Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  febbraio 24 Giovedì calendario

Tra Apple e Windows non è una squallida questione di cifre, ma di stile, Vanity Fair, 24 febbraio 2005 Nel gioco Mela contro Finestra, il primo concorrente si presenta con i jeans sdruciti, dolcevita nero e l’espressione tesa e spavalda da rockstar

Tra Apple e Windows non è una squallida questione di cifre, ma di stile, Vanity Fair, 24 febbraio 2005 Nel gioco Mela contro Finestra, il primo concorrente si presenta con i jeans sdruciti, dolcevita nero e l’espressione tesa e spavalda da rockstar. Il secondo ha la giacca blu troppo larga, una camicia perfettamente stirata con i bottoni chiusi, gli occhiali che calano sul naso, e fa avanti e indietro sulla sedia in continuazione. Il concorrente che corre per la Mela si chiama Steve Jobs e ha in tasca un capitale di 2 miliardi e 300 milioni di dollari; la Finestra è difesa da Bill Gates, che con 46 miliardi e mezzo di dollari è l’uomo più ricco del pianeta. Dopo aver creato la tecnologia degli ultimi trent’anni e portato il computer in tutte le case e su ogni scrivania, lanciato marchi, mode, piaceri hi-tech, i signori Windows (finestre) e Apple (mela) si ritrovano affiancati alla linea dei primi cinquant’anni di vita (a Jobs tocca il 24 febbraio, a Gates il 28 ottobre) uniti da una splendida forma (Jobs nel 2004 ha vinto un nemico durissimo, un tumore al pancreas). Il 2004 è stato un esercizio così spettacolare per la Microsoft di Gates da mettere nelle tasche dei suoi azionisti dividendi per 32 miliardi di dollari, quasi il Pil del Kuwait o la finanziaria italiana del 2005. Jobs si presenta con 8 milioni di iPod venduti (più 500% sul 2003), 300 milioni di dollari di utili per la Apple nell’ultimo quadrimestre e un mac mini a 499 dollari. Mentre la corsa è ripresa, vediamo da dove sono partiti i concorrenti: Steve Jobs (più o meno ”Stefano Lavori”) detto l’innovatore e Bill Gates (’Guglielmo Cancelli”) il raccoglitore. Tra Bob Dylan e Harvard. L’inizio per Jobs non è fortunato. Nasce in Wisconsin da Joanne Simpson e da un padre egiziano di cui si perdono subito le tracce; viene dato in adozione a una famiglia californiana: Paul (più o meno rottamatore di auto) e Clara Jobs (amata babysitter dei bambini del vicinato). Dopo aver studiato al Reed College di Portland, nel 1976, a 21 anni, fonda Apple Computer a sua immagine: controcultura della California del Nord, Bob Dylan, vegetarianesimo, passione per la tecnica tedesca e soprattutto un’idea della tecnologia e dei suoi creatori come qualcosa di cool (molto in anticipo sui tempi). E il capo? Più simile a una rockstar che a un imprenditore. Bill Gates, o meglio William Gates III o trey (appunto terzo), nasce da una famiglia di Seattle di quelle dove non si può che crescere bene e arrivare in alto. Madre e padre solidi professionisti e impegnati nella società civile. Due sorelle. Già a 13 anni inventa a scuola i primi software. Poi è un rubare tempo allo studio per smanettare su tutti i computer che trova; lega con un amico poi fondamentale, Paul Allen. Passa per l’Università di Harvard, ma con un occhio alle opportunità di un mondo nuovo che sta per nascere. Nel 1975, a vent’anni, lascia Harvard per fondare la Microsoft. Intanto gli era riuscito il primo colpo: sviluppare e vendere il primo software (Basic) per il computer Altair di una piccola ditta californiana, la Mits. Steve il missionario. A 25 anni, Jobs ha già collezionato 25 milioni di dollari e sedotto molte donne (più tardi anche Joan Baez), poi abbandonate. Da Chris-Ann ha una figlia, Lisa, che lui non vuole riconoscere, fino a quando, dopo le pressioni di tutti gli amici, le garantisce la non fantastica somma di 385 dollari al mese. Vive nella Silicon Valley in case enormi, quasi mai arredate, in cui dorme per terra. Il primo frutto è un computer di sconvolgente semplicità d’uso, il Macintosh. Un’alternativa per tutti quelli che non sopportavano più i calcolatoti brutti come scatole di cartone e fatti per gli ingegneri. Più che un capo, è un ispiratore che con zelo missionario pretende il meglio da sé e dagli altri. è durissimo con i collaboratori, inumano nel bisogno di perfezione. Più le cose vanno bene e peggio tratta tutti, compreso se stesso. Intanto la Apple si concentra sul mercato di nicchia e compie una scelta elitaria di cui si sarebbe poi avvantaggiato Gates. Jobs, infatti, non volle cedere i segreti del suo software al principale produttore di personal computer, Ibm. Se i fabbricanti di pc non potevano accedere ai codici segreti del Macintosh, diventavano di fatto preda dell’altra grande produttrice di software, Microsoft. Nel 1980 Jobs aveva un capitale di 240 milioni di dollari e Gates era ancora sconosciuto. Sei anni dopo, con Microsoft in Borsa, Gates ”valeva” già 375 milioni, Jobs era sceso a cento. Sull’orlo del precipizio. A metà degli anni Ottanta Steve Jobs cade. Uno dei suoi grandi nemici, John Sculley, riesce a esiliarlo dalla Apple. Crea una nuova società, la Next Software Inc., in cui accentua i lati estremi del suo carattere e non pone freni alla sua visione. Nascono computer troppo belli e cari, come il Cubo, oltre seimila dollari, destinato a studenti il cui budget per il pc non superava un quarto di quella cifra. Negli anni successivi, la Next precipita (la fabbrica, progettata per vendere 10 mila computer al mese, arrivava a 400). Steve Jobs no. Con 10 milioni di dollari (un affare), aveva segretamente comperato la Pixar di George Lucas. L’inizio fu difficile, nessuno voleva investire nelle nuove tecnologie digitali di animazione. Dalla sua, Jobs aveva un alleato geniale, John Lasseter, il regista e produttore che poi si farà conoscere per film come Toy Story, Nemo, A Bug’s Life, Monsters e The Incredibles prodotti assieme alla Disney. Dalla sua aveva anche la faccia tosta di presentarsi alla riunione con i vertici Disney per sostenere che erano loro i nuovi creatori di animazioni. Celebre la risposta del capo dei lungometraggi, Jeffrey Katzenberg: «L’animazione è mia e nessuno me la toglie. Sarebbe come se qualcuno volesse prendersi mia figlia. Io sono armato di fucile. E se qualcuno vuol portarmela via, io gli sparo nelle palle». Alla fine fu Jobs a spuntarla. Quando nel 1995 usci Toy Story (il primo film digitale), la Pixar si quotò in Borsa e il valore di Jobs salì a 1 miliardo e mezzo di dollari. Il suo decennio terribile si conclude nel 1997, quando prima riesce a vendere la Next collassata alla Apple e poi è richiamato da vincitore alla Casa della Mela. Jobs ripagò ampiamente il dollaro di stipendio annuo che si era autoimposto, sfornando una sequenza incredibile di prodotti di successo: iMac, iBook, PowerBook e poi inventando un nuovo modo per commercializzare la musica, i fratelli iTunes e iPod. Anche qui, un alleato fondamentale: Jonathan Ive, l’allegro designer della Apple atto secondo. In questi anni rivoluziona anche la vita privata. All’ennesima donna che gli chiedeva di sposarla (pure lei incinta), nel 1991, anche se con fatica, disse sì. Lei è Laurene Powell, biondissima e bellissima, e come lui vegetariana, spirito libero californiano un po’ zen. Con lei avrà tre figli e si deciderà ad arredare la sua nuova casa, una villa anni Trenta a Palo Alto. Ritrova la sorella naturale, Mona Simpson, diventata scrittrice. Un suo romanzo del 1996 s’intitola A Regular Guy e parla chiaramente del fratello. L’inizio: «Era un uomo troppo occupato per fermarsi a tirare lo sciacquone». Se nel privato impara a tirarlo, non è così nel lavoro. Un articolo di ”Forbes” sui boss più duri di America descrive «la sua inumana mania perfezionistica capace di logorare anche il lavoratore più motivato». La ricchezza è bene. Gates costruisce il successo di Microsoft con una continuità impressionante. Segue alla lettera il principio: lascia che siano gli innovatori a sbarcare per primi sulla spiaggia e a subire perdite. Non è un visionario, ma un genio della tecnologia che sa essere al posto giusto al momento giusto. Microsoft aumenta il suo dominio tra i produttori di software fino a diventare pressoché l’unico. Neutralizza i concorrenti prestando soccorso finanziario quando sono decotti o introducendo gli avversari nelle sale del comando di Redmond, dove ha sede la società. Da una decina d’anni Gates è l’uomo più ricco del mondo. I dipendenti di Microsoft sono al 57° posto nella classifica di ”Fortune” tra quelli più felici delle proprie condizioni di lavoro negli Usa (Apple non figura nemmeno). «La ricchezza è bene», dice Gates. E di questo principio fa godere non solo manager e azionisti, ma anche gli impiegati. Assieme con la moglie Melinda French, manager Microsoft che ha sposato nel 1994 e con cui ha avuto tre figli, è un filantropo in grandissimo stile. Alla fondazione che si occupa di salute e istruzione a livello globale, ha consegnato una dote di 27 miliardi di dollari. E nella nebbia spuntò l’Lsd. Confronto ai lampi continui della vita di Jobs, la biografia di Gates sembra una monotona giornata di nebbia. Un solo salto: da giovane hacker, poi imprenditore ineccepibile. Una sola continuità: la passione per il lavoro («non ho saltato un giorno»). Quand’era giovane ha fatto uso di Lsd (o almeno non ha negato il fatto in una delle poche interviste non ingessate che ha dato, molti anni fa a ”Playboy”), ha preso diverse multe per eccesso di velocità (da cui una celebre foto segnaletica). è frugale per sé («L’imprenditore non è una rockstar») e non vizia i suoi tre figli: pensa di lasciar loro in eredità solo qualche briciola, dieci milioni di dollari a testa. Passioni dichiarate: la lettura e il golf. è agnostico. «Esiste Dio?», gli hanno chiesto. Risposta: «Non ho alcuna evidenza di ciò». Ha esagerato solo nella casa. Sette anni di lavori, 97 milioni di dollari di spesa: il ”villaggio” seminascosto di circa seimila metri quadri sulle rive del Lake Washington non è frugale. Piscina con musica subacquea, sala da pranzo per 150 coperti, teatro, palestra, una biblioteca dove fino al 2003 era esposto il Codex Leicester di Leonardo, pagato 30 milioni di dollari e ora prestato al Seattle Art Museum. Secondo il ”Seattle Times” avrebbe speso 14 milioni per comperare le case vicine al suo villone. Un po’ di silenzio nel vicinato. L’invasione degli unni. La gara tra Mela e Finestra continua. Le due società sono sempre più simili ai loro creatori. Microsoft fuoriclasse di strategie finanziarie e in grado di sovrastare ogni avversario, Apple costretta a migliorarsi sempre e a dipendere dal cosiddetto marketing virale, il passaparola tra i consumatori. La base ha sempre avuto un legame viscerale con l’azienda di Steve Jobs. E questo potrebbe diventare un vantaggio strategico. Perché se Microsoft ha acquisito il monopolio del software, Apple ha strettamente quello del cool. E se gli oggetti cool si trovano a prezzi contenuti, la Mela potrebbe accelerare la sua corsa. E poi stanno arrivando gli unni. Di fronte all’invasione dei nuovi software liberi di diritti, Linux in testa, l’atteggiamento di Jobs è stato di aprirsi a un’alleanza, quello di Gates di aspettare (alla finestra) e sbarrare le porte. Errori di valutazione oppure l’ennesima possibilità per il raccoglitore di dimostrare che ad aspettare si guadagna? Jobs e Gates si sono incontrati molte volte in seminari e fiere tecnologiche. Non si sono mai persi di vista durante la corsa. Soltanto una volta però sono riusciti a dirsi tutto fuori dai denti. Peccato che non fossero loro, ma gli attori che li impersonavano in un telefilm di Martyn Burke del 1999: ”I pirati di Silicon Valley”. Gates ha ormai stravinto, il controllo del software è nelle sue mani. Steve Jobs: «Ma noi siamo meglio di te!». E Gates, tranquillo: «Non ci arrivi proprio. Pazienza». Michele Neri