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 2006  febbraio 02 Giovedì calendario

L’umana sete di prefazioni. L’Espresso 02 febbraio 2006. Quello di cui sto per parlare non accade certamente solo a me, ma in genere a tutti coloro che, avendo pubblicato libri o articoli, godono di una qualche notorietà in un campo specifico

L’umana sete di prefazioni. L’Espresso 02 febbraio 2006. Quello di cui sto per parlare non accade certamente solo a me, ma in genere a tutti coloro che, avendo pubblicato libri o articoli, godono di una qualche notorietà in un campo specifico. Ma non bisogna solo pensare a un grande poeta, a un premio Nobel, a uno studioso emerito. Ritengo (anzi so) che incidenti analoghi occorrono anche al preside di un liceo di provincia che, sia pure nell’ambito della propria comunità locale, anche senza aver mai pubblicato nulla, ha acquisito la fama di persona dotta, rispettabile e attendibile. Dunque a tutti costoro capita che venga richiesta la prefazione per un libro altrui. A questo tipo di richieste ciascuno reagisce come desidera, e per alcuni la richiesta suona a riconoscimento desiderabilissimo, ma accade ad altri, e certamente a me, che le richieste di prefazioni siano decine ogni mese - su qualsiasi argomento e da parte di chiunque, dal bravo collega al poetastro a proprie spese, dal neo-romanziere all’inventore di una nuova macchina per il moto perpetuo. Ora rispondo di solito che (a parte l’impossibilità di leggere tutti quei manoscritti, e il rischio di apparire come prefatore a tassametro), avendo già detto di no ad amici carissimi, dire di sì a un altro suonerebbe per loro come offesa. E di solito la cosa finisce lì. Ma, quando il richiedente è un amico, perdo tempo a scrivere una lettera più particolareggiata, in cui cerco di spiegare quanto molti decenni di lavoro nel mondo dei libri mi hanno insegnato. Spiego pertanto che il mio rifiuto mira a salvarlo o salvarla da un di sastro editoriale. Ci sono solo tre casi in cui la prefazione non fa male. Uno è la prefazione da Vivente a Defunto: in tal caso anche un giovanotto di vent’anni può permettersi di introdurre una nuova edizione dell’Iliade, e Omero non ne subisce danno. L’altro è la prefazione da Grande Vecchio a Fanciullo, quando cioè un autore celeberrimo presenta un giovanissimo e sconosciuto esordiente e, per così dire, garantisce per lui. Per quanto invece concerne le prefazioni da Adulto Vivente a Vivente Adulto, salverei solo il caso di Prefazione Testimonianza, quando cioè, per sostenere un libro che si ritiene ideologicamente e moralmente importante, il prefatore aggiunge la sua voce a quella dell’autore così come avrebbe firmato un appello. Io, che sto parlando contro le prefazioni, ho appena firmato la presentazione di una antologia critica di testi della rivista antisemita ’La difesa della razza’, non per presentare l’autrice (non ignota) bensì per aggiungere la mia voce alla sua e fare di tutto perché il libro sia letto. Ma in tutti gli altri casi le prefazioni vibrano un colpo mortale al prefato. Di solito l’autore o l’editore, chiedendo a tale Prefatelli una prefazione per il libro di tale Autorucci, ritengono che la notorietà di Prefatelli possa fare vendere alcune copie in più. possibile che questo accada, anche se non in proporzioni consistenti, ma l’effetto che si ottiene sui lettori avveduti è il seguente: "Se questo Autorucci, di cui non sapevo nulla, ha bisogno di farsi sostenere da Prefatelli, è segno che era giusto che io non ne sapessi nulla". Se io entro in una libreria e trovo un libro di Autorucci, poniamo sulla memorialistica nell’età post-guglielmina, la mia prima reazione è: "ma guarda come sono ignorante, non sapevo nulla di questo Autorucci, che deve essere un grande specialista dell’età post-guglielmina!". Si noti che il fenomeno è molto naturale: se qualcuno in una conferenza o nella nota di un altro libro, mi cita l’opera di tale Autorucci, che non conoscevo, la mia prima reazione (se sono persona saggia) è di sentirmi culturalmente in difetto, e di ripromettermi di consultare prima o poi questo Autorucci. Se invece trovo dal libraio l’opera di Autorucci e vedo che reca una prefazione di Prefatelli, mi tranquillizzo subito: era naturale che non conoscessi Autorucci, visto che ha bisogno dell’avallo altrui per farsi prendere in considerazione. Questo mio ragionamento mi pare ovvio, lineare, persuasivo, e quando lo comunico a chi mi ha chiesto una prefazione aggiungo che io, personalmente (e sarà magari un deplorevole eccesso di ’hybris’, non discuto) non vorrei mai farmi prefare da nessuno - anzi, sono persino contrario al caso del maestro universitario che scrive la prefazione all’allievo, perché rappresenta il modo più letale (per le ragioni sopra elencate) per sottolineare la giovinezza e l’immaturità dell’autore. Ebbene, di solito il mio interlocutore non rimane convinto, e ritiene che il mio ragionamento sia ispirato a malanimo. Così, a mano a mano che invecchio, molte persone che ho tentato di beneficare col mio rifiuto, mi diventano nemiche. A meno che si verifichi il caso (che, giuro, si è verificato davvero) del tizio che ha poi pubblicato il libro a proprie spese ponendovi come prefazione la mia cortesissima lettera di rifiuto. Tale è l’umana sete di prefazioni. Umberto Eco