La Stampa 31/01/2006, pag.25 Piero Bianucci, 31 gennaio 2006
Sta affondando l’Arca di Noè. La Stampa 31 gennaio 2006. L’ultimo allarme riguarda gli orsi bianchi
Sta affondando l’Arca di Noè. La Stampa 31 gennaio 2006. L’ultimo allarme riguarda gli orsi bianchi. L’inquinamento li rende ermafroditi, l’effetto serra li manda alla deriva sui grandi iceberg generati dalla fusione della calotta polare. Intanto le baleniere giapponesi fanno strage di cetacei. C’è pure la beffa: la caccia è giustificata come ricerca scientifica. L’eccidio di foche neonate a colpi di bastone per farne pellicce è uno spettacolo ricorrente. Nature annuncia un’estinzione di massa degli anfibi, attaccati da un fungo favorito dall’effetto serra. Foto da satellite mostrano il tappeto verde della foresta amazzonica tagliato in due e ormai pieno di strappi. Era l’ambiente più ricco di vita del pianeta. Qualche giorno fa, in una intervista su Le Monde, Michel Loreau, professore di ecologia all’Università Mac-Gill di Montréal, ha parlato di ciò che sta accadendo come della più grande estinzione di tutti i tempi: «Il ritmo di scomparsa di animali vertebrati e di piante è già cento volte più veloce di quello normalmente osservato nelle ere geologiche. Ma è in atto una accelerazione. Entro pochi decenni potrebbe diventare diecimila volte più rapido del ritmo di estinzione naturale.» Uno studio diretto in Inghilterra da Chris Thomas, basandosi sulle proiezioni climatiche del Gruppo di esperti intergovernativo che vigila sull’effetto serra, calcola che entro il 2050 la Terra potrebbe perdere due terzi delle specie oggi viventi. Quella a cui stiamo assistendo è la sesta estinzione di massa. Le precedenti avvennero alla fine dell’Ordoviciano, 450 milioni di anni fa; nel tardo Devoniano, 364 milioni di anni fa; alla fine del Permiano e del Triassico, rispettivamente 245 e 206 milioni di anni fa. L’ultima estinzione documentata dai paleontologi, la quinta, vide 65 milioni di anni fa la scomparsa dei dinosauri. In quelle catastrofi, forse causate dall’impatto di asteroidi e da conseguenti mutazioni climatiche, scomparvero milioni di specie. Ma l’estinzione in corso sembra ancora più grave perché sta raggiungendo una velocità mai vista. Di questo passo, il XXI secolo sarà ricordato come quello del naufragio dell’Arca di Noè. E la differenza non sta solo nella velocità. Per la prima volta la causa della distruzione è una singola specie: Homo sapiens. James Lovelock, 85 anni, padre della teoria di Gaia che vede la Terra intera come un unico essere vivente, dichiara che soltanto il suicidio dell’umanità può salvare questa super-creatura fatta dall’equilibrio di milioni di specie. Il primo allarme veramente drammatico risale al 1979, quando Norman Myers stimò che il ritmo di sparizione delle specie fosse di 40 mila ogni anno, cioè 109 al giorno. Il rapporto americano sull’ambiente Global 2000 ha ripreso questo dato con il conforto di Edward O. Wilson, famoso biologo dell’Università di Harvard, fondatore della sociobiologia: secondo Wilson scompaiono ogni anno da 27 mila a centomila specie. A complicare tutto c’è il fatto che non sappiamo neppure quante specie abitino la Terra. Quelle classificate sono un po’ meno di due milioni (1,75). Gli insetti, con 950 mila specie, costituiscono la grande maggioranza, 280 mila sono le specie di piante, 72 mila funghi e licheni (simbiosi tra alghe e funghi). Le specie di uccelli sono poco meno di diecimila; quelle di mammiferi 4800. I biologi però sono convinti che la maggior parte delle specie sia ancora da scoprire e classificare. La fascia più alta delle foreste pluviali, tra i 10 metri di altezza e la cima delle piante, è ricchissima di vita e quasi inesplorata. Altrettanto vale per il sottobosco e il primo strato del sottosuolo. Le stime oscillano ampiamente. C’è chi dice che le specie esistenti siano dieci milioni, chi parla di 30 (forse il dato più probabile), chi si spinge fino a 100 milioni. Un’incertezza che esprime tutta la nostra ignoranza. sicuro, invece, che il 97 per cento della biomassa, cioè della materia vivente sul nostro pianeta, appartiene al mondo vegetale e soltanto il 3 per cento al mondo animale. Di questo misero 3 per cento, gli insetti rappresentano più della metà. La massa umana, benché in questi giorni la popolazione mondiale stia raggiungendo i 6,5 miliardi di persone, è irrisoria: 0,01. Le proiezioni dicono che ci stabilizzeremo intorno ai 12 miliardi alla fine di questo secolo. Anche il quel caso, l’umanità sarà una percentuale irrisoria della biomassa. sconcertante che una specie quantitativamente trascurabile sia diventata una minaccia mortale per tutte le altre. Ma ci sono anche altre campane. Bjorn Lomborg, professore di statistica in una Università danese, autore del best seller mondiale L’ecologo scettico, sostiene che l’estinzione attuale è molto sovrastimata. Stabilito che mai la Terra ha conosciuto una biodiversità grande come quella attuale (cosa probabilmente vera), secondo i suoi dati nei prossimi anni scomparirà non il 25-75 per cento delle specie ma un modesto 0,7 per cento. A questa cifra arriva guardando al passato recente: negli ultimi quattro secoli si sono estinte 113 specie di uccelli e 83 di mammiferi. Tutte le specie sono destinate a estinguersi e a essere sostituite da altre più adatte all’ambiente: è la legge dell’evoluzione. La vita media di una specie oscilla tra uno e dieci milioni di anni, e si stima che il tasso di estinzione normale è di due specie ogni anno. Da questo punto di vista, dovremmo stare tranquilli: la Terra non sta per diventare un cimitero. La visione di Lomborg è molto contestata. I suoi calcoli si riferiscono ad animali di grandi dimensioni: uccelli e mammiferi. Ma il numero delle specie è inversamente proporzionale alle dimensioni: si dice che per ogni chilogrammo di elefanti ci sia una tonnellata di microbi, e, come abbiamo visto, gli insetti da soli costituiscono oltre la metà della massa vivente. Poco o niente sappiamo di quante specie di piccole dimensioni stiano estinguendosi. Certo moltissime in quegli ambienti che l’uomo sta modificando: dove la foresta pluviale scompare sostituita da strade e regioni semidesertiche; nelle acque inquinate di mari, laghi e fiumi; nelle vaste aree influenzate dalle megalopoli; nelle terre con coltivazioni estensive delle poche piante essenziali per la nutrizione umana (il riso sfama una persona su due). Lomborg controbatte che non ci sono prove convincenti di queste estinzioni: l’unico caso documentato riguarderebbe le Ande dell’Ecuador. La realtà è che in ambienti come la foresta pluviale non sapremo mai quante specie scompaiono semplicemente perché non le conosciamo, i biologi non sono ancora riusciti a registrarle. In ogni caso lo stesso Lomborg ammette che anche il tasso di estinzione da lui calcolato dello 0,7 per cento su 50 anni è preoccupante. Lo è ancora di più se si osserva che la maggior parte delle estinzioni «ufficiali» di uccelli e mammiferi è avvenuta negli ultimi 150 anni, mentre Lomborg ricava la sua media sugli ultimi 400. Insomma: l’accelerazione c’è, ed è questo il fenomeno più preoccupante. Il meccanismo ecologico è fatto di equilibri delicati. Rompere un equilibrio porta a danni totali e irreparabili. La scomparsa di molte specie in Australia e in Nuova Zelanda si deve all’arrivo del coniglio, che è risultato vincente sugli erbivori locali. Le volpi, introdotte per limitare la popolazione dei conigli, hanno avuto solo l’effetto di sterminare i piccoli marsupiali. Restando in Piemonte, lo scoiattolo locale sta per essere eliminato da scoiattoli americani sfuggiti dalle loro gabbie una cinquantina di anni fa. In natura non si può toccare qualcosa senza cambiare tutto. Piero Bianucci