Fabrizio Rondolino La Stampa, 25/02/2005, 25 febbraio 2005
Il fascino del conclave è la sua difficile segretezza, La Stampa, venerdì 25 febbraio 2005 L’ultimo conclave della storia si è concluso più di 25 anni fa, e precisamente la sera di lunedì 16 ottobre 1978, quando Karol Wojtyla s’affacciò per la prima volta alla loggia di San Pietro
Il fascino del conclave è la sua difficile segretezza, La Stampa, venerdì 25 febbraio 2005 L’ultimo conclave della storia si è concluso più di 25 anni fa, e precisamente la sera di lunedì 16 ottobre 1978, quando Karol Wojtyla s’affacciò per la prima volta alla loggia di San Pietro. Era durato due giorni soltanto: sebbene la morte di Giovanni Paolo I fosse stata improvvisa e del tutto inaspettata, i cardinali elettori ritornati a Roma trovarono rapidamente un accordo sul successore, destinato ad essere il primo papa «straniero» (cioè non italiano) dopo 455 anni: l’olandese Adriano VI era infatti morto nel 1523. Venticinque anni sono quasi una generazione: ed è dunque comprensibile, se non del tutto giustificabile, una certa strana sensazione d’attesa, quasi impaziente, a tratti, e tuttavia segreta e forse inconfessabile: ma esplicita, palpabile, persino evidente. Roma si prepara al nuovo conclave. Non c’è alcun cinismo nel motto, universale ma di origine prettamente romana, secondo cui «morto un papa, se ne fa un altro». C’è probabilmente un tono di rassegnazione, o di fatalismo; ma c’è anche, e soprattutto, un’affermazione di continuità, e una rassicurazione urbi et orbi: la Chiesa continua il suo cammino sulla terra, la cristianità non resta senza una guida, Pietro trova ogni volta il suo successore. Le lacrime dei fedeli che sfidano la sera raggelata dalla tramontana per vegliare il pontefice di fronte al Policlinico sono sincere; come autentiche sono la passione e la commozione con cui i romani seguono i bollettini medici, le indiscrezioni, le dirette televisive. Ma nei salotti, come nei bar, s’azzardano pronostici sul successore, s’intrecciano discussioni che penseremmo riservate ai vaticanisti, e con qualche curiosità si ipotizzano gli eventi futuri. Nessun papa prima di Wojtyla, del resto, è stato così mediatico, così immediatamente (e senza filtri apparenti) offerto all’opinione pubblica, e dunque anche alla discussione, all’ammirazione come alla critica. Non importa se la causa stia nell’esplosione della società della comunicazione, che dunque non risparmia neanche il Vaticano, oppure in una scelta azzeccata di Giovanni Paolo II, quella cioè di evangelizzare (anche) con la spettacolarizzazione di sé stesso: fatto sta che il «dopo-Wojtyla», se così possiamo dire, appartiene di fatto e probabilmente anche di diritto a questo papato e all’indotto mediatico che quotidianamente produce. Del resto, è noto che tutte le finestre e le terrazze che affacciano su piazza San Pietro sono affittate da tempo ai grandi network americani e internazionali, che hanno già pronta una task force giornalistica da paracadutare - è il caso di dirlo - sulla Città eterna. Il conclave, nella storia di Roma, è qualcosa di paragonabile alle Olimpiadi: un appuntamento straordinario in cui tutto il mondo si riunisce, e la città si trasforma. Certo, l’Urbe è come uno dei suoi gatti, e raramente s’emoziona davvero; ma dietro lo sguardo non sai se assonnato o indifferente si cela in realtà una grande, vispa curiosità. Osti e locandieri denunciano il tutto esaurito, i salotti si aprono alle delegazioni che accompagnano i porporati, e una città parallela, al confine fra sacro e profano, accorda i propri tempi e intreccia il proprio destino all’andamento del conclave, al susseguirsi delle fumate, alle indiscrezioni puntualmente smentite. La segretezza del conclave è parte integrante del suo fascino. Sebbene nasca dall’esigenza, un tempo vitale, di mantenere la Chiesa al riparo dai condizionamenti del potere politico, consentendo ai cardinali una scelta per quanto possibile libera, la segretezza è oggi prima di tutto - ancora! - un problema mediatico. I vaticanisti di norma non conoscono l’irruenza dei cronisti d’assalto, né un monsignore è facile alla dichiarazione come un qualsiasi sottosegretario: e tuttavia le «mappe del potere», gli schemi che elencano correnti e cordate, le fughe di notizie più o meno guidate sono oramai da tempo un ingrediente essenziale delle vicende terrene del Vaticano. Garantire la segretezza è dunque impresa necessaria quanto impervia: e ogni papa, in questo secolo, ha cercato di migliorarne i dispositivi e le modalità. Nel 1945 Pio XII irrigidì i regolamenti proibendo ogni strumento «telefonico, telegrafico e cinematografico». Con Paolo VI si riduce drasticamente il personale coinvolto nell’elezione, così da limitare le fughe di notizie, ma anche si prevede una «bonifica» della Cappella Sistina - cioè la ricerca e l’eliminazione di eventuale microspie. Il 22 febbraio 1996 Giovanni Paolo II promulga a sua volta la Costituzione apostolica Universi dominici gregis «circa la vacanza della Sede Apostolica e l’elezione del Romano Pontefice». Per «adeguare la disciplina del conclave alle esigenze moderne», si stabilisce che «durante tutto il tempo di durata della elezione, le abitazioni dei Cardinali elettori e di quanti sono chiamati a collaborare al regolare svolgimento della elezione stessa siano collocate in ambienti convenienti dello Stato della Città del Vaticano. Anche se piccolo, lo Stato è sufficiente per assicurare entro la cinta delle sue mura (...) quell’isolamento e conseguente raccoglimento che un atto così vitale per la Chiesa intera esige negli elettori». E il capitolo relativo all’«osservanza del segreto» si conclude con un’elegante precisazione: «Perché i Cardinali elettori possano tutelarsi dall’altrui indiscrezione e da eventuali insidie, che potrebbero essere tese alla loro indipendenza di giudizio e alla loro libertà di decisione, proibisco assolutamente che, per qualunque pretesto, siano introdotti nei luoghi dove si svolgono le operazioni dell’elezione strumenti tecnici di qualunque genere che servano a registrare, riprodurre e trasmettere voci, immagini o scritti». C’è qualcosa di curioso in questo scontro fra la più antica delle istituzioni esistenti e la modernità impicciona della tecnologia: e anche questo fa parte dell’attesa. Fabrizio Rondolino