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 2005  febbraio 08 Martedì calendario

Sui valori Don Vitaliano è più prete che no global, Corriere della Sera, martedì 8 febbraio 2005 Don Vitaliano della Sala, il prete no global, il cappellano del G-8 (dei picchiati, non dei picchiatori), vive ancora a Sant’Angelo a Scala, borgo freddissimo sulle montagne tra Avellino e il mare

Sui valori Don Vitaliano è più prete che no global, Corriere della Sera, martedì 8 febbraio 2005 Don Vitaliano della Sala, il prete no global, il cappellano del G-8 (dei picchiati, non dei picchiatori), vive ancora a Sant’Angelo a Scala, borgo freddissimo sulle montagne tra Avellino e il mare. Non più in parrocchia, da cui è stato rimosso, ma a casa sua. Non può più dire messa in paese: «Al mio posto è arrivato un prete argentino, uno dei legionari di Cristo, gli avversari della teologia della liberazione». Molti dei suoi antichi parrocchiani vengono alla messa che celebra ogni pomeriggio a Mercogliano, qui vicino. Don Vitaliano, lei voterà al referendum sulla fecondazione assistita? «Certo che sì. So che Ruini si è espresso per l’astensione. Ma io non sono uno che si allinea». Non ne dubitavamo. E come voterà? «Sono orientato per il no». Questo era meno prevedibile. Lei è considerato un estremista di sinistra. «Io sono un prete che vive nel tempo e nel mondo, tra i giovani, ma non rinuncio ai miei valori. Io sono per la vita e contro la manipolazione genetica e gli abusi di laboratorio, e cerco di trasmettere i valori in cui credo. In questo caso, l’argomento è complesso, difficile da affidare a un referendum». Perché allora non l’astensione? «Un conto è l’astensione elettorale, quando non ci si riconosce in un partito, un altro l’astensione referendaria. Mi pare brutto che l’invito ad astenersi venga non da un privato cittadino ma dal capo dei vescovi italiani. Mi sembra poco civico, poco educativo, mi ricorda il Craxi che invita ad andare al mare». Questo l’ha già detto Andreotti. «La Chiesa, un po’ come i grandi giornali, dovrebbe invitare a riflettere, studiare, capire. Sarebbe bello che chiamasse al dibattito e alla partecipazione. Non dovrebbe scatenare guerre di religione; anche perché poi è la maggioranza che vince, e decide anche per noi. Come quando la Chiesa impose la crociata contro il divorzio. Io sono contro il divorzio...». Contro? «Contro. Ma ormai i cristiani non accettano più le imposizioni dall’alto. La Chiesa dovrebbe aiutare i cristiani a crescere e a scegliere». Detto questo, molti da lei si sarebbero attesi un sì. «Io guardo con sospetto a quanto accade nei laboratori. Non sono contro la scienza; ma so che, accanto ai fini terapeutici, nei laboratori si perseguono anche fini di lucro. Di fronte a una coppia sterile, a una malattia genetica, non si può restare indifferenti. Ma occorre vigilare sulle manipolazioni. Dobbiamo fissare paletti». Il referendum invece? «Li sradica. Non è con un segnetto a matita che si risolvono le questioni della vita, della sua riproduzione, della sua unicità. Certo, usare per la ricerca embrioni votati comunque a morire è come sperimentare medicine su un malato terminale, un sacrificio da cui può venire la cura per gravi mali. Ma mi chiedo: è giusto farlo? Non occorre forse rispettare la dignità dell’embrione come quella del malato? Come può una legge stabilire quando comincia la vita?». Appunto: quando? «Vorrei capirlo. Non lo so. La natura non ha i nostri problemi. Mi pare non ne abbia neppure Ruini, lui è sicuro che la vita cominci con il concepimento. Certo è un’ipocrisia stabilire che comincia dopo tre mesi. una convenzione, come la maggiore età. Io però ragionavo anche a 17 anni». E l’embrione vive al momento dell’aborto. Quindi lei è contro la legge 194? «Sì, sono contrario. Noi preti poi abbiamo le nostre posizioni pubbliche - e la mia non differisce da quella della Chiesa, di condanna - e abbiamo il luogo della misericordia, il confessionale, dove entro certi limiti possiamo esercitare la comprensione e il perdono». Lei vive in mezzo ai giovani. Come ha affrontato il tema dell’aborto quando le si è posto di fronte? Cosa ha detto ai suoi ragazzi? «Non dico: fallo, non farlo. Dico: la vita è la cosa più importante che ci sia. L’aborto non significa liberarsi di un peso, ma privarsi di una vita. Se la gravidanza è venuta a cuor leggero, l’aborto no; la scelta dev’essere consapevole. Poi spetta alla donna, io direi alla coppia, decidere. Non posso farlo io. Posso solo soffrire con loro, per loro. Io non condanno. Cerco di capire e, a certe condizioni, perdonare. Ma proprio perché ho sofferto tanto, alla questione degli embrioni sono molto sensibile». Non c’entra anche il conservatorismo del movimento no global, la diffidenza per la ricerca e il progresso? «Non sono per una legge proibizionista e oscurantista. Sono per una legge che punisca gli abusi. Ci dev’essere una via mediana tra l’interdizione radicale e il permissivismo, tra i principi e la vita. I parlamentari dovrebbe fare una legge rispettosa delle ragioni di tutti, in cui tutti i cittadini possano riconoscersi. Non avrebbero dovuto scaricare un peso così grande sulla gente. Altrimenti, praticando il culto della maggioranza, si finisce per umiliare la democrazia». Il movimento però tace. Sembra essersi spento. «Una parte si è istituzionalizzata. Continua ad andare a Porto Alegre. Celebra una ritualità vuota. Un’altra parte si è rinchiusa nei propri territori. Combatte battaglie concrete - su acqua, rifiuti, precarietà - ma rischia di perdere respiro, di distogliere lo sguardo da grandi temi come appunto la vita, la bioetica, i limiti da imporre alla scienza». Qualcuno si è sistemato. « legittimo. Ma entrare in un partito, o nel Parlamento europeo, significa uscire dal movimento». E la Chiesa? «Più che una battaglia contro la legge, la Chiesa dovrebbe fare una grande battaglia culturale. Non credo che i cristiani siano pronti né a combattere una guerra di religione, né a far finta di nulla. Non cadiamo in uno scontro tra cristiani e laici. Informiamoci e confrontiamoci senza timori». Aldo Cazzullo