Piercarlo Presutti Ansa, 07/02/2005, 7 febbraio 2005
Le domeniche di Mesina scandite dai gol di Riva, Ansa, lunedì 7 febbraio 2005 L’uomo che cercava le fughe ed amava comandare avrebbe potuto identificarsi in Domenghini con le sue corse sulla fascia, o nella lucida regia di Greatti
Le domeniche di Mesina scandite dai gol di Riva, Ansa, lunedì 7 febbraio 2005 L’uomo che cercava le fughe ed amava comandare avrebbe potuto identificarsi in Domenghini con le sue corse sulla fascia, o nella lucida regia di Greatti. Invece come tutti i sardi, anzi tutti gli italiani (juventini esclusi, ma con invidia) Graziano Mesina alla fine degli anni Sessanta s’innamorò di Gigi Riva. Un ergastolo e una grazia dopo, quell’amore rimane intatto e spinge l’ex primula rossa del banditismo sardo ad interrompere un lungo silenzio e ad unirsi ai festeggiamenti per il ritiro della maglia di Riva, in occasione dell’amichevole della nazionale mercoledì a Cagliari contro la Russia. «Il mio è un sentimento rafforzato dalle scelte di Riva. Un uomo che al di là dello scudetto del Cagliari ha fatto tanto per la nostra terra e per il calcio, ed è giusto che ora venga premiato per questo. Ha dato una lezione di dignità, si è guadagnato la stima per la persona oltre a quella per il fuoriclasse. Non aveva padroni, neanche i grandi industriali del Nord riuscirono a comprarselo: faceva quello che voleva e sapeva quello che faceva. Vi pare poco?». No, non è poco: ed infatti in nome di Riva il latitante Mesina rischiava il carcere, forse la vita. «Come quella volta - racconta - che mi camuffai ed entrai al vecchio stadio Amsicora senza essere riconosciuto. Mi ero fatto crescere i capelli ed avevo gli occhiali: che gioia stare in mezzo a tutta quella gente che tifava Cagliari ed adorava Riva. Che bello urlare in libertà... No, che partita era non lo dico: i poliziotti sarebbero capaci di andare a verificare e risalire a chi stava con me. Di solito però era una sofferenza: quando stavo alla macchia con altri latitanti, tutti volevano scendere in città per vedere la partita da vicino: io con fatica spiegavo che era troppo rischioso. Così, tutti attaccati alla radiolina ad aspettare come una liberazione il gol di Riva. Che arrivava puntualmente, annunciato da un boato. Lo chiamavamo il bombardiere: un po’ per le cannonate che tirava, un po’ per questi rumori che arrivavano dalla radio. Ma sulla ”Gazzetta dello Sport”, che ci facevamo portare sia da latitanti sia da carcerati e leggevamo come si beve nel deserto, lo chiamavano Rombo di tuono, lo so. Noi non avevamo la fantasia per dare queste definizioni, eppure con Riva la mente volava». Mesina vanta «un’amicizia, quantomeno una simpatia con Riva. Quando ero in quel luogo, in prigione (che mi dà fastidio solo a nominarla) a Porto Azzurro, mi fece mandare molte maglie rossoblù: tutto gratis, anche se naturalmente io ero disposto a pagare, ero presidente delle squadretta del Cagliari dentro il carcere. E poi molte volte ci siamo sentiti. Abbiamo in programma un incontro, magari avviene tra domani e mercoledì: ma lui non vuole molta pubblicità. Ed io nemmeno...». Il rapporto con i giocatori di quel Cagliari orgoglio dei sardi comunque era pubblico: «Beh, la felicità che mi arrivò dallo scudetto è paragonabile solo a quella della scarcerazione. Dopo quel campionato vinto io ero sotto processo a Cagliari, vennero a ”tifare” per me Cera, Tommasini, Nené, Domenghini: il pubblico ministero chiese loro l’autografo, i calciatori risposero che glielo davano se consentiva un rapido saluto a me. Il giudice fu costretto a cedere: era un piccolo ricatto, diciamo, ma una cosa carina...». Piercarlo Presutti