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 2005  febbraio 09 Mercoledì calendario

Sessant’anni vissuti da re del tondino: Luigi Lucchini da Brescia, la Repubblica, mercoledì 9 febbraio 2005 Agli inizi degli anni Settanta Luigi Lucchini, Gino per gli amici, era soltanto un signore immensamente ricco (già allora) che abitava in provincia, a Brescia

Sessant’anni vissuti da re del tondino: Luigi Lucchini da Brescia, la Repubblica, mercoledì 9 febbraio 2005 Agli inizi degli anni Settanta Luigi Lucchini, Gino per gli amici, era soltanto un signore immensamente ricco (già allora) che abitava in provincia, a Brescia. Per trovarlo era inutile andare in giro per i salotti buoni milanesi. Nessuno lo conosceva e pochi sapevano persino della sua esistenza. Tranne il gioielliere Bulgari. Ogni tanto Gino gli telefonava e con la sua aria un po’ distratta e impastata di bresciano gli diceva: «Che cosa fa domenica?». E, ovviamente Bulgari rispondeva: «Ma passo da Brescia e vengo a trovarla». Arrivava con le sue borse piene di stupendi gioielli, incassava l’assegno e se ne andava. La signora Lucchini era un po’ più felice. E Gino anche: un’altra domenica, un’altra giornata non-di-lavoro se n’era finalmente andata. A Brescia era il re del tondino, e tutti sapevano che era il più ricco di tutti. Ma se ne stava in provincia, nella sua villetta all’incrocio fra due strade (niente palazzo gentilizio, per carità). E lavorava, tondino per l’edilizia, a camion. Quanto guadagnava? A me, quando poi siamo diventati amici, ha confessato che poteva anche arrivare a cento milioni al giorno, negli anni Settanta. «Ma non sempre, eh, solo quando passa la colombina». Cioè? «Quando passa la fortuna». E questo perché il tondino era legato all’edilizia. E allora c’erano dei momenti in cui i camion si vendevano all’asta davanti ai cantieri e altri in cui non li voleva nessuno. A un certo punto gli avevano rapito il figlio Giuseppe (che più tardi prenderà il suo posto in azienda). Gino aveva trattato personalmente il riscatto con i rapitori. E era molto soddisfatto per come erano andate le cose. Il figlio era tornato a casa e lui aveva risparmiato rispetto alle richieste iniziali. Se l’era cavata con cinque miliardi (di allora). In quegli anni a Lucchini i sindacati non piacevano. «I soldi spesi per far fallire uno sciopero sono i soldi meglio spesi», diceva. Più tardi, e molto più ricco, è cambiato. Si è fatto più diplomatico e uomo quasi di mondo. Con la consulenza di Luigi Landi (grande banchiere fiorentino) si è messo a comprare quote azionarie di qui e di là. è entrato in vari cda, riuscendo a farsi accettare davvero nei salotti buoni. Mediobanca compresa. è stato anche presidente di Montedison e Comit. Insomma, quando serviva una brava persona, amica un po’ di tutti chiamavano Gino. E lui andava, felice, forse pensando agli amici rimasti a Brescia. è stato presidente anche di Confindustria, tutto sommato saggio e buono. Non ha brillato, ma non ha nemmeno sfigurato. Ma, sotto sotto, è rimasto un po’ il re del tondino di Brescia, cosa di cui è sempre andato fiero. Lo ricordo a Torino per registrare una puntata di una trasmissione tv. Finita la registrazione, lo accompagno fuori, dove lo aspettava la Mercedes d’ordinanza (Gino sa il tedesco alla perfezione e ha un debole per la Germania), lo vedo che si avvicina al portabagagli e che tira fuori un paio di scarponi tutti sporchi e che li indossa, lì, sulla strada. Gino, sei matto? No, risponde, già che sono qui a Torino vado a vedere una mia fabbrica e metto le scarpe da cantiere, mica queste belle. Da presidente della Comit, a Milano, lasciò tutti un po’ di stucco perché da Brescia si era portato dietro la Mercedes con autista e la segretaria: «Sai - mi spiegò dopo - io non sono tanto pratico di banche, e allora ho bisogno della mia organizzazione intorno». Poi un giorno mi porta a colazione alla Comit, in una residenza che la banca aveva all’inizio di via Borgonuovo, con tutte le stanze tappezzate di quadri da svenire, miliardi e miliardi di arte italiana appesi ai muri. Gino guarda e sospira: «Erano proprio bravi questi qui della Comit. A scegliere i quadri. E anche a fare i soldi. Altrimenti come li compravano?». Nella sua vita i soldi sono stati molto importanti, anche perché è partito senza, dal niente. Ma sapeva anche perdere. Un sabato eravamo sulla sua barca a Le Grazie, dietro La Spezia, bloccati in porto perché il mare era cattivo. Dal telegiornale arriva la notizia che hanno trovato morto a Londra il banchiere Roberto Calvi del Banco Ambrosiano, di cui Gino era azionista. Mi scappa di dire: «I tuoi soldi sono finiti su per il camino». Viene convocato d’urgenza il banchiere Landi che conferma: tutto bruciato. E Gino, all’ora del tè: «La mia quota valeva dieci miliardi, ma ne avevo tirati fuori solo due, gli altri erano plusvalenze. Peccato, se ne sono andati. Oggi la colombina non è passata di qui. Povero Calvi, era simpatico. Chi l’avrà ucciso? E perché? Cosa dici, non lo sapremo mai, vero?». Giuseppe Turani