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 2005  marzo 12 Sabato calendario

La campagna elettorale non è vita: la sfida tra Storace e Marrazzo, La Stampa, sabato 12 marzo 2005 La stanchezza si manifesta anche di primo mattino, con una spruzzata bianca sulle spalle blu della giacca

La campagna elettorale non è vita: la sfida tra Storace e Marrazzo, La Stampa, sabato 12 marzo 2005 La stanchezza si manifesta anche di primo mattino, con una spruzzata bianca sulle spalle blu della giacca. Il consiglio non è un altro shampoo, ma riguardarsi. Il nodo della cravatta è così così, forse questione d’imperizia, e i polsini della camicia arrivano sul palmo delle mani stretti da certi gemelli rossi perlinati. Il sospetto: quest’uomo si veste al buio. O con gli occhi chiusi dal sonno, e per forza se la medesima sera va a una cena elettorale a Ladispoli, poi a un’altra a Civitavecchia e un’altra ancora a Bracciano. «Faccio così, arrivo a Ladispoli, antipasto e discorso. Vado a Civitavecchia, primo e discorso. Mi fiondo a Bracciano, secondo e discorso», dice Francesco Storace. Non è vita. Ne andrà anche di mezzo la rielezione alla presidenza della Regione Lazio [...] ma non è vita. Lo dice pure lui: «Una vita di m... E non solo in campagna elettorale, sempre. Non ho un hobby, non ho un vizio. Giusto il fumo e le grappe che mi offrono. Io in cinque anni mi sono fatto cinquecentomila chilometri, ho girato tutti i trecentosettantotto Comuni del Lazio». «Alcuni anche due volte», dice una collaboratrice di Storace: «Siamo stati due volte in un posto che si chiama Nespolo. Avrà ottanta abitanti. Non mi ricordo più nemmeno che provincia sia». Rieti, 60 km dal capoluogo. E dunque questa storia delle cene è una disperazione perché non si va mai a letto prima dell’una, delle due. La giornata s’allunga e il girovita s’allarga: «Io so’ fatto così, a fisarmonica». Durante la campagna elettorale del 2000 era arrivato a 110 chili, poi andò in tv con il comunista Oliviero Diliberto e il paragone lo avvilì: questione di salute e d’immagine. Si mise a dieta e tornò a novanta. Ma se l’immagine si rafforza col ventre piatto, s’indebolisce a rifiutare le cene: bisogna girare, farsi vedere, illustrare quello che si è fatto e dettagliare quello che si farà. Soprattutto essere ottime forchette, alzare il calice e mostrare sangue buono. Storace è inciccito di nuovo. Lo dice da tempo: sogna di reincarnarsi in un mondo in cui la lattuga faccia ingrassare e i bucatini snelliscano. Per un regime alimentare decente se ne riparla dopo le elezioni, la prima domenica di aprile. Intanto si pedala, si porta il muso ovunque, dalle 9 di mattina a notte, al centro di riabilitazione neuromotoria di Collevecchio, a Magliano Sabino per discutere dei prodotti d’origine controllata, all’inagurazione dell’Isola dell’Amore Fraterno, all’hotel Nestor a dare il via alla campagna elettorale del consigliere D’Ovidio, a Latina per la manifestazione Agrarum Opera, a Fiumicino per il Gommon Show di nautica, a Montecompatri a incontrare gli anziani, a una riunione dell’associazione dei calabresi di Roma. E poi il summit con le delegazioni delle scuole cattoliche, il taglio del nastro al Poliambulatorio di Aprilia, un rendez-vous con allevatori e agricoltori di Tuscania. Infine le 3-4 messe al giorno sotto Natale. A parte il fisico bestiale e quell’orgoglio genere «sono uno di voi», c’è dell’altro. Tutto è cominciato molti anni fa. Storace era un liceale e rincasando vide «un manifesto bellissimo». Rappresentava un uomo che si liberava dalle catene del comunismo e la scritta diceva: «Aiutateci a difenderci». Gianfranco Fini diventò di destra perché nel 1968 un picchetto cercò di impedirgli l’ingresso al cinema in cui si proiettava Berretti verdi, film con John Wayne favorevole all’intervento americano in Vietnam. Storace fu incantato da un manifesto: ne ha tratto una fede e una lezione. Oggi nel sito www.storace.tv compare la sezione «propaganda», parola di cui non si vergogna ed è fra i pochi. Propaganda («però quando sono in veste di governatore la chiamo comunicazione») significa lo slogan sui cartelloni di oggi: «Indietro non ci torno». Ma significa anche raccontare qualche balla innocua, come quando fu costretto a lasciare una scuola frequentata da studenti di sinistra con i quali aveva preso l’abitudine di dirimere le questioni a pugni; nella scuola nuova diffuse la voce di essere stato in galera, siccome la «galera politica» faceva status: «Entrai con la fama autorevole e temibile di uno molto incazzato per le prepotenze della sinistra», racconta mezzo ironico. Bisogna farsi un fama e per farsi una fama serve la propaganda, e la propaganda per Storace non ammette la fatica. Così uno lo ferma e serio serio gli chiede: «Presidente, perché non fa distribuire il Viagra gratis?». «Perché me viene a costà troppo». Una signora ha il problema degli esami in ospedale fissati troppo in là, un’altra il marito che l’ha lasciata e non paga gli alimenti, un’altra ancora la pensione minima e le hanno aumentato l’affitto. Fermarsi e rispondere e magari trovare la soluzione non è dissimile dal presentarsi in uno studio televisivo - anni fa, in occasione di un dibattito fra Rutelli e Fini - con un pacco di fogli vuoti, bianchi, intonsi, tranne uno, ben in vista, quello sopra con scritto «Dossier Rutelli». E Rutelli che fatica a dominare il nervosismo. Storace teorizza: «Bisogna prendere atto delle viscere del paese, su quelle costruire una comunicazione che non significa odiare il prete né il carabiniere né il gay né Totti». Ma come? Proprio lui che disse: «Meglio frocio che laziale»? Oggi: «Non l’ho mai detto, l’ho smentito mille volte. Felice di smentirlo di nuovo». Poi, ecco, prendere atto delle viscere del paese vuole anche dire, nello Storace centrifugato di questi giorni, usare un linguaggio confacente, preferire «leccaculo» ad «adulatore», «frocio» a «omosessuale», «merda» a «diffamatore». Dire che l’avversario Piero Marrazzo (ma lui preferisce «Marazzo», con una «ere» sola) è stato scelto dall’Unione «facendo zapping. Il prossimo lo trovano su ”Porta Portese”». Dire che con i sondaggi «ci incarto le uova», specialmente perché non lo lasciano tranquillo, e specialmente adesso che la Mussolini - candidata fuori dalla Cdl - magari gli ruberà voti a sufficienza per far vincere il centrosinistra. E ci incarta le uova sfregandosi le mani, vista l’inchiesta sulle firme false in sostegno alla lista della Mussolini: «Pure Ornella Muti ci hanno messo, e quella cascava dalle nuvole». Non si direbbe, però, che Marrazzo è un principiante, o meglio: un debuttante. Di certo ha uno staff estroso. «Per Marrazzo presidente» si sono schierati due movimenti, ”Forza Roma” (volantino giallorosso) e ”Avanti Lazio” (volantino biancazzurro). I simboli sono diabolici cuoricini identici a quello tricolore di Storace, soltanto intonati alle maglie delle due squadre della capitale, politicamente appaiate in un esclusivo derby del cuore. «Hanno appeal, vero?», strizza l’occhio Marrazzo. Sicuro, davvero un’ottima trovata, ma non del tutto fru fru, o furbetta, perché in fondo «Forza Roma e Avanti Lazio c’erano prima di me, hanno fatto altre campagne. E trovo interessante rappresentare anche il mondo del calcio [...]». Quindi non è secondo a Storace in fatto di propaganda - ma «propaganda» non gli piace, per lui sempre e solo «comunicazione». Né gli è secondo quanto a trottola. C’è da smentire quella malignità di Dagospia, roba di ottobre, quando lui al ristorante disse di voler saltare un paio d’appuntamenti, e gli si diede del fannullone. Era invece influenzato, ha preso il vaccino e da allora, dice, non ha mancato un incontro, un convegno, una tavola rotonda, un summit, un briefing, un dibattito in fabbrica, a scuola, nei mercati. Dalle 8 all’una di mattina, anche lui con le cene a sventagliata. E in macchina - «perché una campagna elettorale è anche un viaggio» - si butta dentro un libro di Piovene o di De Santis, appunto Viaggio elettorale. Verrebbe voglia di dirgli che un po’ sembra aver imparato da Walter Veltroni - ma sarebbe irrispettoso - per la scelta della colonna sonora firmata da Eros Ramazzotti: «Dedicato a tutti quelli che / sono allo sbando [...] ». O perché da un palco dice: «Sento i cuori che battono in questa sala». O perché si dichiara «il candidato della tolleranza». E tuttavia bisogna ammettere che c’è un’impronta diversa quando si augura di «essere la cinghia di trasmissione con associazioni e movimenti». Così oggi è fiducioso. Ci sono le ricerche demoscopiche, i dati. ben messo. Coi sondaggi non incarta le uova né altro. E quando Storace dice: «Se perdo, ma non perdo, resto in Consiglio regionale. Vorrei lo facesse pure Marrazzo», Marrazzo accetta: «Sono d’accordo: se vince lui, faccio il consigliere. Ma non vedo perché, visto che dovrò fare il presidente». Infine, sottovoce: «Ma quanto è nervoso Storace? Perché è nervoso vero? Non trovate?...». Mattia Feltri