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 2006  febbraio 02 Giovedì calendario

ElBulli, il circo culinario dei fratelli Adrià, Ventiquattro, marzo 2005 «Ah, siete venuti per l’artista! Encantado!»

ElBulli, il circo culinario dei fratelli Adrià, Ventiquattro, marzo 2005 «Ah, siete venuti per l’artista! Encantado!». Ferran Adrià accenna un inchino da gentiluomo d’altri tempi. è probabilmente il cuoco più famoso del mondo, ma non parla in terza persona: l’artista in questione è il ”fratellino” Albert. Dire che Albert è l’eminenza grigia che si cela dietro al successo di ”elBulli”, il ristorante a tre stelle di Ferran, sarebbe un’esagerazione. Ma è vero che, mentre il fratello maggiore regge sulle sue spalle tutto il circo mediatico, il minore dirige il taller, l’officina-laboratorio che nei sei mesi di chiusura del ristorante vede nascere i concetti e i procedimenti che si trasformeranno nei piatti della stagione a seguire. «Servono due segretarie solo per gestire l’agenda di Ferran! Finirà a morire, se continua così...». Albert comincia la frase con un sorriso divertito e la finisce con un tono sinceramente preoccupato. Tra i due ci sono appena sette anni di differenza, ma se ad Albert (35) se ne possono tranquillamente togliere cinque, a Ferran (42) è facile darne almeno dieci in più. Ciononostante, corre a petto nudo da una parte all’altra del loro quartier generale, fra la cucina, la sala riunioni e il salottino per le riprese televisive dando istruzioni a questo e quello; contemporaneamente cerca di abbottonarsi una camicia e infilarsi una giacca. Ci si stanca solo a guardarlo. Albert non è da meno: approfitta subito della piccola distrazione offerta dal fratello ed è di nuovo in cucina a discutere con Luca, giovane cuoco italiano, del modo migliore di tagliare una sfoglia ottenuta con farina di riso nero, qualità Venere: tagliolini, lasagnette o meglio ancora pezzettini che riproducano la misura dei chicchi originari, magari da proporre fritti? Sembra tutto complicato, ma indubbiamente interessante. Non per niente le richieste di prenotazione per i quattordici tavoli di ”elBulli” arrivano da tutto il mondo, così copiose che quelle per il 2005 sono chiuse da mesi. Nonostante il ristorante apra solo da aprile in poi. Ne accettano già per il 2006? «Non siamo mica il Cirque du Soleil! No, non sarebbe serio - dice Albert - Abbiamo troppo rispetto per i nostri clienti: vengono dagli Stati Uniti, da Singapore, dal Giappone fino in Costa Brava proprio per mangiare da noi». Una eterogeneità tenuta in gran considerazione: se gli olandesi sono abituati a cenare entro le 18, gli spagnoli non si mettono a tavola prima delle 21. Così da ”elBulli” si comincia alle 19,30. Il pranzo non è nemmeno contemplato: nonostante ci siano 40 cuochi per 50 coperti, le preparazioni sono così elaborate da non permettere i due turni. Il personale lavora comunque 14 ore al giorno: quando Albert e Ferran arrivano in cucina, intorno alle 11 del mattino, lo staff è già al completo e lo chef che si occupa esclusivamente di fare la spesa («ha 23 anni ed è già una ”macchina”», osserva Albert) presenta loro i prodotti del giorno. Il menù viene quindi elaborato sulla base dei procedimenti studiati durante l’inverno («Arriviamo al ristorante con 300 idee nuove») e della loro applicabilità alla materia prima disponibile, la cui qualità è ineccepibile. «Prima guardiamo al mare che abbiamo davanti; poi al parco biologico che abbiamo dietro; poi al mercato di Barcellona; infine a quello internazionale», recita Albert mentre Ferran, di passaggio, annuisce: deve essere il loro mantra. Per fare un esempio, il wasabi arriva fresco dal Giappone e viene grattugiato al momento: è quasi tutto profumo, di un verdino marcio che non ha niente a che vedere con i grumi urticanti e fosforescenti ai quali siamo abituati. «Ora lo coltivano anche in Olanda. Ma finché non sarò in grado di distinguere un wasabi buono da uno medio continuerò a ordinarlo a Tokyo», spiega Albert mentre esamina una delle sue fantasiose preparazioni: ”acqua di Parmigiano” che gli ha portato Luca. Il sapore è molto forte: un cucchiaino e sembra di averne mangiato un etto. «Sto studiando il modo di usarla per la pasta. Ci sono così tante possibilità in cucina... il sale di conservazione delle acciughe, per dirne una, così ricco di sapori: penso di unirlo alla scorza di limone, sempre per la pasta. E poi: ho da poco scoperto quanto i tartufi si sposino bene con il sale mescolato al tè verde, per via degli accenti terrosi che hanno in comune». La ricerca è instancabile al taller, uno splendido appartamento in un antico palazzo di Barcellona: giardino pensile con piccolo aranceto, soffitti alti sei metri, piastrelle decorate a mano. Sul bancone viene srotolato a più riprese un telo nero plastificato da cui basta eliminare la parte sporca per avere in un attimo un piano di lavoro pulito. L’unico chef in borghese lavora su un laptop spostandosi man mano che lo spazio che occupa viene reclamato da una casseruola o da una bastardella: sverna così, rispondendo alle e-mail dei giovani che chiedono di fare uno stage a ”elBulli”. Quest’anno ne sono arrivati già un migliaio, ma ne verranno accolti solo 25. «Se preparare le idee per la nuova stagione è come mettere insieme una collezione di moda, scegliere e gestire gli apprendisti è come mettere insieme una squadra di calcio. A chi lavora bene e tanto, permettiamo di restare un anno in più. Conviene a noi, che possiamo contare su una presenza sicura. E conviene a loro», dice Albert strofinando le dita nel gesto dei quattrini. Ma non è certo il salario di 12 mesi con gli Adrià che questi ragazzi cercano: chi può citare ”elBulli” nel suo curriculum troverà lavoro ovunque e potrà chiedere uno stipendio adeguato. Perché è una scuola di altissima cucina. Paradossalmente messa in piedi da due autodidatti: Ferran è arrivato a ”elBulli” nel 1983 con poco più della competenza acquisita nelle cucine militari, su invito di un commilitone conosciuto durante la leva; Albert lo ha seguito due anni dopo, appena sedicenne, perché il ristorante aveva bisogno di manovalanza giovane ed economica. Il resto è storia. La storia di un ristorante osannato, ma anche bistrattato dai critici. «La cultura gastronomica - avverte Albert - aiuta a capire una preparazione, ma a ”elBulli” si deve gustare, godere il cibo. Non studiarlo. è la disposizione d’animo di chi mangia che è importante». Insomma, non ci si deve sentire in soggezione davanti a un dessert che pare studiato alla Nasa? La risposta del giovane Adrià è seria e ferma: «Con un’arancia posso fare di tutto, anche giocarci a pallacanestro. Ma quando la mangi devi poterla riconoscere subito». Sasha Carnevali