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 2006  gennaio 30 Lunedì calendario

Lay Kenneth

• Nato a Tyrone (Stati Uniti) il 15 aprile 1942, morto ad Aspen (Stati Uniti) il 5 luglio 2006. Manager. «[...] figlio di un pastore battista poverissimo che celebrava il Thanksgiving con fette di ”bologna” fredda non avendo i soldi per il tacchino e cominciò la sua carriera vendendo trattori. Povero, ma studioso. Lo studio lo portò all’Università di Houston, dove trovò l’occasione di vivere in quella eterna ”boomtown” in bilico sull’oceano di petrolio del Bacino Permiano che lo avrebbe portato, nel 2000, a una retribuzione annua di 42,9 milioni di dollari, più azioni. [...] Strozzava i clienti finali, cucinava i libri, ungeva i politici. Vecchissima economia. Pagava un po’ tutti e anche Clinton lo protesse. In Texas si alzò l’astro del giovane Bush e la Enron orientò la bussola su di lui. Le elemosine a ”W” ammontano a un milione e mezzo di dollari, contro i 490 mila versati ai democratici, come assicurazione. Ma quando neppure la sordida e ben remunerata complicità dei revisori dei conti o l’appoggio dei petrolieri Bush e Cheney arrivati alla Casa Bianca, bastarono per tenere gonfia la bolla, Lay e i suoi ”ragazzi brillanti” come si facevano chiamare, trasformarono la finanza disinvolta in truffa aperta e in reati. Mentre il titolo precipitava dal top di 80 dollari a 12, Kenny Boy e i suoi cominciarono a scaricare titoli segretamente, da ”insider” Di nascosto, sparecchiavano quanto restava facendo scivolare ancora il titolo a 9, poi 7 dollari, incassando in un mese 300 milioni di dollari ciascuno. In pubblico predicavano agli 11 mila dipendenti che avevano tutti i propri fondi pensione bloccati nelle azioni Enron e reggevano il teatrino dei bilanci, di non vendere. Un miliardo di dollari, l’intero ”tesoro” pensionistico degli impiegati si volatilizzò. Gente come Charles Prestwood, direttore del personale, che a 60 anni si preparava a incassare il milione di dollari accumulato contribuendo al fondo pensione aziendale, si trovò con un pugno di mosche. [...]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 30/1/2006).