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 2005  febbraio 08 Martedì calendario

La realpolitik, l’arma che ha ucciso l’Africa, La Stampa, mercoledì 8 febbraio 2005 In Occidente si immagina che la democrazia sia la parola finale, una specie di fine della storia

La realpolitik, l’arma che ha ucciso l’Africa, La Stampa, mercoledì 8 febbraio 2005 In Occidente si immagina che la democrazia sia la parola finale, una specie di fine della storia. Il Togo, ex colonia francese, sembra fatto apposta per dimostrare che non è vero. Da trentotto anni era affidato, controvoglia, alle mani pesanti di Gnassingbé Eyadéma. Nella galleria dei tiranni moderni lo hanno fatto nicchiare in un posto appartato, ma solo per le dimensioni del suo paese, piccolo, e registrato nella economia internazionale per la produzione di fosfati e la catastrofica condizione del bilancio pubblico. In realtà per l’Africa era un simbolo, si elevava a monumento. I suoi sudditi, in attesa rassegnata di quotidiane catastrofi, lo chiamavano «il vecchio baobab». Probabilmente lo credevano ormai immortale. Enorme, un blocco di muscoli, perennemente nascosto dietro occhiali neri, riassumeva nella faccia e nella biografia mezzo secolo di patimenti di tutto un continente: ex sergente maggiore dell’armata coloniale, golpista precoce e fortunato subito dopo l’indipendenza, spietato con gli oppositori, dolcissimo con i suoi sponsor internazionali, in particolare i presidenti francesi. Le prigioni segnavano sempre il tutto esaurito; ma la violenza non era la sua unica arma. Aveva intuito che bisognava aggiornarsi, che gli occidentali sono dispostissimi, la Francia in testa, a chiudere gli occhi, ma ogni tanto mendicano qualche soddisfazione. Era un vecchio gioco, ben noto, e lui lo capiva. Così, dopo a caduta del muro di Berlino e la breve ubriacatura naturalmente solo verbale del multipartitismo, si era messo a organizzare elezioni; un trastullo con cui baloccava la turba sempre grossa dei pusillanimi occidentali. Con tanto scrupolo che naturalmente le vinceva sempre tutte. All’annuncio della morte, sabato, di questo imbarazzante «amico della Francia» (parole di Chirac), i militari si sono riuniti e dopo un breve conciliabolo hanno proceduto alla trasmissione dinastica: governerà il figlio prediletto, Faure Gnassingbé, 39 anni, una faccia paciosa ma che pare abbia ereditato gli umori del padre. In dieci minuti lo hanno fatto nominare dal Parlamento prima deputato e poi capo dello Stato. Carriera verrebbe da dire napoleonica. I deputati, intimiditi dal rischio di una crisi istituzionale e dalle baionette, hanno cambiato, all’unanimità, la Costituzione che vietava questa ipotesi. Il vero presidente ad interim, il capo del Parlamento, che cercava di rientrare dall’estero è diventato in pochi minuti da capo di stato un profugo. Nell’era della globalizzazione dei diritti umani succede anche questa farsa sciagurata. Il ministro della Difesa francese ha risolutamente affrontato la situazione: «Il tempo dei colpi di stato in Africa è finito». Parte la Legione? Improbabile. Parigi imbarazzata dalla repressione in Costa d’Avorio, alle prese con le bizze di Gibuti, in ritirata dall’Africa centrale, non può permettersi di alzare la voce. Alla fine predominerà una vecchia conoscenza: la realpolitik. L’arma con cui è stata uccisa l’Africa. Domenico Quirico