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 2005  marzo 17 Giovedì calendario

Viaggio al termine di Firenze, la Disneyland rinascimentale, Panorama, 17 marzo 2005 Tracce di piscio, nevvero, sulla fiancata arcuata del Battistero non ce n’è

Viaggio al termine di Firenze, la Disneyland rinascimentale, Panorama, 17 marzo 2005 Tracce di piscio, nevvero, sulla fiancata arcuata del Battistero non ce n’è. Non c’è più la tendopoli somala issata su piazza del Duomo, quella che fece giustamente imbufalire Oriana Fallaci. Al mercato del quartiere San Lorenzo, il più antico della città, non ci sono più i fiorentini a tenere banco, ma una nutrita comunità di iraniani. Vendono i prodotti caratteristici di una Firenze scacia come la possiamo immaginare tutti: centrini, segnalibri, e anche cuoio lavorato a sbalzo, ma non sono toscani i tizi e non sono neppure mussulmani. Sono zoroastriani. I cinesi invece spacchettano cilindri di euro. Fanno pezzo dopo pezzo. Con questi si prendono fette di periferia. Nell’attesa di realizzare lucrose botteghe riempiono di paccottiglia i negozi. La ragionevole conquista delle Signorie si fa con i pistolini accendisigari. Sono pronti, non aspettano neppure di fare affratellamento con Claudio Martini, il governatore di Toscana che ha aperto tanto di ambasciata a Pechino (portandosi Roberto Colaninno). Gli assedianti di Firenze la sera organizzano il loro speziato suk a Santa Maria Novella: uno spettacolo della misericordia tutto quel mare di facce perfino barbariche. Un samovar in ebollizione eleva conforti a Madonna lepre e a Dio che la rincorre perché non è certo il brulichio dei tartari a fare forte la bestemmia che uccide questa città, piuttosto l’aver fatto di Firenze il posto da dove andar via, magari perché - così sospettiamo - ai fiorentini di Firenze non gliene fotte punto. È pur sempre la città di Vanni Sartori, il padre della politologia che alla segreteria telefonica risponde: «Chiamatemi nella mia casa di Roma», per far sentire a chi lo cerca la stessa cosa, ma al contrario: «Chiamatemi nella mia casa di Firenze». È pur sempre la città di Franco Cardini, il medievista, il più disorientante tra gli irrigimentabili. È pur sempre la città di Pancho Pardi e di Paul Ginsborg, i due teorici del ceto medio riflessivo, girotondini, di cui tutti però ricordano le proteste organizzate giusto per non avere macchine sotto casa. pur sempre la città di Piero Luigi Vigna, l’alto magistrato dal sorriso a forma di tenaglia che dalle pendici di Poggio Imperiale fa da eterno Savonarola nella terra che fu pure di Machiavelli e Guicciardini. pur sempre la città del Mostro che non c’è più ma è pur sempre un libro aperto, una storia infinita. pur sempre la città di Oriana Fallaci che a dispetto di tutti i suoi scatti d’irascibilità non manca di coraggio e della sua ultima apparizione si ricorda la perlustrazione che fece nei giorni del social forum. Uscì da casa e si fece un giro per controllare che Romano Cagnoni, il grande fotografo versiliano cui lei dichiarò guerra ai tempi di Saigon (una guerra pure superiore a quella destinata a Tiziano Terzani), non arrivasse prima per fare scoop. La Fallaci uscì anche per badare che nessuno dei no global toccasse un solo bancomat. Non sapeva che intanto, alla stazione, il servizio d’ordine della Cgil faceva coi più facinorosi «ceffoni, ceffoni; camion, camion». Se li portarono ai Mercati generali, li chiusero non senza metterli in mutande per impedire loro la fuga. Dopo Genova, per non sbagliare, s’era consumato il più severo patto tra Martini, il sindaco e un incazzatissimo Massimo D’Alema. Firenze ha comunque i suoi bravi figlioli. È pur sempre la città di Andrea Ceccherini, un ragazzo che nel rischio di essere solo un Dj Francesco s’è invece attrezzato per essere il Gianni Letta del futuro. Non avrà neppure trent’anni e ha già segretarie, relazioni d’altissimo livello e una quota di potere nell’editoria tale da essere il cliente numero uno del ”Corriere della Sera”, quasi il supplente dell’azionista di riferimento che non c’è. Lui è quello che ha inventato «il quotidiano in classe», ha escogitato il sistema di far comprare dalle fondazioni bancarie quarantamila copie del ”Corriere” - giusto per addolcire lo scarto con la concorrenza - e ci sguinzaglia sopra una cartata di docenti della Cattolica per indottrinare i pupi sull’arte di sfogliare il giornale. Era pur sempre la città di Giovanni Spadolini, oggi di questo nome e del suo gruppo di lavoro intesi a Firenze col maligno nomignolo come quelli delle «supposte», resta la Fondazione diretta da Cosimo Ceccuti. Era pur sempre la città del marchese Emilio Pucci il cui indirizzo era identità: «Marchese Pucci, via de’ Pucci, palazzo Pucci». Era la città del ”Giubbe Rosse”, il caffè oggi di Fiorenzo Smalzi, un momunento vivo dell’arte dove Ardengo Soffici ebbe la copia poi dispersa de Il più lungo giorno, l’unico posto dove, come ha scritto David Allegranti, «i quadri esposti fumano». Era pur sempre la città del cavalier Attilio Vallecchi, oggi l’editrice che produce libri, esposizioni e serate artistiche è ritornata a vivere grazie a Umberto Croppi e Nando Corona. E visto che questi due, e anche Smalzi, non sono di qui verrà pure buono ripetere che di Firenze ai fiorentini non gliene fotte nulla. La città è una Disneyland di un solo giorno. Dalla stazione si rovinano nella più grande zona a traffico limitato d’Europa i turisti pendolari che si mettono in fila, magari fanno pipì nei bar, però non si capacitano su come mai nessuno degli indigeni faccia loro la riverenza in costumi rinascimentali. «Da almeno vent’anni la città copre il piattume del nulla di nuovo col reliquario della Disneyland rinascimentale». Chi parla è Umberto Cecchi, storico direttore de ”La Nazione”, il giornale che diede all’Italia Amici Miei, un capolavoro di film che se può servire da consolazione, vale quanto tutto il contenuto degli Uffizi. La prima religione di città, l’antifascismo (la seconda è la massoneria), cancellando l’ideatore del Maggio Fiorentino, cioè Alessandro Pavolini, nel dopoguerra demolì il palazzo della Gil, la Gioventù italiana del Littorio. C’erano gli affreschi di Gino Severini, altro che quel tapino di Folon. La Disneyland di oggi con le sue strade strette, i tetti aggettanti e le finestre sempre chiuse impone cose dal gusto tamarro: nelle acque ferme dell’Arno, fino a poco tempo fa, si poteva ammirare una gondola ormeggiata. E quella sì che era una camera con vista. A Folon hanno commissionato adesso ”L’uomo della pace”, giusto a Fortezza da Basso, un luogo su cui non piovano guai già in abbondanza per scaricarci aborti sentimentaloidi (e aborti di lavori pubblici, un parcheggio mai inaugurato e che si deve demolire). Turismo e cultura sono le cenerentole di questo marchio così international qual è Firenze. Negli scaffali della libreria Seeber, la libreria preferita da Indro Montanelli, adesso ci sono i maglioncini di Max Mara. Non c’è più la strada intitolata a Berto Ricci, il maestro di Montanelli. In compenso c’è largo Bruno Fanciullacci, l’assassino di Giovanni Gentile. Eugenio Giani, responsabile della toponomastica non aveva che imbarazzo parlandone con il nipote del filosofo, Giovanni Gentile appunto, l’editore de Le Lettere, una delle poche sigle superstiti in quella che fu l’officina umanistica del Novecento. già qualcosa sapere che i centri sociali non condividono la bigotteria del Comune e Gentile nonno, appunto, se lo studiano. Quanto a città d’arte, si fa villeggiatura del pauperismo. A Santa Croce, alla SS. Annunziata, la politica dell’accoglienza è un’inestricabile poltiglia di equivoci più che di casi umani. Quasi peggio che alle Cascine dove almeno vi fece accampamento e poesia la Carlotta, il transessuale più gettonato dai pottini (si chiamano così i ragazzi fighetti, l’etimo deriva da pòtta, dunque fica, ma a ben altro articolo miravano i giovanotti). Padre Ivan Caputo ha chiuso le porte della sua chiesa a Santo Spirito pur di non farsi vomitare dentro il degrado che dalla piazza gli galleggia addosso. Padre Timothy Verdon, consulente culturale della Curia, un magnifico dandy in abito talare (le finestre di casa sua si affacciano sulle formelle del Duomo), non le ha mandate a dire. È stato duro contro il Municipio. Un bersaglio inusuale se si pensa che il tenebroso e affascinante Leonardo Domenici, il sindaco diessino, non ammette dialettiche che disturbino la sua natura così funestamente compromessa da certi scatti d’ira. Niente di spaventoso, ma al comune ci vanno piano con lui: hanno dovuto cambiare una fotocopiatrice e conservarla al modo di un monito. Il sindaco vi aveva depositato un pugno tipo amaro Bonekamp (quello della reclame). Del caratteraccio di Domenici ne sa qualcosa Stefania Ippoliti e qui entriamo nel fuoco delle belle, inteso che l’Ippoliti è una mora molto bella (una dark lady come tipo), ma inteso anche che delle belle se ne possono raccontare se si pensa che a Firenze - città di madonne e di zitelle anglobecere - solo l’Ippoliti, presidente della Confesercenti, e Geraldina Feechter, la sindaca, possono meritare il palcoscenico. Niente di malizioso, ma quello che le due signore formavano con i loro mariti, Giorgio Van Straten per l’Ippoliti, Domenici per la Feechter, era il quartetto più amato e più ambito in società. Van Straten - giusto per inciso - è il direttore del Teatro comunale. L’azienda è gravata da un pesante deficit ma al suo soccorso, quando volevano azzerarlo, è intervenuto il principe Girolamo Strozzi che anche se è quello che accoglie Tony Blair nella propria tenuta è pur sempre nel cda in quota centrodestra. Il quartetto si diceva: non c’era photo opportunity con il reale di turno inglese di passaggio dove non figurassero i quattro. Va detto che anche la Feechter che è una giornalista, con altri colori (è bionda), è donna assai attraente e dal fare spiritoso. in grado di sostenere la conversazione con la famiglia Blair, con Maria Laura Rodotà, con Sting che ha preso casa a Figline Val d’Arno, con Diego della Valle e con Roberto Benigni quando gli garba di tornare a Firenze. Lei che è anche così poco esibizionista è insomma il testimonial perfetto della liturgia locale. La santa messa dell’onnipotenza fiorentina si celebra dal Fabio Picchi, ovvero al Cibreo, il ristorante sancta sanctorum, ci vanno per intrattenere conviviali intese, i papabili del futuro, per esempio Luca Mantellassi, presidente della Camera di Commercio, e poi i papabili di sempre, come lo «sceriffo». Graziano Cioni, assessore alla Polizia Municipale. Sceriffo appunto per la sua capacità di travestirsi da semaforo. Travestendosi da elenco affisso al muro ne ha approfittato per rendere pubblici i nomi dei massoni, danneggiando soprattutto a sinistra, succubi come sono i fiorentini della ricca e veramente potente Siena. Cioni ovviamente non fa solo multe, in una città come Firenze dove i carrozzoni s’inventano per garantire il riciclo degli assessori trombati, ha messo su anche la «Società della salute», l’ennesimo ente che nelle benemerite intenzioni soccorre i deficit organizzativi delle Asl, nelle maliziose interpretazioni soccorre i deficit di consenso. Cioni poi fa anche le «Cene di Cioni», sterminati banchetti organizzati al parco dell’Anconella o al Palasport perfino dove tra mille e più invitati si capisce chi sale e chi scende. Il vecchio e il nuovo dunque, lo Sceriffo e il Mantellassi. Questi è il titolare di Sutor Mantellassi, un negozio dove si vendono scarpe acquistabili solo contraendo un mutuo (non ha putroppo tra i clienti Massimo D’Alema, ma l’arciduca Denis Verdini, il capo di Forza Italia sì). Tutto «altezza mezza bellezza», Mantellassi aspira alla vetrina. Ai Gigli, il caffè di piazza della Repubblica, lo danno in corsa per il posto di sindaco. La sinistra fiorentina ha messo in conto di averle già vinte le politiche per il governo di Roma e su chi prenderà il posto di Domenici, gli avventori fanno un solo nome: il Mantellassi, il ricco calzolaio di Firenze. A Domenici già gli divinano di farlo ministro. Ovviamente non può essere d’accordo Claudio Martini, il governatore, che lo sogna quello stesso posto, ma la verità è che nessuno vuole restarci a Firenze In ogni caso Domenici si candida alle politiche. I suoi assessori sono disperati all’idea di ricominciare il giro tra conferme e collocazioni nella Società della Salute. Lui intanto se ne va. E anche Martini, fosse pure per tornare in Amazzonia, se ne va. Forse l’unico che vuole restarci in città è Matteo Renzi, presidente della Provincia, Margherita, troppo bravo ragazzo per maturare ambizioni stracittadine. Troppo cattolico si potrebbe dire ma anche la Chiesa a Firenze ha la sua particolarità. Il vescovo di qualche anno fa, Piovanelli, era una specie di cardinal Martini, un cattocomunista. Il vescovo Antonelli, quello attuale, ha fatto un vademecum sul consumo di tivù. Firenze fu città cara al Vaticano, il cattolico Franco Zeffirelli ha trasferito nel suo cinema l’impronta di una tensione che fu anche quella del mancato Anticristo, quella di Giovanni Papini. Il don Mazzi di qui non è quello dell’’Isola dei Famosi”, bensì quello dell’Isolotto. La comunità cattolica ha succhiato il latte dei don Milani, di padre Ernesto Balducci, di Piero Bargellini (il sindaco dell’alluvione), di Giorgio La Pira ovviamente, e però il più significativo testimone della tradizione resterà senz’altro Attilio Mordini, il meraviglioso frate francescano di Firenze che s’arruolò nella Wehrmacht, l’autore dei libri più profondi in tema di cristianità. Il segno del comando a Firenze è vecchissimo: «È una gerontocrazia più che un’aristocrazia che fa solo cooptazione tra i più fidati e più utili». Così parla Verdini che - prim’ancora che politico, di scuola spadoliniana - è innanzitutto un banchiere. Suo è lo scandaglio che ci permette di decifrare la specificità di una tra le più provinciali città d’Italia: «Soldi che sono di nessuno girano a Firenze». Il comune - con la sua partita Iva - è la più importante azienda della regione. Il potere è solo pubblico qui, le «partecipate», infatti, sono la soluzione magica per il pane e il lusso. Sono le aziende che fanno magma unico tra enti pubblici e pochi prescelti privati. un meccanismo claustrale e ideologizzato quel tanto da garantire il controllo a chi di dovere. Con questo sistema la sinistra si concede una morbida lottizzazione. E la lotta è tutta interna alla sinistra perchè in Toscana solo guerre intestine si possono fare, guerre tra Guelfi contro Guelfi e basta, anche per insipienza dei Ghibellini. La sinistra egemone smentisce in loco quello che a Roma conferma. La vagheggiata Gad, infatti, la federazione che mette insieme centrosinistra e Rifondazione, a Firenze e in tutti i dintorni non s’è mai fatta. La politica è solo quella della sinistra contro la sinistra. Lo stesso sfidante dell’attuale sindaco, DomenicoValentino, già candidato del centrodestra («ripiego di un ripiego»), è passato al gruppo dei Verdi per dare «un pieno sostegno alla maggioranza». Un ripiego precipitato nel grottesco. A differenza del restante impero di Emilia Romagna, Umbria e parte di Liguria, almeno in Toscana, con Verdini, Berlusconi che conobbe l’onta di essere diffidato dal vicinato quando tentò un acquisto in zona Chianti, ha un protagonista presente nella ribalta di Roma. Ha tanta voce in capitolo Verdini, tanta da avere sulla coscienza la carriera di due assi del giornalismo: Stefano Folli cui affidò la benedizione di Silvio Berlusconi portandolo alla direzione del ”Corriere della Sera” e poi Riccardo Berti, direttamente trasportato dall’ufficio stampa del premier alla conduzione di ”Batti & Ribatti” su Raiuno. La destra ha vita difficile in una centrale del potere qual è Firenze e due sono le possibilità di fare almeno breccia: Oriana Fallaci senatore a vita in sostituzione di Mario Luzi, e poi Fiamma Nirenstein, sempre in felice coppia con la Fallaci, che finalmente potrebbe accettare una candidatura di prestigio, giusto quella di sindaco, avendo dovuto rinunciare la prima volta a causa delle obiezioni dei cattolici. «Ha un nome troppo difficile da scrivere sulla scheda». Tutto ciò quando invece il nome era bello che prestampato. In questo discorrere abbiamo dimenticato il quartetto e le due bellissime di Firenze, abbiamo lasciato il Cibreo. Diciamo subito perché il quartetto non esiste più per non alimentare malizie: per colpa del carattere cattivo di Domenici, ecco. Non ha sopportato che la Ippoliti, presidente della Confesercenti, chiedendo l’anticipo di un’ora del permesso di circolazione dentro la ztl, rompesse l’incantesimo del consenso: assalita in piena conferenza stampa. La bella Ippoliti adesso se ne sta distante e «posata», come una fotocopiatrice ammaccata. Abbiamo poi lasciato per ultimi convivii del Cibreo, gli illustrissimi fondamentali dell’unico business concreto a Firenze: l’edilizia. I nomi che si leggono nei cartelli dei cantieri potrebbero leggersi nei cartoncini di prenotazione sui tavoli: Baldassini & Tognozzi, Firenze Mobilità, Fireze Parcheggi, Finanza e Progetto, Una Hotel. Il modello municipale altro non è che legare il governo della città allo sviluppo. In zona Novoli, dove c’è il Polo di Scienze Sociali e il sorgente tribunale, tutti i terreni intorno sono di proprietà pubblica, delle Ferrovie alcuni. Poi c’é da recuperare l’area Fiat, in viale Belfiore dove nascerà la stazione dell’Alta Velocità. Jean Nouvel ha disegnato il progetto, vincitore del concorso internazionale. E saranno altre «partecipate» che daranno inizio all’unico Rinascimento di Firenze, la cementificazione delle reliquie. Pietrangelo Buttafuoco