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 2006  febbraio 02 Giovedì calendario

Davvero l’Iran ha tutti i torti? Panorama 2 febbraio 2006. Siamo tutti d’accordo: il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è un fanatico demagogo

Davvero l’Iran ha tutti i torti? Panorama 2 febbraio 2006. Siamo tutti d’accordo: il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad è un fanatico demagogo. Le sue dichiarazioni sullo stato d’Israele sono intollerabili. E la prospettiva di un Iran nucleare, in una regione afflitta da un alto tasso d’instabilità politica, è inquietante. Ma le sanzioni, se il Consiglio di sicurezza sarà chiamato a discuterne, si scontreranno probabilmente con il diritto di veto della Russia e della Cina. E tutti ammettono, sottovoce, che l’embargo sui prodotti petroliferi provenienti dall’Iran danneggerebbe le finanze del paese, ma avrebbe effetti disastrosi sul prezzo internazionale del petrolio. Forse è meglio ricordare che l’indignazione serve a riscaldare i muscoli quando si ha voglia di menare le mani, ma è un pessimo ingrediente della politica internazionale. utile, a questo punto, cercare di riassumere i termini della questione. L’Iran dichiara che il suo programma si propone soltanto l’uso pacifico dell’energia nucleare. Sappiamo che l’arricchimento dell’uranio, soprattutto se sottratto alla vigilanza degli ispettori dell’Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica), permetterebbe al regime degli ayatollah di costruire prima o dopo un ordigno militare. Ma è giusto riconoscere anzitutto che il programma, sul piano economico, è giustificato. L’Iran è il secondo fornitore mondiale di petrolio ma sa che le sue risorse non sono infinite. Quanto più rapidamente riuscirà a soddisfare le sue esigenze interne con energia nucleare, tanto più facilmente potrà prolungare nel tempo le sue esportazioni di greggio. Questo programma, del resto, non è opera degli ayatollah. Come ha recentemente ricordato Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, in un articolo scritto con Muhammad Salimi per l’ International Herald Tribune, il programma risale agli anni Settanta, quando l’Iran era governato dallo scià, e fu incoraggiato allora dagli Stati Uniti. Resta ovviamente il rischio militare che le irresponsabili dichiarazioni di Ahmadinejad hanno reso ancora più preoccupante. Ma se il lettore darà un’occhiata alla carta geografica scoprirà che l’Iran è nel mezzo di una regione in cui gli stati nucleari sono cinque: la Russia a nord, la Cina a nord-est, l’India e il Pakistan a est, Israele a ovest. E tralascio gli Stati Uniti che, dopo l’occupazione l’occupazione dell’Iraq, confinano ormai con l’Iran attraverso la frontiera irachena. Perché l’America chiude un occhio sugli armamenti nucleari pachistani, indiani e israeliani, ma non riconosce all’Iran il diritto di avere le proprie armi? Per noi, beninteso, la risposta è semplice: perché l’Iran di Ahmadinejad ci appare oggi più ostile e pericoloso di quanto siano le altre potenze nucleari della regione. Però non abbiamo il diritto di pretendere che questo punto di vista sia necessariamente condiviso da Teheran. Negli anni della presidenza di Mohamed Khatami, quando esisteva una forza, all’interno del paese, che cercava di rappresentare i giovani e i ceti emergenti della società iraniana, l’America non colse quei segnali e continuò a seguire con ostentata indifferenza i negoziati della trojka europea. Quando Khatami dette un contributo discreto, ma importante alla guerra degli americani in Afghanistan, George Bush ricambiò il favore inserendo l’Iran nell’«asse del male». Quando decise di abbattere il regime di Saddam Hussein, il presidente americano non si preoccupò delle reazioni iraniane e non si rese neppure conto paradossalmente che Teheran avrebbe cercato di sfruttare i suoi collegamenti con la comunità sciita per creare qualche difficoltà agli americani. Parliamo molto, giustamente, delle intemperanze di Ahmadinejad. Ma dovremmo chiederci se il fallimento del tentativo riformatore di Khatami e il successo del demagogico sindaco di Teheran non siano anche il risultato dell’ostilità americana. Se gli Stati Uniti avessero adottato una linea più vicina a quella dell’Europa e, soprattutto, se avessero cercato di coinvolgere l’Iran nei loro piani per la regione, forse non saremmo giunti alla crisi delle scorse settimane. Vi è ancora un punto su cui occorre riflettere. Come abbiamo constatato all’epoca di Khatami, esiste una parte importante della società iraniana che è ansiosa di rompere il guscio in cui è stata imprigionata dal catechismo degli ayatollah. Ma spero che nessuno si faccia illusioni. Quei potenziali dissidenti sono convinti che l’Iran abbia diritto al proprio programma nucleare e reagirebbero alle sanzioni con uno scatto nazionalista che consoliderebbe il potere di Ahmadinejad. Sergio Romano