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 2006  febbraio 02 Giovedì calendario

Ci vuole misura per diventare una ”raffaellacarrà”, Amica, aprile 2005 Da come cammina si capisce che: a) ha fatto danza per molti anni; b) si è molto guardata allo specchio, mentre faceva gli esercizi alla sbarra; c) la bambina alla sbarra era caparbia e decisa a far bene, e così è rimasta

Ci vuole misura per diventare una ”raffaellacarrà”, Amica, aprile 2005 Da come cammina si capisce che: a) ha fatto danza per molti anni; b) si è molto guardata allo specchio, mentre faceva gli esercizi alla sbarra; c) la bambina alla sbarra era caparbia e decisa a far bene, e così è rimasta. «Però da piccola io volevo fare la coreografa. Come Béjart. Era chiaro nella mia testa che volevo diventare un creatore, più che un esecutore», e ti racconta di quando giocava con i bottoni sul tappeto persiano della mamma, e sognava che fossero ballerine. Dopo, ha incontrato una maestra che si chiamava Jia Ruskaja - «una donna alta, magra, severa» - che un giorno le fa: «A 28 anni, forse, puoi cominciare a fare la coreografa. Forse». è andata che la cosa che le piaceva di più non l’ha fatta. Ha fatto tutto il resto. Ha danzato, presentato, cantato, recitato in cinema, teatro, televisione, ha fatto molto piangere e molto ridere (se vuole, sa far tutto, anche la comica, e la capocomica). è diventata una cosa che prima di lei non c’era: Pippo Baudo, ma femmina. L’evoluzione della soubrette, nel senso più nobile dell’espressione. Infatti ha fatto tutto meno il ”Grande Fratello” (sul punto dice «Per carità! quello mai» e non sta scherzando). Non avesse fatto la ”raffaellacarrà”, sarebbe stata anche un bravo manager. Precisa, puntuale agli appuntamenti. Grandi capacità organizzative. Preparazione in tutto, compresi i dettagli. Capacità decisionale a mille. Molti la temono («non sono una persona facile»). La maggioranza però la ama, perché risulta simpatica e alla mano, e perciò famigliare come una zia («infatti io lo sono, zia. Non ho figli, ma ho due nipoti a cui voglio molto, molto bene»). In più, ha (si vede, ce l’ha) un grande autocontrollo, che le deriva da quell’imprinting non dimenticabile di danza classica. Scuola Ruskaja, che era poi la fondatrice dell’Accademia Nazionale di Danza e - beata lei - non conosceva l’espressione ”velina”. Schiena diritta («sì, io ritengo di avere un impianto di acciaio. Mi sento l’aereo che vola dalla portaerei, che è poi Sergio Japino»). Controllo dei movimenti (e lì si vede la disciplina della sbarra). Postura ferma, non improvvisata, come se stesse per entrare in scena da lì a cinque minuti, precisa, concentrata, mai fuori tempo. All’appuntamento fissato apre la porta della sua casa-studio romana e prima cosa altolà, «qui potete guardare e girare, oltre quella porta no: è casa mia, la mia casa privata. Nessuno ha il permesso di entrare». Se dice no, è no. «La rivista spagnola ”Ola” mi ha offerto molti soldi per un reportage nella mia casa, ma ho rifiutato. Casa mia, è casa mia. Qui il mio lavoro, di là il mio privato. Finito il lavoro, io volo per conto mio», ma s’intende che nessuno la deve vedere, mentre forse si aggira in accappatoio e pantofole come ogni donna fa, in privato e talvolta anche in pubblico, accidenti. Così, apre la porta in nero (stivaletti neri alti e a spillo) e giacchetta bianca, il famoso caschetto perfetto che ogni tanto qualcuno «mi dice ma dài Raffaella, dovresti cambiare colore, farti i ricci, basta con questo corto banale. Ma io credo nella pulizia di una linea, così come in quella di un programma televisivo, di un comportamento. Pulizia!», magica parola che fa sì che «se ti trovi bene pettinata cosi, allora non devi cambiare. E a me, le confesso, non sono mai piaciuti il rococò e il barocco, i troppi gioielli, l’eccesso». Ammette però di essersi «molto divertita con gli abiti più strani del mondo, e la moda si è anche ispirata allo stile che avevo nei miei spettacoli, anni fa. Un certo mio modo di vestire anni 70, per esempio: la minigonna, l’ombelico di fuori, la zampa di elefante... Le zeppe!». Eppure, a ripensarci adesso, «se adesso mi rimettessi le zeppe in un qualche programma, vedrebbero solo quelle, e niente del resto. Scoppierebbe una polemica, scriverebbero ”la Carrà si è rimessa le zeppe!”, e mi capisce, dello spettacolo non parlerebbe nessuno». Succede quando si è molto famosi, e perciò nel privato si diventa minimalisti ed essenziali, ma il sospetto è che questa signora (che non nasconde i suoi anni, e se ha mai fatto un lifting, chapeau a chi gliel’ha fatto, rughette d’espressione comprese) sia nata davvero così, brava bambina decisa a diventare ancora più brava, con una mamma che le ha insegnato una cosa fondamentale («nella vita ci vuole misura»), e le ha sempre predicato un’altra grande verità: «Non fare mai il passo più lungo della gamba. Mai». Detto a una figlia che avrebbe usato anche le gambe, sul palcoscenico, ci è sembrato profetico e persino giusto, in fondo. «Io ho sempre lavorato come una folle. Non ho mai avuto il tempo di fare il riassunto e dire ecco, io ho fatto tutte queste cose. Lavoravo, giravo il mondo, andavo avanti nel meccanismo... sempre con la paura di sbagliare, però». Il successo è arrivato un giorno del ’69, ”Io Agata e tu”: «Mia madre mi chiama da Bologna in via Teulada e mi dice ”ma ieri sera non eri mica tu...”. E io: ”ma mamma, non mi hai riconosciuta!”». Insomma, la mamma le dice «no, ieri sera eri un’altra», era successo che «per la prima volta riuscivo a trasmettere tutto quello che avevo in testa. E all’epoca avevo già fatto molto, mi creda». Cos’è successo, allora. «è successo che ho sentito per la prima volta che la mia vita era cambiata. Vede, io ho sempre messo in gioco me stessa. Sono una donna che si gioca le sue carte, e non lascia che gliele giochino gli altri». E in questo la Carrà è davvero una donna di garbo (vedi La donna di garbo, Carlo Goldoni, 1743). Donna giudice, avvocato di sé stessa e assai autocosciente. Conosce il mondo, conosce i suoi avversari. Li domina, se serve. Non si lascia dominare, vera Mirandolina (vedi La locandiera, Carlo Goldoni, 1752) nata però a Bologna, «di famiglia borghese. Perbene». Una che con garbo e sapienza - non damina leziosa, non ammiccante - dice no, e mette ognuno al suo posto. La Rai, per esempio. «Se mi danno venti giomi per preparare un programma, piuttosto non ci vado. Non faccio la preziosa, sia chiaro. è che preferisco rinunciare, ma non soffrire. Ho sofferto quando ho fatto ”Sogni”, preparato in un mese quando ce ne volevano tre». Professionismo, insomma. «Detesto la parola ”professionismo”. Quanti dicono la Carrà è una vera professionista!”. Ma è come dire che bisogna lavarsi i denti tutte le mattine». Atto dovuto, tanto per non sbagliare si dice «ottima professionista» (e magari, a parte, «però un po’ rompicoglioni, eh! diciamocelo...»). «Sa, quando preparo un programma mi pongo sempre il problema di chi mi guarda. Per esempio, i bambini e gli adolescenti. Io sono sempre stata un esempio di energia... ”ti vedo e vado avanti”, quanti mi hanno scritto così. E allora, non puoi mostrare che tutto è semplice, che vai in tivù mezzo nudo e diventi un personaggio. Non è il messaggio che voglio dare. Non fa parte di me. Vedo questi ragazzi in televisione, nessuno che gli spieghi che esiste un ”dentro” della persona. Un po’ più di interiorità, che diamine. E i reality show, poi...». Che hanno, le fanno schifo? «Io dico: perché devi fare finto quello che puoi trovare vero? Lì è tutta una finzione. E i conduttori? Non si sentono idioti, con quegli attori che fingono dì vivere storie pazzesche? Io morirei, io cercavo sempre e solo storie vere». E allora che fa, rinuncia? «Certo. Vado in Spagna. Ho appena preparato uno show per l’adozione a distanza di mille bambini. Le mostro una foto, guardi qua». Nella foto c’è la regina di Spagna, e il re di Spagna in persona. Sorridono. «Mi sono molto emozionata, a conoscere Sofia. Lei anche, mi ha detto di aver pianto per una puntata di ”Oh Raffaella””. Be’, son soddisfazioni. Le confesso una cosa: manca l’aria, in Rai. E anche in Italia, manca proprio l’aria». Manca il respiro, ma in realtà lei respira benissimo lo stesso, e domani parte per Madrid «dove mi aspetta il mio dentista di fiducia», e bon voyage a questa donna di garbo, bon voyage. Brunella Giovara