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 2005  marzo 17 Giovedì calendario

Lo 007 in carne e ossa penetra economicamente ma non gode mai, L’espresso, 17 marzo 2005 Di eroi ne abbiamo due

Lo 007 in carne e ossa penetra economicamente ma non gode mai, L’espresso, 17 marzo 2005 Di eroi ne abbiamo due. Uno si chiama Nicola Calipari. Dell’altro, che per fortuna è stato solo leggermente ferito, possiamo dire solo il nome di battaglia, ”Corsaro”... Un eccesso di zelo, visto che il vero nome di ”Corsaro”, Andrea Carpani, è già uscito sulla stampa. Bar del centro di Roma, il funzionario del Sismi, davanti a un caffè e un bicchiere di acqua minerale, si appoggia alla sedia come si fosse tolto un peso. Questo voleva premettere: che un eroe, per essere tale, non deve essere necessariamente morto. E poi, semmai, eroi per gli altri non per se stessi, «perché uno come Calipari mica ci teneva all’appellativo». Il funzionario dei Sismi non arriva a 40 anni ed è un uomo del Sud. Completo blu, camicia e cravatta. Potrebbe passare per un modello. Lo chiameremo, convenzionalmente, Carlo. Nemmeno alla moglie ha detto quale sia la sua vera professione, lo crede, genericamente, un ufficiale. Sa benissimo, però, che lei ha intuito: «Si comporta come quei soldati che fanno finta di essere stupidi». Sono anche loro, le mogli, di tutti non solo la sua, «in qualche modo agenti molto segreti». Imparano a non fare domande. Soprattutto a non chiedere: «Dove sei?». Non otterrebbero risposta. Carlo avrebbe dovuto ammettere, talvolta, che si trovava a Baghdad e che era lì per gli ostaggi italiani. E non sono state tutte giornate di ordinario pericolo. successo anche che il pericolo diventasse straordinario. Come quando si propagò la notizia che un riscatto era stato pagato, e lui e i suoi uomini sono diventati da salvatori, all’improvviso, prede. O almeno hanno avuto la sensazione di esserlo: «Sì, abbiamo temuto di poter essere rapiti a nostra volta». Riuscirono a far perdere le loro tracce, a rientrare. «Davvero è difficile spiegare all’esterno cosa succeda quando si diffondono voci incontrollate e magari non vere come quella di un riscatto. Rischiamo gli uomini sul campo, si bruciano informatori. Insomma un disastro che tocca poi pazientemente ricucire». Anche in quel momento così estremo, la moglie lo credeva in ufficio. Qualche grattacapo glielo ha dato il figlio, già grandicello e in grado di fare delle associazioni. Ha visto un’immagine di papà con Calipari e con l’igenuità del bambino gli ha chiesto: «Ma come fai a conoscerlo?». Ha dovuto arrabattare lì per lì una scusa: «Sai, era quando stava in polizia, è capitato di lavorare assieme». Bugie necessarie per proteggere «ilmio piccolo guerriero. Guerriero perché si è abituato a vivere senza il padre». Adesso sono 15 giorni che non lo vede. Non è raro. Stavolta è per l’emergenza che si è portata via Nicola. Nicola, dice Carlo, era come tutti più o meno lo hanno descritto. Con qualcosa in più: «Era irresistibilmente simpatico. Una battuta dietro l’altra. Le vette le toccava quando imitava dei personaggi calabresi, compaesani suoi». Un vincente con grande facilità di comunicazione, una vera dote. Parlava e ascoltava, parlava e ascoltava, finché gli usciva la frase che lo identificava, che lo rendeva Nicola: «Bene, adesso l’importante è risolvere il problema». Anche «il problema» del sequestro Sgrena lo aveva risolto. E chi l’ha conosciuto bene non ammette si possa anche solo sottintendere che abbia sbagliato qualcosa in quel maledetto viaggio verso l’aeroporto: «Aveva scelto di avere al suo fianco ”Corsaro”, cioè il più grande conoscitore di Baghdad, dove era stato per un sacco di tempo. Insomma, uno abituato a vivere in terreno ostile». A Corsaro è particolarmente affezionato «perché è un uomo del popolo come me, che sono figlio di un operaio». Come lui non ha generali a molte stelle nell’albero genealogico. E la carriera che si è costruito non la deve a nessuno. Un tempo non era così. Ma un tempo, accanto alla parola servizi, si aggiungeva «deviati». Mentre adesso, ed è il motivo per cui Carlo è orgoglioso di rivendicare la sua appartenenza, «mettiamo a disposizione di tutte le istituzioni e le parti politiche, nessuna esclusa, le nostre informazioni, siamo al servizio del Paese». Ci sono due generazioni che si confrontano all’interno del Sismi. I più anziani arrivano dal periodo della Guerra Fredda. i più giovani sono figli dell’11 settembre, di come ha mutato quell’immane attentato il modo di concepire i servizi di sicurezza «e dell’arrivo alla direzione di Nicolò Pollari», aggiunge Carlo. Con i vecchi qualche contrasto c’è stato, soprattutto all’inizio. Poi alcuni si sono adeguati. E anzi sono un punto di riferimento perché l’esperienza a qualcosa serve. Ma l’aria nuova riguarda soprattutto la meritocrazia: «Chi comanda un ufficio, adesso, lo fa perché è più bravo degli altri e perché continua, rischiando del suo, ad essere da esempio. Calipari era a Baghdad non per caso». Carlo cerca di imitarlo. «Certo lui era un esempio. Così come ce ne sono altri che rimarranno anonimi». Quando si tratta di chiudere una missione rischiosa non vuole essere mai nelle condizioni di affermare: «Andate avanti voi». Verso i suoi prova anche un senso di protezione. Sul tavolo del bar ha allineato tre cellulari: «Stanno sempre accesi, giorno e notte». Proprio di notte capitava che chiamasse Nicola: «Carlo che fai, dormi?» «Avrei voluto». Uno 007 non dorme mai. A parte il rispetto di questo stereotipo da letteratura gialla, Carlo vorrebbe però liberarsi degli orpelli iconografici del tempo che fu. Li chiama «schiumazza»: «Ma quali barbe finte, ma quali pistole sotto il cuscino, ma quali Rambo. Nulla di tutto questo. Oggi il vero Rambo ha magari gli occhialini e passa il giorno curvo sulle carte. Poi è il migliore perché fa coincidere dei dettagli, sa valutare le informazioni, scartare quelle false e valorizzare quelle buone». Come Calipari, «che era alto un metro e sessanta». E poi, oggi, il ”capo” è il terminale di una rete complessa. «Ma ve lo immaginate se andassi io, in un Paese arabo, a raccogliere informazioni? Farei ridere. Non so la lingua, mi individuerebbero subito». E allora l’idea vincente, è stata quella della creazione di una fitta rete di «locali». «Pollari lo decise molto prima della guerra. E quella politica sta dando i suoi frutti». Frutti di cui Carlo va orgoglioso: «II nostro piccolo (ma agile) servizio segreto è riuscito a portare a casa sei ostaggi su otto italiani, più qualche straniero. Tanto che sono gli altri a venire a bussare alla nostra porta. Quante vittime, sapeste, sono state evitate grazie alle nostre indicazioni su autobombe e possibili attentati». Solo che, non c’è mai un riconoscimento pubblico. «Il nostro è una sorta di coito interrotto. Perché, quando va bene, dobbiamo reprimere anche la gioia. Capita talvolta che le operazioni sono così coperte che non le conoscono nemmeno quelli dell’ufficio accanto e la bottiglia di spumante dobbiamo stapparla tenendola sotto il tavolo». Assieme a quello sparuto gruppo di uomini che «sa». «Io cerco di usarli il più possibile fuori, a raccogliere informazioni. Per dire, non uso un segretario che batta a macchina. Lo faccio da solo per avere un operativo in più sul campo». Ci fosse poi solo il mondo arabo. Il mestiere dello 007 è molto più complicato e le funzioni diversificate. Riguardano anche aspetti prima non contemplati. Ad esempio l’intelligence economico-finanziaria: «Succede che noi agevoliamo, col nostro lavoro sotterraneo, ad esempio, una ditta italiana che deve accaparrarsi una commessa in un Paese straniero, magari in un settore strategico e che potrà essere fonte di informazioni per noi importanti. La chiamiamo penetrazione economica. Diciamo che in questo modo aiutiamo anche l’azienda Italia. All’opposto ci occupiamo anche di difendere il Paese da aggressioni economiche che arrivano dall’estero. Soprattutto se toccano settori strategici». Sorride Carlo. «Facendo questo è successo spesso che ci scambiassero per procacciatori d’affari e ci offrissero una percentuale». Non saprebbe spiegare perché ha scelto di essere un agente segreto. Se la cava con la parola: «Sfida». E attitudine. «Chiamatelo sesto senso, chiamatelo come volete, sta di fatto che, dopo essere stati tanto a rimuginare, si capisce quale sia la pista buona, si capisce se un informatore è da blandire o da sgridare». Aiuta a sopportare una vita difficile «il senso di appartenenza che ormai abbiamo. Anche se arriviamo da corpi diversi ci sentiamo, a pieno titolo, uomini del Sismi. Speriamo che continui il circuito virtuoso e si prosegua coi reclutamenti dei migliori anche nel futuro». Il prezzo è un figlio che non si è visto crescere. E che si deve accontentare di regali di compensazione: «L’ultima volta erano figurine del wrestling». Gigi Riva