Filippo Ceccarelli la Repubblica, 04/01/2005, 4 gennaio 2005
L’Orso Marsicano non si estingue in un amen, la Repubblica, venerdì 4 gennaio 2005 Gratta gratta, dietro ogni scontro di potere si nasconde la natura belluina, con le opportune ricadute non solo zoologiche, ma addirittura totemiche
L’Orso Marsicano non si estingue in un amen, la Repubblica, venerdì 4 gennaio 2005 Gratta gratta, dietro ogni scontro di potere si nasconde la natura belluina, con le opportune ricadute non solo zoologiche, ma addirittura totemiche. E dunque, per quanto gli studiosi lo classifichino tra i carnivori, l’orso bruno marsicano (ursus arctos marsicanus), che certo popolava l’area della Ciociaria da cui proviene il Governatore Antonio Fazio, è per il 90 per cento vegetariano. Ma qui interessa anche il restante dieci per cento. Si tratta infatti di una bestia che pesa oltre 160 chili. Sembra goffa, ma nella corsa è molto più veloce di un uomo e può arrampicarsi sugli alberi fino a sette metri. Piuttosto miope, ha però udito e olfatto finissimi. Ma soprattutto ha una forza poderosa e - attenzione qui - con una zampata può scagliare in aria una pecora. Ecco. Converrà a questo punto ricordare che tempo addietro Fazio si era paragonato a un orso bruno marsicano. Creatura in via d’estinzione, un po’ come i democristiani. Ma non per questo disponibile a farsi fare la pelle. E infatti. Dopo mille peripezie, la maggior parte delle quali dannose per l’Istituto che Fazio rappresenta, il Parlamento ha riconfermato il suo potere: a vita. questa una regale prerogativa che in realtà ha a che fare con l’autonomia della Banca d’Italia: dovrebbe proteggerla dalle intromissioni della politica. Ma quando queste sono più che evidenti, e tra Palazzo Grazioli, via Nazionale e il Parlamento tocca registrare un vortice di telefonate, biglietti, consigli, riunioni, pranzi e cene, ecco che l’interminabile mandato del Governatore sa di privilegio anacronistico, di concessione misteriosa, di ipocrita do ut des. In omaggio all’indipendenza della Banca d’Italia il governo nemmeno partecipa alla cerimonia delle Considerazioni finali. Ma anche le liturgie si svuotano, e facilmente le istituzioni perdono la loro sacralità attorno al tavolo di una trattativa. E comunque: quando mesi orsono un giornalista italiano ha cercato di spiegare a Paul Volcker che il numero uno di Bankitalia non aveva scadenza, l’ex presidente della Fed stentava a crederci, o forse faceva finta: « sicuro di questo?». Sicurissimo. Com’è sicuro che anche dalla Bce, hanno rimarcato a tale riguardo la «eccezionalità del caso italiano». Ancora più eccezionale, poi, per la posta in gioco, i poteri coinvolti, il garbuglio di alleanze, la battaglia che s’è combattuta attorno a Fazio. Battaglia quant’altre mai oligarchica, di Palazzo, combattuta non solo dentro il centrodestra e il centrosinistra, ma anche fra europeisti e «nazionali», liberisti e sociali, tecnocrati e politici, guelfi e ghibellini e chi più ne ha più ne mette. Ecco: ieri è finita. E Fazio ha vinto, ma da cristiano studioso di Agostino e Tommaso, appassionato di etica, frequentatore di parrocchie, pellegrino a Compostela, amico di cardinali, capofila dei banchieri cattolici, persona attenta ai problemi della povera gente, che ce n’è sempre tanta in giro, non solo quel barbone cui diede l’elemosina in una celebre fotografia, ecco, Fazio non può non sapere che con questa sua vittoria rischia di perdersi nel suo stesso orgoglio di vincitore. Ha salvato la poltrona, insomma, ma l’anima - vanitas vanitatum! - è più importante. Come pure l’anima, la reputazione, la fiducia in quella specie di tempio o di convento che è la Banca d’Italia, beh, anche questa entità è qualcosa che vale per tutti, mica solo per lui, o per Berlusconi che deve salvare i figlioli dal reato di falso in bilancio, o fare un favore al cardinal Ruini. Né si esaurisce nell’aiuto ai leghisti rimasti impicciati nei loro fallimenti finanziari, o serve a Tremonti che è rimasto scornato, a Tabacci, a La Malfa e a un’altra dozzina di potenti. Sarebbe bello poterla ricostruire come una storia edificante: non un ferino conflitto di potere fra orsi, leoni e volpi, zuffa a tratti anche onirica, o da circo. Viene in mente la scena di Staffelli che insegue il Governatore con un enorme tapiro dorato, 31 ottobre 2003, 79esima Giornata del Risparmio, e non è la prima volta, le telecamere hanno già mostrato a milioni di telespettatori il labiale di Fazio che, messo alle strette, avrebbe detto alla scorta qualcosa tipo «dategli un po’ di botte». Stavolta l’appostamento è meglio organizzato, i tapiri sono due, tutt’intorno c’è un umanità surreale, in costume, ballerini di tango per la questione dei bond argentini, barattoli di pomodoro per i guai della Cirio. L’orso è furbo, scappa da un’uscita secondaria. Arriva Tremonti, a piedi, sorridente. Chiede lui il tapiro: «Datemi quello piccolo, lo metterò sulla scrivania accanto al barattolo della Cirio». questo il clima in cui esplode lo scandalo Parmalat: 140 mila azionisti fregati dalle banche che lui dovrebbe o avrebbe dovuto controllare. Fino a quel momento Fazio si è mosso sulla scena politica come un consumato democristiano. Ha convissuto e litigato con il centrosinistra, polemizzando e adattandosi poi al centrodestra, al quale ha offerto la promessa di «un nuovo miracolo economico», figurarselo. Se proprio deve, si sente un jolly centrista; come tale si lascia corteggiare da questo o da quello, ma scenderebbe in campo solo come salvatore della Patria. A via Nazionale, di tanto in tanto, succede. Tremonti invece gli scarica addosso la Parmalat trascinandolo nel gorgo delle umiliazioni. Sentito alla Camera divulga 18 tra lettere e biglietti per dimostrare che Fazio colpevolmente ha relegato la questione fra le cose minori, «de minimis». Lui minimizza, appunto: «Sono quattro soldi». Ma resiste, anzi a quel punto la famosa zampata alza-pecore va a segno: Tremonti è «esperto di paradisi fiscali». Dura così per mesi. Berlusconi lascia fare. Fazio resta sulle sue. Ha dalla sua i numeri, può fare la Cassandra: l’economia non cresce, il paese è in declino, la riforma delle pensioni non basta, il taglio delle tasse non serve a nulla, vanno ridotte le spese. Poi la verifica travolge tutti e tutti costringe a rifare i conti, a ribaltare desideri ed equilibri. Si capirà tra anni cosa è successo davvero. Certo Fazio non resta con le mani in mano. C’è un partito «fazista» che si mobilita in ogni partito, in ogni palazzo, anche apostolico, plausibilmente. Questa è l’eterna storia del potere. Resterebbe il tema dell’autonomia della Banca d’Italia. Ma quella ormai sembra una roba superata, una roba da Einaudi, da Baffi, da Ciampi. Filippo Ceccarelli