Varie, 1 febbraio 2006
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Salter James
• (James Horowitz) New York (Stati Uniti) 10 giugno 1925. Scrittore • «’Niente di tutto questo è reale... Sto solo buttando giù i particolari che mi sono entrati dentro, frammenti che sono riusciti ad aprirsi una breccia nella mia carne... Voglio che chi legge questa storia sia rassegnato quanto lo sono io. C’è già troppa passione nel mondo...” lamenta l’anonimo voyeur che fa da voce narrante a uno dei più ammirati romanzi erotici del Novecento americano, Un gioco e un passatempo (Bur) di James Salter. Pubblicato la prima volta nel 1967 [...] Un gioco e un passatempo è un libro ”osceno ma puro”, dice l’autore [...] ”Era il mio terzo romanzo e fu una svolta. Il mio editore lo rifiutò immediatamente e altri fecero altrettanto. Volevo raccontare cose irraccontabili ma allo stesso tempo anche irresistibili. Da viaggiatore, so che chi viaggia va quasi sempre in cerca dell’amore”. Nel romanzo di Salter’il terzo libro su dieci di una carriera anomala’ i viaggiatori sono due [...] Da un lato abbiamo il voyeur, la voce narrante: un americano anonimo di 34 anni che corteggia una divorziata e trascorre l’inverno ad Autun, una cittadina della Borgogna, ospite di amici che nel frattempo tirano l’alba a Parigi svuotando i bar. E dall’altro c’è Philip Dean, una decina d’anni di meno e l’allure dell’eroe romanzesco: un ragazzo intelligente e irrequieto che ha lasciato un’università del privilegio come Yale per perder tempo nella sonnolenta Autun. Suo padre è un famoso critico teatrale, sua madre si è suicidata. Una sera, ad Autun, Dean seduce una diciottenne francese che aveva visto accompagnarsi a un soldato americano di colore. ”Anne-Marie Costallat, nata l’8 ottobre 1944” recita il voyeur. ”Io stavo incominciando il liceo e mi masturbavo due volte al giorno, piegato su me stesso come una foglia morta, quando lei nacque, in un letto di viole... ”. E più tardi e più vicino al malinconico finale: ”Mi sono chiesto spesso davanti ai piatti vuoti nei ristoranti, nei caffè dove rimangono solo i camerieri, se per un caso fortunato, se le cose fossero andate diversamente, chissà, sogno, se avrebbe potuto essere mia...”. Il narratore è dunque intrusivo alla maniera dei romanzi sperimentali degli anni 60, un sonnambulo che vede attraverso imuri e le lenzuola: immagina, desidera, registra i gesti dell’altro. ”L’ha avvolta in un asciugamano enorme, soffice come un mantello... Comincia ad aprire l’asciugamano con delicatezza, glielo toglie come una fasciatura. Appare la sua carne, ancora lievemente profumata di sapone... La vera Francia, pensa, la vera Francia”. proprio in quella Francia che Salter [...] racconta [...] di aver vissuto da riservista nel ”61 e ”62 all’epoca della crisi di Berlino, richiamato nell’aviazione militare dopo che nel ”57 aveva comandato a se stesso ”Scrivi o muori” e lasciato una carriera di pilota col grado di maggiore e più di cento missioni in Corea, nell’idea condivisa con Saint-Exupéry, che ”chi fa la guerra non combatte. Chi fa la guerra uccide”. una rinascita: cambia nome da Horowitz a Salter, scrive romanzi, divorzia, si risposa, ha tre figli, scrive sceneggiature per Hollywood, vince un premio a Cannes e un giorno s’ispira a una frase del Corano ”’Ricordati che la vita di questo mondo non è che un gioco e un passatempo”’per raccontare la sensualità della provincia francese dal cielo slavato e l’odore di marcio nei cortili, accanto a quella di due ragazzi innamorati e condannati: ”Ci sono momenti terribili in cui vedi l’amore con occhi freddi. Anne-Marie ha la faccia di una commessa”. Ha anche l’alito cattivo e gusti squallidi. ”[...] la Anne-Marie del libro aveva un modello. Venne in America. Non la vedevo da molto tempo quando [...] questo libro entrò nella Modern Library (l’edizione che consacra i capolavori americani, n.d.r.). E una sera per festeggiare l’evento George Plimpton, il direttore della rivista letteraria ”Paris Review’ che lo aveva a suo tempo pubblicato, diede un pranzo in un ristorante di Madison Avenue. Io stavo raggiungendo il ristorante quando vidi una limousine accostare e una lunga gamba velata affacciarsi sul marciapiede. Era lei. Fu un caso incredibile che si trovasse lì. Non sapeva nemmeno che avessi scritto il libro”. Salter non sorride, sembra ne sia incapace. ”Non la salutai’dice’e lei non mi vide. Eravamo entrambi accompagnati. Non dissi nulla alle persone che mi attendevano al ristorante. Non mi avrebbero creduto. Cerchi di capirmi: io non ero Philip Dean, ma lei era stata la mia amante. Un anno dopo mi rintracciò e volle pranzare insieme. Aveva avuto una vita di successo e priva di interesse. Quello che in lei è interessante, l’ho creato io”» (Livia Manera, ”Corriere della Sera” 1/2/2006).