Massimo Mucchetti Corriere della Sera, 11/02/2005, 11 febbraio 2005
Sessant’anni vissuti da re del tondino: Luigi Lucchini da Brescia/2, Corriere della Sera, venerdì 11 febbraio 2005 A 86 anni Luigi Lucchini cede il bastone del comando a un russo, Aleksej Mordashov, con l’orgoglio di aver salvato l’azienda senza chiedere un euro allo Stato, ma anche con l’amarezza di essersi visto negare dalle banche un finale diverso
Sessant’anni vissuti da re del tondino: Luigi Lucchini da Brescia/2, Corriere della Sera, venerdì 11 febbraio 2005 A 86 anni Luigi Lucchini cede il bastone del comando a un russo, Aleksej Mordashov, con l’orgoglio di aver salvato l’azienda senza chiedere un euro allo Stato, ma anche con l’amarezza di essersi visto negare dalle banche un finale diverso. Negli anni Ottanta, quest’uomo dal carattere di ferro aveva guidato la Confindustria e nel decennio seguente aveva presieduto Montedison, Comit e patto di sindacato di Hdp, poi Rcs MediaGroup. Ora si sente abbandonato da un establishment che forse non c’è più. Gli son rimasti un bel patrimonio e il 30 per cento del gruppo che aveva fondato dopo la seconda guerra mondiale. Si consola con la battuta di un amico scomparso molti anni fa, Umberto Gnutti: «Meglio dividersi in due una tortina saporita che avere tutta per sé una deiezione di mucca». Cavaliere, perché i Falck sono durati 180 anni e voi 60? «Perché i mercati sono cambiati. Non ci sono più dogane. Protezioni. è la globalizzazione. Ma la Lucchini continua a produrre acciaio: non lo dimentichi!». Era fatale questo esito? «Quando abbiamo preso dall’Ilva le Acciaierie di Piombino ci siamo trovati costretti a investimenti per molte centinaia di milioni di euro in una fase negativa del mercato che sembrava non finire mai. Nel 2003 la rivalutazione del dollaro ci ha messo in ginocchio perché noi compriamo minerale e carbone nella moneta Usa e vendiamo in euro. Avevamo appena rifatto la cokeria. Adesso ci fa guadagnare, ma allora...». Nel luglio 2003 le banche vi hanno salvato. «Avevamo 700 milioni di bond, 300 dei quali in scadenza. Più un miliardo di debiti finanziari, contando anche le ricevute bancarie e le anticipazioni per ritirare il carbone. In quel momento la Lucchini non aveva i mezzi per rimborsare i bond. Ma non era una Cirio o, peggio, una Parmalat. Noi avevamo investito. Le banche ci prestarono 225 milioni e 120 li mise la famiglia. E superammo lo scoglio. In quella fase le banche ebbero un atteggiamento costruttivo». Come arrivaste a quell’accordo? «Andai a trovare Maranghi...». Ma non era già fuori da Mediobanca? «Era un grande e onesto banchiere. E infatti mi sconsigliò: ”Non deve venire da me: saremmo soggetti ad attacchi. Vada da Bazoli”. Bazoli e io siamo bresciani, ci conosciamo da sempre. E Bazoli si è comportato bene». Che fece Bazoli? «Ci mise in mano a Lazard, che è partecipata da Intesa ma si muove in piena autonomia. Non fu facile raggiungere quell’accordo. Andai dal presidente della Repubblica, da Tremonti, dal governatore della Banca d’Italia: nessuno voleva correre il rischio di un default. Un giorno arrivò la telefonata dal Quirinale: ”Lucchini, stia tranquillo, è fatta”. E così chiamai Bondi che aveva, peraltro, la fiducia delle banche e portò poi uomini suoi in consiglio». Bondi lo conosceva bene. «Era stato amministratore delegato della Montedison quando ero presidente. Uomo capace. Venne qui convinto di dover impugnare i ferri del chirurgo». Era indispensabile? «Si poteva risparmiare qualcosa sulle spese generali, ma le fabbriche avevano l’organico giusto. E così abbiamo dovuto vendere il laminatoio di Casto e l’acciaieria di Sarezzo...». Erano le sue radici nelle valli bresciane. Le è costato? «Mi ha dato dispiacere ma quegli stabilimenti, purtroppo, non avevamo più futuro. E poi abbiamo ceduto la Lutech e l’Elettra. Abbiamo rischiato di vendere tutto, un pezzo alla volta. Le banche non fanno beneficenza. giusto così. Lazard voleva dismettere tutto gestendo in prima persona le vendite, anche quando avremmo potuto fare da soli». Serve il coordinatore. «O il bisogno di prendere commissioni. Sa quanto ci è costato il finanziamento del luglio 2003? Otto milioni di euro di commissioni. Per un mese e mezzo di lavoro. E noi a trattare gli interessi con le mani legate dietro la schiena». Come si arriva alla svolta? «Lazard voleva farci vendere le nostre cinque fabbriche francesi dell’Ascometal a un tedesco che le valutava 295 milioni sulla carta e molto meno in realtà. Io capisco la prudenza. Capisco perfino la prudenza che ci ha fatto fare accantonamenti per 130-140 milioni che hanno messo in croce il bilancio 2003 e che diventeranno in buona parte sopravvenienze attive...». Non poteva resistere? «No. Le banche avevano in pegno le azioni». Poteva vendere le partecipazioni finanziarie in Mediobanca, Rcs e altro e reinvestire in siderurgia . «Non sarebbe stato giusto mettere a repentaglio la possibilità di intraprendere su nuove basi per le future generazioni dei Lucchini. E allora meglio trovarci un socio per non stare più tra l’incudine e il martello! Nel 2004 il mercato si è scoperto affamato d’acciaio. Abbiamo guadagnato tutti: i monopolisti della materia prima, noi produttori. Ormai avevamo ridotto di 600 milioni il debito. Se le banche avessero creduto in noi, ci saremmo salvati. Il budget 2005, che stiamo perfettamente rispettando, ci dà un margine operativo lordo di 350 milioni. Abbiamo già in cassa i 100 milioni per rimborsare il bond di maggio. Stiamo per cedere la Huta Warzawa ad Arcelor per un altro centinaio di milioni. Non crede che avremmo avuto le risorse per onorare anche gli ultimi 200 milioni in scadenza nel 2006? Bazoli provò a darci una mano, ma il pool bancario voleva rientrare. E allora, piuttosto di smontare tutto, ben vengano i russi». Chi li ha trovati? «Giuseppe, che ha dimostrato capacità e carattere: lo dico da socio, non da padre. Ha bussato alle porte della Voest Alpine, poi di Arcelor, infine la Russia. La trattativa cruciale l’hanno condotta lui e il valoroso Severo Bocchio». sicuro che ce l’avreste fatta da soli? «Se ci fosse stata la Mediobanca di un tempo, la Lucchini sarebbe ancora dei Lucchini. Poi saremmo comunque arrivati a un’integrazione. Ma sarebbe stato diverso. La siderurgia è ormai un affare per colossi. Severstal porta 430 milioni di euro che aiuteranno a ridurre il debito a 300 milioni su 2,5 miliardi di fatturato, cioè alla più assoluta normalità, ma porta anche e soprattutto una dimensione più grande». Mediobanca, dice. Ma nel 2003 tutti i soci del patto, lei compreso, firmarono per la rimozione di Maranghi. «Diciamo che s’è fatto in modo che tutti firmassero». Massimo Mucchetti