Pino Corrias, la Repubblica,30/01/2005, 30 gennaio 2005
L’irresistibile swing dell’americano di Torino che esplose all’alba del Boom, la Repubblica, domenica 30 gennaio 2005 Fred Buscaglione è un duro alla boia fauss
L’irresistibile swing dell’americano di Torino che esplose all’alba del Boom, la Repubblica, domenica 30 gennaio 2005 Fred Buscaglione è un duro alla boia fauss. Vagabondo di cuore e romantico di sguardo. Dondola le bionde foderate di lamé. Canta dentro al fumo delle sigarette. Fronteggia Buck la Peste, Jack Bidone e Billy Karr. Ha un sinistro da un quintale. Vince al tressette. Indossa smoking. Ha la mimica, ha la sagoma. Ha la voce rauca. Respira Gauloises e qualche volta lacrima Cutty Sark. senza duplicato. un duro. inimitabile. Ferdinando Buscaglione è un giovanotto dritto, magro e allampanato. Nato nel gelo della portineria di piazza Cavour 3, Torino, il 23 novembre del 1921. Timido di sguardo e fragile di cuore. Solfeggia la musica, ubbidisce alla mamma. Tifa Juventus, è un po’ monarchico, suona il violino. Parte per la guerra. Finisce in Sardegna a fare musica con gli Alleati. Gli piacciono Frank Sinatra e Gilbert Becaud. Beve Dolcetto, fuma Alfa. S’è innamorato di una sola donna, Fatima Robbins, pescata al Cécile di Lugano, acrobata e cantante, con sangue marocchino nelle vene e il coltello della gelosia nella borsetta. L’uno e l’altro, Fred e Ferdinando, all’alba di mercoledì 3 febbraio 1960, corrono lungo via Paisiello, Roma, dentro ai sedili in pelle di una solitaria Ford Thunderbird rosa, decappottabile. La Thunderbird ha i parafanghi cromati e gli interni crema. Viaggia a 100 chilometri all’ora. Ha navigato tra via Margutta e i night di via Veneto, ora sta filando verso il Rivoli Hotel dei Parioli. Sono quasi le 6.20. Mancano dieci incroci all’alba. L’uno e l’altro, Fred e Ferdinando, la maschera e l’anima, il duro e il morbido, non sono mai stati così distanti tra loro, così separati dentro alla stessa pelle. Anche se il re della criminalsong e il cantantino di balera torinese, emanano una sola luce, sono la star dei nuovissimi Anni Sessanta: ecco a voi Fred Buscaglione, il cantante dell’anno, 2 milioni di lire a serata, il sogno a colori dell’Italia in bianco e nero. La luce è un riflettore. Lo ha acceso il successo di quegli strani sketch musicali che suonano dentro la scatola magica del televisore, lungo gli ingranaggi americani del juke box, e in un milione di dischi già venduti, che fanno scintillare, a 78 giri, gioielli tipo Eri piccola, Porfirio Villarosa, Teresa non sparare. l’alba del Boom, l’inizio della grande corsa economica italiana, la fatica rurale che diventa fabbrica, l’era del frigorifero, dell’automobile, della plastica, del sogno americano. Nilla Pizzi porta fiori esangui. Il grande Fred li raddrizza dentro al whisky. Modugno vola nel blu. Lui atterra nel jazz. Canta il cielo dei bar. Gioca con lo swing. Si porta dentro la verità della gavetta, gli spigoli della strada, e l’immaginazione di Leo Chiosso, altro torinese di ballatoio, ma con il genio del racconto in due righe, un bacio, una promessa, uno schiaffo, un addio. Leo Chiosso ha un anno più di Fred. Ha studiato da avvocato, ma ha letto tutt’altro, i romanzi di Dos Passos, i gialli di Mickey Spillane e di Damon Runyon. Conosce la malinconia di Philip Marlowe. Ha visto i musical di Fred Astaire. Inventa storie di bulli e pupe ambientate alla Viscosa. Oggi che ha 84 anni e sta scrivendo il libro della vita I giorni di Fred, racconta: «Lui aveva questa faccia alla Clarke Gable. Gli mancava la brillantina e un po’ di Be Bop. Eravamo giovani, tutto ci sembrava a portata di mano, compresi i sogni. Fred ci mise il pianoforte, io l’America». All’inizio c’è solo il Dopoguerra. A Torino aprono 50 sale da ballo. Ci sono le macerie e c’è la voglia di dimenticarle. Il maestro Angelini dirige l’orchestra della sala Rai. In radio canta il Trio Lescano. Nasce la casa discografica Fonit Cetra. Fred si arrangia con il contrabbasso. Racconta Leo Chiosso: «L’ho conosciuto al Caffè Ligure. Non aveva ancora i baffi. Era mingherlino, con un vestito azzurro due taglie più grande. Nell’intervallo dell’orchestra, lui prendeva il violino e con il pianista faceva Polvere di stelle e Blue Moon». Racconta il pianista Dino Arrigotti, classe 1923, che ai tempi suoi suonava con un mazzo di rose sul pianoforte: «Nel 1949 ho il mio quintetto. Suono alla Tavernetta che è un dopo teatro un po’ di classe con il trio spagnolo che fa il flamenco e le entraîneuse ai tavoli. Una notte, al Bar Sandro di via Verdi, incontro Fred. Sto cercando un violinista e lui mi fa: l’hai trovato. Cominciamo così, ma si capisce che è un leader. In capo a un paio di anni, lui fonda il gruppo e io gli faccio da pianista». Il gruppo si chiamerà Asternovas. Nasce nel 1955, quando cominciano gli anni d’oro, quelli che corrono verso il successo. Alle spalle ci sono le tournée in Svizzera, Olanda, Germania. C’è l’ingaggio a 2.500 lire a sera al Dancing Florida. C’è la carriera di Fatima, cantante e moglie, che per un po’ sembra il centro di tutto. E ci sono i riflettori che lentamente si spostano su di lui, Fred, ostinato e sgobbone come tutti i buoni torinesi, con la sua voglia di arrivare, di cantare le sue canzoni, scalando le serate, i contratti, gli applausi. Di notte, o all’alba, nascono le canzoni. Che bambola!, il primo successo, è del 1956. Racconta Chiosso: «Venne come quasi tutte le altre, lui in canottiera al pianoforte, io con la matita». Racconta Arrigotti: «Provavamo le nuove canzoni a fine serata, quando i ragazzi della pista si erano stancati di limonare. Le cose di Fred non erano quasi mai ballabili. All’inizio la gente si scocciava, poi ci fu il passaparola». Nascono Che notte, Il dritto di Chicago, Eri piccola. Più sale la stella di Fred, più s’appanna quella di Fatima. L’amore si fa vetro, il vetro si incrina. Dirà Gino Latilla, cantante e amico della coppia: « brutto dirlo, ma lei era gelosa del suo successo». Fatima fa serate con altri gruppi perché negli Asternovas non c’è più posto. Racconta Arrigotti: «Fred un po’ ci soffriva e un po’ se la godeva. Era solo. Era un bel mammifero. Tutte le donne se lo mangiavano con gli occhi». Le belle donne volano sui rotocalchi, con i loro occhi affamati di luce, Anita Ekberg che ancora deve infilarsi nella vasca del cinema italiano, ma intanto fa la bionda carrozzata con Fred, poi Hanna Rasmussen, Maria Grazia Buccella, Jane Russel e Scilla Gabel, la biondissima. Dice Fatima in una intervista: «L’improvvisa celebrità ha calamitato attorno a Fred dozzine di bambole. Me le vedo ovunque, nelle canzoni, nei film e qualcuna anche nella vita reale. Più passa il tempo e più Fred mi trascura. La nostra vita coniugale è ormai diventata un fantasma del passato». Il futuro per Fred, che a fine ’59 compie 38 anni, sembra molto più reale di qualunque morbido fantasma del passato. Suona una sera al night romano Le Grotte, lo vede Mario Riva, quello del ”Musichiere”, e dice: «Mandatemelo domani sera in trasmissione». Fred, la prima volta in tv, canta circondato da un mucchio di bambini, anche se indossa il gessato e fa le smorfie di Whisky facile. Al secondo passaggio compare con il panciotto e la pistola. La Rai lo scrittura per il sabato sera di ”Musica alla ribalta”. Per strada gli chiedono l’autografo. Lo vogliono i registi del cinema e quelli dei caroselli pubblicitari per la birra Asso e gli sciroppi Fabbri. Lo ingaggiano i locali migliori, il Grillon di Ginevra, la Bussola di Viareggio, l’Embassy di Rimini. Suona una sera a Paraggi, davanti al giovane Giovanni Agnelli, che fa il playboy e non ancora l’Avvocato. Va al suo tavolo a fine serata. Gli dedica la sweet song che ha appena composto al pianoforte del Carillon: Love in Portofino, che diventa uno standard internazionale per la penombra dei night. Un omaggio al re della Fiat e un addio alla vecchia 1400 Fiat che cade in pezzi. Fred spende 6 milioni di lire per un’automobile da fumetto americano, la Thunderbird. In Italia c’è solo un altro modello in circolazione. La guida l’astro nascente dei presentatori, Mike Bongiorno, che gira l’Italia con ”Campanile sera” e viene davvero dall’America. Fred lavora molto, beve molto, dorme poco. Fred comincia a vivere troppo dentro alle sue canzoni. Fred viaggia lungo i rettilinei dei suoi luoghi immaginari. Dice Dino Risi, che lo ha diretto in Poveri milionari: «Raccontava amori senza lieto fine. Faceva ridere, ma era anche struggente». Nella notte di Capodanno del 1960, Fred gira per feste romane. Chiama Fatima al telefono senza trovarla. Ha appena finito di girare il primo film da protagonista, Noi duri di Camillo Mastrocinque. Ha contratti e serate già firmate per i prossimi due anni. Ha il pubblico in tasca. Ha amori veloci. E albe solitarie nella sua camera di albergo al Rivoli Hotel, singola con bagno, letto a una piazza. Si sfoga in un’intervista: «Da vent’ anni suono nei night e nelle sale da ballo. Ho conosciuto i locali di quart’ordine, le pensioni più scadenti, le trattorie dalle quali esci con l’appetito. Ho capito che se riesco a durare ancora un paio di anni sono a posto. Poi prima che la gente mi volti le spalle, Fred ridiventerà Ferdinando Buscaglione, di professione pensionato». Il gennaio 1960 corre come un’autostrada. Racconta Piero Vivarelli, autore di canzoni celebri come 24 mila baci e regista dei primissimi film musicali: «Fred lavorava come un dannato e non dormiva mai. Aveva voglia di tutto, anche di dimenticarsi». Fred ha comprato una delle prime pianole elettriche e in albergo ha scritto una delle sue canzoni più tristi, Notte di pioggia, dedicata a Fatima. Racconta Arrigotti: «Noi siamo partiti per Torino. Lui doveva vedersi con Mina che allora cantava con le braccia dietro alla schiena, pesava 35 chili, ma era già fantastica». Fred la vede al ristorante di via Margutta. Poi segue un paio di musicisti al night, dove entra tra gli applausi, beve, sparisce al Bristol, riappare all’alba. è stanco, ha freddo, ha sonno. L’ ultimo incrocio della sua vita, ore 6.20 di 45 anni fa, è una frenata e uno schianto contro un camion che porta blocchi di tufo. Dirà l’ autista: « sbucato, ho frenato, ha sbattuto». C’è un carabiniere davanti all’Ambasciata americana, che corre verso l’ammasso di lamiere rosa. C’è l’ autista dell’autobus 90 che aiuta il carabiniere a estrarre il corpo, per poi partire di corsa verso il Policlinico. Il ferito respira ancora. Nessuno sa chi sia. Il carabiniere ha detto che forse è un americano. Chi diavolo guida una Thunderbird rosa a Roma? I medici che gli chiudono gli occhi hanno la risposta. E la risposta fa piangere l’Italia e tutti i musicisti da balera, tutti i duri da night, e le donne bellissime e Fatima che è rimasta sola. Morto per sempre Ferdinando Buscaglione, di professione direttore d’orchestra, fragile di cuore e romantico di commiato. Andato via come un eroe notturno, come un solitario, come Fred. Andato via per tornare, ogni volta che sale l’orchestra, scendono le luci, e ricomincia la vita. Pino Corrias