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 2006  febbraio 01 Mercoledì calendario

Irigoin Jean

• Nato a Aix-en-Provence (Francia) l’8 novembre 1920, morto nel gennaio 2006. Grecista. Tra i più grandi, forse il maggiore conoscitore della storia dei testi greci. «Quando, nel 1949, apparve a Parigi, un esile volume intitolato Les manuscrits (I manoscritti), scritto da Alphonse Dain, ebbe inizio una nuova epoca nella storia della filologia. Lo percepì, con la consueta prontezza, Giorgio Pasquali, il quale dedicò a quel libro una importante recensione che intendeva anche segnare la fine di una tradizionale ostilità. L’ostilità -intendiamo-della ”filologia tedesca”, protesa alle grandi architetture ricostruttive, nei confronti di quella francese, più concreta ed empirica. In modo molto sommario si potrebbe dire che il ”metodo” di matrice tedesca, per tanti versi meritorio (il nome simbolo è quello di Karl Lachmann), era proteso a ricostruire un esemplare che non c’è (più) e a ”scartare”, o comunque a usare strumentalmente, i testimoni esistenti, mentre il ”metodo” cui Dain (scomparso nel 1964) e i suoi allievi diedero sostanza e prestigio va in direzione opposta: studia imanoscritti che ci sono. Eli fa parlare, poiché essi in realtà racchiudono una straordinaria quantità di informazioni su ciò che era divenuto un testo antico in una determinata epoca e sugli ambienti che lo hanno usato, ricopiato e conservato. Perciò dall’una vennero fuori trattati intitolati Critica del testo, dall’altra invece I manoscritti. Nel suo libro Dain lanciava già i nomi dei più brillanti suoi allievi - allora giovanissimi - i quali su quella linea hanno percorso poi un grande cammino. Due nomi in particolare ricorrono, quello di Bertrand Hemmerdinger, lo studioso che intuì come era strutturato il manoscritto ”d’autore” di Tucidide, e quello di Jean Irigoin, il quale allora stava ricostruendo la storia del testo di Pindaro (la pubblicò nel 1952) e che approdò poi a scoperte innovative nel campo dei manoscritti greci. Irigoin scoprì ad esempio che tutta una serie di manoscritti di autori in prosa (soprattutto storiografi), confezionati tra IX e XI secolo, cioè nel momento del massimo fiorire della civiltà bizantina, presentano una costante materiale fissa: trentadue righi (di lunghezza standard) per pagina, una ”gabbia” del testo già predisposta con apposite rigature che ancora si rilevano grazie alla traccia lasciata nella pergamena. Un dato come questo rinvia a un ambiente che praticava quella ”gabbia”. Così si giunge a comprendere che c’erano ambienti di copia, con determinate predilezioni culturali, che curavano determinati testi, con determinati contenuti. solo un esempio, ma illumina un modo di procedere che si è rivelato davvero fecondo. Irigoin non arretrava dinanzi all’azzardo della grande costruzione storica: in particolare della ”rinascita” bizantina, dell’epoca e dei luoghi dove si cominciarono a riscoprire gli autori antichi. E su questo terreno incrociò ”le armi” proprio con Hemmerdinger, in una memorabile querelle sulla vera datazione della rinascita degli antichi a Bisanzio. In anni recenti, Irigoin, direttore per tanto tempo della ”serie greca” della ”Collection Budé” (Les belles lettres), aveva raccolto i suoi scritti principali e la sintesi delle sue preziose conférences all’Ecole pratique: un vero dono per gli studiosi. Nell’ultimo anno Irigoin cominciò a proporsi di vendere la sua preziosa biblioteca, che si era venuta formando in funzione appunto di quel tipo di ricerche. Bisognerebbe salvarla» (Luciano Canfora, ”Corriere della Sera” 1/2/2006).