Alessandro Pasini Corriere della Sera, 11/03/2005, 11 marzo 2005
Il ritorno dell’idolo del catch che lanciava sedie e ideogrammi durante gli improbabili anni 80, Corriere della Sera, venerdì 11 marzo 2005 Ti ricordi Antonio Inoki? Arrivava in seconda serata su certe tv locali, saliva sul ring in mutande nere, urlava ideogrammi in libertà, scaraventava via l’asciugamano e cominciava a menare
Il ritorno dell’idolo del catch che lanciava sedie e ideogrammi durante gli improbabili anni 80, Corriere della Sera, venerdì 11 marzo 2005 Ti ricordi Antonio Inoki? Arrivava in seconda serata su certe tv locali, saliva sul ring in mutande nere, urlava ideogrammi in libertà, scaraventava via l’asciugamano e cominciava a menare. Pugni e calci quasi tutti finti, lacci californiani (!), se occorreva sedie sulle teste, una volta ha pure tagliato i capelli a uno che lo aveva fatto particolarmente incazzare. I suoi rivali onesti si chiamavano Hulk Hogan, André the Giant, Tiger Mask; i suoi nemici perfidi erano Rusher Kimura e Riki Choschu; il suo allievo preferito era Tatsumi Fujinami; il suo aedo - un intramontabile mito trash - era Tony Fusaro, che negli studi italiani si eccitava al punto da pronunciare frasi storiche tipo «ecco Kimura che vola qui di fianco a noi», come se l’Antonio fosse così forte da far planare uno da Tokio a casa nostra con uno slavadente. Ma così era il catch: improbabile come gli anni Ottanta, divertente come un trionfo. Antonio Inoki adesso è qui. Gessato blu, camicia bianca, cravatta rosso fantasia e un apparato mento-mascellare che neanche Capello quando incrocia Totti, è planato ieri in una discoteca à la page di Milano per fare da testimonial all’arrivo del catch in Italia, a giugno, tra Catania e Milano (ci sarà anche Tiger Mask IV, l’uomo tigre della quarta generazione). Inoki San, da buon promoter, sponsorizza la New Japan Pro-wrestling, ma soprattutto porta in giro per il mondo un mito che non si è mai affievolito. Motivo? «Forse il mio mento...». Buona. Ma in realtà l’Antonio - detto Dragone ma, a Milano, anche Basleta - è molto più di un mento con un gigante intorno. E a parte il catch - il papà dell’attuale wrestling Usa («Il nostro era un’altra cosa: c’era show sì, ma anche tanta lotta vera. Noi trasmettevamo qualcosa e mi piacerebbe tornassero quei tempi») - ha fatto un sacco di altre cose interessanti. Una è l’epica baracconata di Tokio con Muhammad Ali, nel ’76, boxe e catch assieme, match pari («Fu l’incontro più importante della mia vita», osa dire). Poi però ci sono tre mogli e tre figli («Ora sono nonno. Gli eredi? Nessuno fa catch, non è un problema...»), un’esperienza da deputato («Nel ’90 andai in Iraq per contrattare il rilascio degli ostaggi giapponesi durante la Guerra del Golfo»), l’impegno su temi ambientali: «Con Bill Clinton abbiamo parlato di come aiutare a ricostruire nei luoghi dello tsunami. Perché? Da piccolo in Brasile (dove emigrò nel ’57, ndr ) ero povero, non avevo niente. Ora sento di avere una missione e provo a realizzare quello che gli altri non riescono». Macchina da soldi, icona senza tempo e pure uomo sensibile, Inoki a 62 anni ha ancora la faccia pulita di quando combatteva, come in quella foto dove, basetta lunga e mascella infinita, guarda sorridendo Alì che finge di insultarlo. Perché in fondo questo era lui coi suoi soci: una magnifica finta, violenza mostruosa solo rappresentata, esempio innocuo di cartone animato umano (l’altro, quello vero, arriverà, con l’Uomo Tigre e, ovviamente, Antonio Inoki tra i protagonisti). Nei cartoni animati non ci si fa mai male veramente, così ora l’eroe pacifista può dire: «Quando c’è la forza e la salute si può superare tutto». Forza e salute sì, ma pure senso del business e furbizia di uno che ha 50 palestre di arti marziali sparse nel mondo: «Vivo a New York, tanti fan mi fermano ancora per la strada e la sapete una cosa? La maggior parte sono italiani. Se un giorno nascerà il nuovo Inoki spero proprio sia italiano...». Grande Antonio. Ma tanto a giugno, ovviamente in seconda serata, saremmo venuti lo stesso. Alessandro Pasini