettiva di uno Stato palestinese a fianco di Israele. Ma altra cosa è la sfida strategica di lungo termine al terrorismo, quella di cui Bush ha parlato il giorno del giuramento ed il cui successo è affidato alla convinzione che i valori di democrazia e libertà abbiano valenza universale. L’intenzione di promuovere tali valori ha motivato le più recenti nomine di Bush». [15]

Tempo fa la scelta di Wolfowitz sarebbe sembrata ragionevole a tutti. ”The New York Times”: «Servì per tre anni come ambasciatore americano in Indonesia durante l’amministrazione Reagan. E fu il convincente comunicatore che una volta scrisse che sicurezza e povertà sono connesse - che la soluzione dei conflitti globali non sta necessariamente nel controllo delle armi, ma nella riduzione della povertà e nello sviluppo economico. [...] Possiamo solo sperare che Wolfowitz torni alla precedente incarnazione nel suo nuovo lavoro». [16] Riotta: «Il segnale di Bush II è preciso, i falchi lasciano l’amministrazione e vanno ad ”evangelizzare” le istituzioni ostili. Ma la retorica bellicosa di Bolton si scontrerà con l’Onu ferita dagli scandali e dalla leadership appannata di Kofi Annan rischiando di far ulteriori danni, mentre Wolfowitz va a capeggiare una Banca che ha bisogno di efficienza ma che resta vitale». [5]

Come devono reagire gli europei al neobanchiere Wolfowitz? Riotta: «I piagnistei, condivisi dalla parte vittimista del partito democratico Usa, sono inutili. Meglio, molto meglio, controllare in prima persona che non un euro di quelli dispersi dai progetti a fondo perduto sia sottratto, da ora in poi, ai dannati della terra. Meglio, molto meglio, raccogliere la bandiera dello sviluppo come inseparabile dalla libertà, l’idea forza che ha accompagnato lo storico successo dell’Unione Europea, quando i Paesi dell’Est oppressi realizzarono che democrazia e benessere sono gemelli». [5] Wolfowitz: «Lo sviluppo politico sostiene quello economico. Lo sviluppo economico sostiene quello politico. Si ritiene in genere che uno debba venire per forza prima dell’altro, ma a me sembrano due corsi differenti: più procedono uniti, più la società si rafforza». [17]

La vera paura è che Wolfowitz sia un idealista. ”The Economist”: «Qualcuno direbbe un’Utopista, la cui carriera è stato guidata dallo zelo di portare la democrazia nel mondo - incurante di cosa potrebbe fare il mondo di quell’ambizione. Finora, Wolfowitz si è concentrato sulle relazioni tra democrazia e sicurezza, ma la sua fiducia nel potere della democrazia caratterizzerà certamente allo stesso modo la sua idea di sviluppo economico. Come è giusto, si potrebbe dire. Ma è dubbio che il fanatismo di Wolfowitz, sebbene in quella nobile causa, sia adeguato per la Banca. Il suo lavoro è alleviare la povertà, e il legame tra democrazia e riduzione della povertà è, diciamolo, complicato. Vedi la Cina». [18] Wolfowitz: «Sono fermamente convinto che trasparenza, responsabilità, istituzioni governative forti ed efficienti siano fondamentali per lo sviluppo. La società civile è un fattore chiave. Questo non significa che non si possa avere un certo grado di sviluppo con un minor livello di libertà. Ma ritengo che una società libera costituisca una base più solida per lo sviluppo». [17]