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 2006  gennaio 30 Lunedì calendario

CARANDINI

CARANDINI Andrea Roma 3 novembre 1937. Archeologo. Dal 25 febbraio 2009 presidente del Consiglio nazionale dei Beni culturali • «[...] docente di Archeologia classica a La Sapienza di Roma, da tempo polemico con i ”talebani della conservazione”, fautore di una politica di valorizzazione più aperta ma sempre ”nello scrupoloso rispetto della tutela”. Carandini è figlio di Nicolò (ambasciatore, partigiano, protagonista dell’antifascismo) e di Elena Albertini, figlia del senatore Luigi Albertini, dal 1900 al 1925 direttore del «Corriere della Sera». Ancora oggi Carandini vive nella splendida abitazione romana del nonno, accanto alle Scuderie del Quirinale e a palazzo Colonna, e tra i tanti cimeli della sua famiglia. [...]» (Paolo Conti, ”Corriere della Sera” 26/2/2009) • «[...] dalla sua docenza di Archeologia classica a La Sapienza di Roma [...] da anni sostiene [...] che [...] tutte quelle fole sui due gemelli - sul solco tracciato da Romolo al Palatino, sul sacrilegio di Remo che lo salta per dileggio, sulla nascita di una struttura federativa e fondante fin dal VIII secolo a. C. (che, a breve, rianalizzerà con tre volumi della Fondazione Valla) - sono, ormai, ben dimostrate dall’archeologia. E che ormai si sono fatte realtà. Venti anni di scavi ben mirati nel cuore più sacro di Roma - con migliaia di suoi studenti in corvée a setacciare terreno e passato - gli hanno permesso di ridisegnare quella Prima Roma che tutti pensavano fosse solo leggenda. Vero il fossato di Romolo. Vero il primo muro al Palatino. Vero - e a disposizione degli altri studiosi che vogliono verificare - il luogo del Fuoco Sacro centrale e comune che confederava tutti, giù in basso al Santuario di Vesta. Vero - appena riscoperto in vecchi studi mal interpretati - persino il pavimento di un primo Foro della fine dell’VIII secolo a. C., sotto lo strato del VII che tutti conoscevano. Vera anche la leggenda, quindi. Da interpretare con rispetto, acume e scientificità: ma vera! E vero anche quel fondatore, Romolo, il ”parvenu” di Alba, che - con idee urbanistiche ben chiare - fece un golpe all’antica per creare la sua Roma, con le buone e con le cattive, visti tutti gli omicidi politici lì nei dintorni. L’avevano snobbata la leggenda - o presa con le pinze - molti suoi colleghi che pur studiando quella Roma degli Inizi, l’hanno sempre considerata tardiva, quasi un’Atene de noantri: città-stato, sì, ma che decolla solo con i Tarquini nel VI secolo a. C. Così quel feuilleton di Romolo e Remo era stato archiviato come un pateracchio di fantasie e memorie (mezzo greche e mezzo romane) che - come un puzzle, o addirittura un Frankestein - alla fine, nel III e II secolo a. C., era poi riuscito a far convivere il fallo divino di Marte, la gravidanza scomoda della vestale Rea Silvia e la lupa lactans con un Enea a far da fiore all’occhiello, visto che un po’ di Oriente, allora, aiutava a dar lustro. [...] Scrive Carandini: ”I Romani non distruggono alcunché, ma affiancano, variano e alternano, e questo è l’interstizio principale - non adeguatamente frequentato dagli antichisti - per accedere alla storia delle origini di Roma”. E lui fa lo stesso: sta attento a tutto. Lì dentro, in quel fazzolettone di terra che ha avuto il merito di diventare poi Caput Mundi, il professore si aggira con la sua lente d’ingrandimento, riportando prove e indizi. [...] Atene e Roma? Sorelle: nate entrambi nel VIII secolo a. C: non ”zia” e ”nipote”, come si pensava. I gemelli? Uno stereotipo mediterraneo: sembrano fotocopie di Esaù e Giacobbe, di Seth e Osiride, con Esaù, Seth e Remo a far la parte ”anarchica” di chi mette in pericolo l’ordine costituito e che - quindi - va eliminato. Le Sabine? Non fu vero amore, quello: le donne a Roma, allora, c’erano eccome, tanto che le frustavano nei ”Lupercalia”. Fu un atto di espansionismo, quello! Il clou, però, arriva quando il professor Carandini si fa ispettore e si mette sotto a risolvere il caso Remo (variazione 11: ”Perché Romolo uccide Remo?”) e il caso Romolo (variazione 12: ”Perché i senatori squartano Romolo?”). E qui che si viene a sapere che, avesse vinto Remo, avremmo avuto una ”Remora” al V miglio, invece di Roma; e che era tutto scritto visto che gli Dei parteggiavano per Romolo; e che Remo serviva anche da esempio: ”Rappresentava il disordine, il contraltare all’imperium regale, quindi da uccidere”; e che, morto così giovane, con i suoi 18 anni incauti, è, sì, il primissimo Peter Pan, ma anche il Re dei Lemuri, i morti anzitempo, ricordo di quei sacrifici umani che anche qui da noi si sono fatti per secoli. Ed è, subito dopo - assistendo allo squartamento in 30 pezzi di un Romolo (cinquantaduenne, azzardano le fonti) - che teologia, semiologia ed etnologia ritmate con l’archeologia aiutano a far chiarezza sulle due versioni che, parallele, venivano date della sparizione del primo re: a) ridicolo pensare a senatori che s’imbrattano, inguattando sotto le tonache pezzi sanguinolenti di Romolo per nascondere il loro omicidio; b) assurdo prender per buono il decollo-apoteosi del Re Fondatore; c) rimane probabile la spartizione di quel suo corpo tra le trenta curie di Roma, riunificate nel ricordo di quelle sue reliquie da conservare. Una comunione d´antan, insomma. [...] il professore risponde colpo su colpo a chi l’ha attaccato senza la sufficiente serietà. Per farlo usa tutte le armi che può. Il sarcasmo: ”Per loro ”antico’ significa generalmente del VI secolo a. C.”. La linguistica: ”Se fosse stata la Roma tarda del IV o del V a. C. a dare il nome al suo fondatore avremmo avuto un ”Romanus’ e non un ”Romolus’, che poi - ricordiamolo - vuol dire Romoletto”. L’ironia: ”I Romani sono esistiti fin dall’alto arcaismo e a tale verità occorre rassegnarsi. Non è lecito ridurre l’universo al sistema solare solo perché è più vicino e di più facile intendimento”. L’etica: ”Spingersi nelle profondità meno note è per l’archeologo, più che una pretesa, un impegno professionale e di ricerca. A volte è necessario un po’ di coraggio». Insomma: ”La storia si fa con i concetti e non con i pre-concetti”. E anche: ”Non riconoscere per tempo le scoperte archeologiche - con la scusa della prudenza - è un altro modo di fare lo struzzo”. Il fosso è saltato. [...]» (Sergio Frau, ”la Repubblica” 30/1/2006).