Giancarlo Dotto, 2 febbraio 2006
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 17. Il pene tigrato di Michael Jackson La mosca fa schifo
Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 17. Il pene tigrato di Michael Jackson La mosca fa schifo. D’accordo. Ma cosa fa una signora mosca quando, per sua esclusiva leggerezza, finisce nella tela di un ragno? Non si mette a scrivere la sua autobiografia in 18 capitoli e 362 pagine a corpo 12. Si agita un po’, sbatte le ali e muore. Cretino forse, ma esemplare. Se c’e un incubo da testimoniare non contate sulla mosca. E nemmeno sul calabrone. Di tutti gli esseri viventi del Creato, l’uomo è l’unico convinto di avere una vita da raccontare e che questa presunta vita possa interessare a qualcuno che non sia pagato per farlo. per questo che nei cortei funebri trovi più perplessità che dolore. Il morto che ti manca è lo stesso che hai mancato da vivo. E non è mai un’impresa facile mettere insieme dal pulpito la dozzina di barzellette che servono alla compilation di una memoria decente. Il che non è affatto crudele, ma casomai struggente come un gancio di Tyson non ancora passato sullo sgabello di Bonolis. Se tu non sei un grafomane strapagato o vizioso, fissarsi nella stesura di un tuo «via col vento» è roba da adolescenza senile. Un eccesso di salute oltre che di ambizione. In questo caso basta prendere un lassativo salino per una settimana, meglio ancora il digiuno assoluto, due litri d’acqua diuretica e un bicchiere di marsala ogni ora invece dello spinello, che non rischi così di finire nelle grinfie dei Muccioli. Non scrivi autobiografie se sei uno straccio. Non stanno insieme le statuine del presepe se il somaro non ce la fa ad alitare. A meno che tu non sia Michael Jackson. E allora la musica cambia. La storia regge. La foto del suo pene tigrato (o leopardato?), esibita al tribunale di Santa Maria da Ernie Rizzo, investigatore privato ed ex detective di Chicago, è già leggenda che fa rumore nella galleria delle esuberanze on line, insieme all’organo genitale mummificato di Napoleone (non più grande di un dito) e all’erezione stereofonica di Rocco Siffredi, paragonabile solo a quella del papero argentino. Per non parlare del celebre moncone sforbiciato e gettato nel water dell’ex marine John Wayne Bobbit, su cui hanno composto più di una ballata commovente. Il pene leopardato (o tigrato?) non è solo una barzelletta truce che amplifica l’eventuale peccato di pedofilia. la perversione eroica di un Otello wagneriano che, pur di esistere da bianco piuttosto che da nero, ha sfidato e violato le leggi di natura, più o meno come il texano alcolista, Michael Warner, morto per un clistere allo sherry somministrato dalla moglie devota. Le foto sequestrate nella villa di Neverland non lasciano dubbi sulla natura diabolica di quelle macchie color seppia, meglio visibili nella documentata erezione della popstar. Non c’entra la vitiligine. Strofinarsi ogni mattina il pene con la candeggina consegna Michael Jackson alla grandiosità del gesto estremo, sullo stesso piano del connazionale che il pene se lo strofinava nell’hamburger con il ketchup per invogliare il cane a fargli un lavoretto orale e al tifoso inglese che si è tatuato sul pene la formazione intera della nazionale che ha vinto i mondiali del ’66. Giancarlo Dotto