Varie, 1 febbraio 2006
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King Coretta
• Marion (Stati Uniti) 27 aprile 1927, Rosarito Beach (Stati Uniti) 30 gennaio 2006. «La sera del 4 aprile 1968, quando il proiettile trapassò il collo del marito e lo uccise, una donna che lo attendeva a casa vide morire il proprio sogno di essere compagna, moglie, madre dei suoi quattro figli e fu condannata a diventare santa. Coretta Scott King, la vedova di Martin Luther King jr [...] sarebbe stata, per i quarant’anni che le restavano da vivere, la first widow, la prima vedova dell’America dei diritti civili, la Jacqueline Kennedy degli altri, costretta dagli assassini a occupare lo spazio dei rimpianti che i loro uomini non avrebbero potuto più riempire. Fu la Madonna nera di quella parte d’America che aveva perduto il proprio messia. Coretta, che al momento dell’omicidio aveva 40 anni, non aveva mai scelto né cercato la via dolorosa che il marito aveva coscientemente scalato, dalle prime marce di protesta in Alabama, fino a quella sera al balcone del motel di una Memphis. Coretta Scott era una donna forte, “persino più forte del marito” dirà Jesse Jackson, la figlia di un bracciante dell’Alabama e nipote di schiavi, che aveva, attraverso il miracolo delle scuole pubbliche, scavalcato i campi di cotone per frequentare una piccola università nel nord liberal e “di sinistra” che accettava studenti di ogni sesso e colore, l’Antioch College dell´Ohio. Si era laureata in magistero, per fare uno dei pochi lavori non manuali possibili a una donna di colore, molto prima che Rosa Parks [...] decidesse di cambiare posto in autobus nella città dove Coretta sarebbe morta, Montgomery, Alabama, chiudendo il cerchio della storia. Non era dunque la solita farmer’s daughter, la figlia del contadino sposata a un brillante pastore battista venuto da Atlanta, che aveva conosciuto a Boston, dove lei frequentava un corso per un altro diploma, in bel canto e lui predicava. Ma aveva capito, per intelligenza e per sensibilità, che il suo posto accanto a quell’uomo non sarebbe mai potuto essere altro che di sostegno a una missione che il marito si era assunto come una croce e che lo aveva fatto rapidamente crescere come il leader di quella rivoluzione non violenta, culminata nel discorso di Washington del 1963. Coretta gli aveva dato quattro figli, la primogenita, Yolanda, il primo maschio obbligatoriamente battezzato Martin Luther III, poi Dexter Scott e l’ultima, Bernice, che fu ordinata “pastore” della chiesa protestante di confessione Battista, che osa ammettere anche le donne tra il proprio clero. La biografia, divenuta agiografia da vite dei santi dopo l’assassinio del marito, ci racconta di una persona già attiva nel movimento per i diritti civili negli anni 50 e 60, tra dimostrazioni pacifiste e marce di protesta, attività che poi avrebbe intensificato, ma sempre attenta, prudente, straordinariamente dignitosa nel proprio ruolo di custode della fede, non di nuovo pontefice. Incontrandola, era impossibile non avvertire insieme il sentimento di nobiltà quasi regale, ma sempre di rispetto, un “domine non sum digna” che lei trasmetteva. Nella cultura, nella tradizione del sud dal quale proveniva, nero o bianco che fosse, sapeva di essere una moglie, una madre di famiglia, prima di divenire un’icona. [...] L’espressione un po’ attonita, come di chi ancora non crede al proprio destino, che l’accompagnerà nei suoi quarant’anni in veste di Madonna pellegrina di tutti i movimenti civili, dai diritti delle minoranze a quelli dagli omosessuali, nascose al pubblico una donna vera e vivace, che non aveva la vocazione alla santità. Ricorda sempre Andy Young che quando l’entourage di King volò in Europa per il Nobel e si fermarono a Parigi, Coretta volle assistere a uno show scollacciato del Moulin Rouge, nonostante le proteste del marito, e degli altri “reverendi” presenti, preoccupati di essere visti in un locale non proprio mistico, anche se santi, pure loro, non erano. Ma Coretta, e la altre signore, non si arresero. “Ti ho seguito per i sei milioni di miglia, dieci milioni di chilometri, che ha percorso in dieci anni - disse al premio Nobel per la Pace - tu puoi seguirmi per il miglio che ci separa dal teatro”. Nell’eterno conflitto tra umanità e santità, non mancarono nella sua vita accuse di ingordigia per farsi pagare care le reliquie del marito, come i 20 milioni di dollari chiesti (e rifiutati) alla Libreria del Congresso, le cause contro la Boston University, che le custodiva, le polemiche per i soldi accettati dalla società di telefonia Verizon quando usarono il discorso delle beatitudini, lo “I have a dream”, in uno spot ed è noto che i suoi figli siano in lite perenne per l’eredità, i diritti d’autore, lo sfruttamento del nome. Mentre le ultime generazioni di afro americani, i figli della “cultura urbana” guardano a quell’uomo e alla sua beatificazione consacrata dalla festa nazionale in gennaio che Coretta strappò al Parlamento, come a un mito di non violenza che non parla più a loro, preferendo magari un’altra icona del passato, il Malcolm X celebrato da Spike Lee. [...]» (Vittorio Zucconi, “la Repubblica” 1/2/2006). «[...] La prima vita di Coretta era cominciata il 27 aprile 1927 a Marion, in Alabama. Per tirare avanti nel Sud segregato il padre faceva tre mestieri, negoziante, falegname e barbiere, mentre la madre guidava il bus della scuola. I figli aiutavano lavorando la terra e accudendo i maiali, e Coretta arrotondava le sostanze famigliari raccogliendo cotone. Questi sacrifici avevano permesso ai genitori di mandarla alla scuola superiore, all’Antioch College dell’Ohio, e poi al New England Conservator of Music di Boston. In quella stessa città il figlio di un famoso pastore di Atlanta, Martin Luther King junior, stava facendo il dottorato in teologia, e un amico comune decise che dovevano incontrarsi. Martin la chiamò e disse: “Ogni Napoleone ha la sua Waterloo. Questa è la mia: sono in ginocchio davanti a te”. Lei si mise a ridere, perché non si erano mai incontrati, ma accettò un invito a pranzo. “Appena lo vidi rimasi colpita da quanto era basso. Ma poi il suo carisma riempì la stanza”. Lui andò subito al sodo: “In una moglie cerco quattro qualità: carattere, personalità, intelligenza e bellezza. Tu le possiedi tutte”. Lei aspettò sei mesi per rispondere alla proposta di matrimonio, ma il 18 giugno del 1953 si sposarono nella casa dei genitori di Coretta. La cerimonia fu officiata da Martin Luther King senior, che capì subito il pasticcio in cui si stava cacciando il figlio, quando la nuora gli chiese di togliere dal giuramento di nozze l’impegno ad obbedire al marito. Cominciando la sua seconda vita, Coretta pensava alla tranquilla esistenza della moglie di un pastore. King, però, divenne ministro della Dexter Avenue Baptist Church di Montgomery, e il primo dicembre 1955 una sartina nera di quella città, Rosa Parks, decise di non cedere il posto sull’autobus ai bianchi. Era la scintilla che avrebbe incendiato il movimento dei diritti civili, e a soli 26 anni Martin ne sarebbe diventato il capo. Coretta continuò a fare la consorte, mettendo al mondo Yolanda, Martin, Dexter e Bernice, ma organizzava i “Freedom Concert” e stava sempre al fianco del marito, nel 1963 per il discorso “I have a dream” a Washington, o l’anno dopo a Oslo per il Nobel. “Il mio orgoglio maschile - ammetteva lui - mi suggerirebbe di dire che ho plasmato la coscienza politica di mia moglie, ma non è così”. La terza vita di Coretta cominciò il 4 aprile 1968, quando dopo un giro per negozi con i figli ricevette una telefonata da Jesse Jackson: avevano sparato a Martin, doveva correre subito a Memphis. “Dentro di me - pensò lei - sapevo che era morto”. Al funerale sembra la Jacqueline Kennedy nera, con il velo e i bambini intorno, ma nell’istante dello sparo aveva iniziato la sua quarta vita. Era andata a Memphis per marciare alla testa degli spazzini che suo marito voleva aiutare, e da moglie devota si era trasformata in attivista. Nemmeno tre mesi dopo l’omicidio, il 26 giugno 1968, Coretta aveva fondato ad Atlanta il Martin Luther King jr. Center for Nonviolent Social Change, che voleva essere insieme il mausoleo del martire e l’istituzione dove rilanciare il suo sogno. Il successo più significativo era venuto il 3 novembre del 1983, quando uno scettico Reagan aveva istituito la festa nazionale per ricordare King: il presidente avrebbe preferito risparmiare i soldi della giornata lavorativa perduta. La quarta vita di Coretta è stata contestata anche dai leader neri, che l’accusavano di portare via risorse alla Southern Christian Leadership Conference fondata dal marito. Poi non capivano perché sostenesse l’innocenza di James Earl Ray, l’assassino reoconfesso. I figli, invece, litigavano per gestire il King Center. L’ultima lite è in corso, perché Dexter e Yolanda vorrebbero vendere il mausoleo e concentrarsi sulle opere, mentre Martin e Bernice vogliono conservarlo e minacciano cause. A rovinare tutto ci si è messo anche lo storico Taylor Branch, che a [...] ha pubblicato il libro At Canaan’s Edge, in cui sostiene che King tradiva Coretta. [...]» (Paolo Mastrolilli, “La Stampa” 1/2/2006).