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 2005  gennaio 24 Lunedì calendario

Lo spensierato impero mediatico di Murdoch piace ai pop-comunisti cinesi, la Repubblica, lunedì 24 gennaio 2005 Il palazzo dello sport è gremito di migliaia di teenager, i fasci abbaglianti dei riflettori ruotano sul palco, una troupe di giovanissimi con jeans extralarge e berretti da baseball si scatena in un numero di breakdance

Lo spensierato impero mediatico di Murdoch piace ai pop-comunisti cinesi, la Repubblica, lunedì 24 gennaio 2005 Il palazzo dello sport è gremito di migliaia di teenager, i fasci abbaglianti dei riflettori ruotano sul palco, una troupe di giovanissimi con jeans extralarge e berretti da baseball si scatena in un numero di breakdance. Visti da lontano potrebbero essere dei rapper afroamericani ma lo schermo gigante li inquadra in primo piano: tutti cinesi. La serata ha ritmo, il crescendo di eccitazione e di effetti speciali fa il verso alla cerimonia degli Oscar, le star del cinema e della tv cinese si alternano tra sorrisi e battute per annunciare i vincitori del più ambito trofeo di musica pop. Re e regina si chiamano Jay Chow Ye Pei, soltanto la traduzione delle loro liriche lascia un po’ spaesati («La tua faccia sembra un pomodoro maturo» o «scoppio inconsciamente in una nazione di foreste»), tutto il resto è molto, troppo familiare. Vestiti, gesti, melodie e soprattutto gli spot e gli sponsor onnipresenti potrebbero accompagnare Britney Spears o Alicia Keys, Eminem o Enrique Iglesias. Cinquemila anni di civiltà cinese sono assenti all’appello ma non importa: l’evento di musica pop più importante dell’anno - il Channel V Chinese Music Award - questa sera fa il record assoluto di audience, 230 milioni di telespettatori in diretta sono collegati col Palasport di Shanghai. il trionfo dell’ultraconservatore Rupert Murdoch, proprietario della rete V, il tycoon americano dei mass media che sa parlare al cuore del popolo cinese, ed è amico dei leader comunisti. La serata elettrizzante di Shanghai è un simbolo dell’intesa fra il regime di Pechino e il miliardario più amato dai neoconservatori: via libera all’americanizzazione della cultura e dei valori giovanili, in un mondo da cui l’informazione, le idee, la realtà, devono restare rigorosamente assenti. Prima dell’evento di Shanghai sono stato ricevuto al quartier generale dell’impero asiatico di Murdoch, in cima a un grattacielo di Hong Kong. La fantascientifica sala riunioni - dove proiettano un video hollywoodiano di presentazione della società (The most powerful media company in the world) con rullar di tamburi e gong nella colonna sonora - sembra la sala comandi del Dottor No nei film di James Bond, quella da dove il cattivo progetta la conquista del mondo. Ma il volto con cui Murdoch si è presentato alla Cina è molto più suadente rispetto al film di James Bond che si ispirava a lui (Il domani non muore mai, 1997), in cui un magnate dei media vuole la guerra tra Inghilterra e Cina pur di fare audience tra i telespettatori. Il Murdoch vero è così rassicurante che gli hanno lasciato fare moltissimo, in un paese teoricamente ancora chiuso ai mass media occidentali. Dal 1993, quando la sua News Corp. è sbarcata a Hong Kong comprandosi la Star tv per 525 milioni di dollari, il padrone di Fox e Sky e ”Times” si è allargato in Cina fino ad avere il controllo o una partecipazione determinante in nove reti televisive, sedi a Pechino e Shanghai, 750 dipendenti, un accordo con la tv di Stato Cctv, un piede in una società di produzione per cinema, tv e radio. Più una moglie cinese, la trentenne ex dirigente di Star Tv Wendi Deng, che ha fama di possedere un know how strategico sul proprio paese. In teoria i network di Murdoch possono trasmettere solo nel Guangdong, la regione meridionale di Canton, dove il governo cinese ha deciso di liberalizzare un po’ il mercato dei media. Perché di fatto era già libero. Gli 80 milioni di abitanti del Guangdong, oltre a essere i più ricchi della Cina, sono così vicini a Hong Kong che da anni vedono le tv di tutto il mondo ritrasmesse dalla ex-colonia britannica. lì che News Corp. è ufficialmente autorizzata a diffondere a tre milioni di abitazioni cablate. In realtà anche nel resto della Cina chiunque si compri un’antenna satellitare riceve gratis le reti di Murdoch. Sarebbe illegale ma i cinesi non si spaventano per così poco: gli aficionados della Star tv hanno già raggiunto i 40 milioni. A questi telespettatori cinesi il capitalista di destra - in America la sua Fox News appoggia Bush e la guerra in Iraq - può perfino offrire una rete che fa notiziari 24 ore su 24, la Phoenix tv, perché questa consociata rispetta la regola di avere un azionista di maggioranza locale. La vera forza di News Corp. sta altrove: nella rete di puro intrattenimento Xing Kong, nella tv musicale per giovani Channel V, negli sport mondiali ritrasmessi attraverso Espn Star, nei film di Hollywood e di star cinesi come Jackie Chan. Alle accuse di colonizzazione culturale i collaboratori di Murdoch rispondono con prontezza. «Noi ci comportiamo in modo opposto rispetto ad altri gruppi americani come Mtv, Viacom o Disney - dice la vicepresidente di Star, Jannie Poon - perché loro impongono gli stessi contenuti in tutto il mondo, mentre noi produciamo programmi locali, fatti da cinesi per il pubblico cinese». vero che sui loro schermi non compare un viso occidentale, ma i modelli sono ben riconoscibili: dalla reality-tv ai talk show per casalinghe con consigli d’acquisto, dalle lotterie e giochi a premi alla pop-music, ci si sente a casa anche senza capire una parola di mandarino. L’invasione della pubblicità commerciale traghetta in tutte le case cinesi i marchi del capitalismo globale, da Nike e McDonald’s. I cinesi si arrendono a questa penetrazione senza combattere, o quasi. Qualcuno reagisce, come il giornalista Ding Gang del ”Quotidiano del Popolo”. Per anni una delle firme più note della stampa cinese dagli Stati Uniti come corrispondente all’Onu, al suo ritorno in patria si è ribellato agli eccessi di americanizzazione della società cinese. «I nuovi condomini di lusso devono tutti chiamarsi Manhattan, Madison Avenue, 5th Avenue - protesta Ding Gang - chiunque sia nato in Cina dopo il 1980 si nutre solo da McDonald’s e Kentucky Fried Chicken, guarda il campionato di basket americano Nba, guarda film di Hollywood, veste Nike e Adidas, sogna di comprarsi una Jeep e parla usando l’aggettivo cool ogni due minuti. Perfino le festività cinesi si stanno perdendo, adottiamo San Valentino, la festa della mamma che sono importazioni occidentali». Ding Gang ha cercato di lanciare una campagna per la «de-americanizzazione». Tiene a precisare che non è antiamericano, vorrebbe difendere solo gli aspetti positivi di una tradizione culturale. Ma queste reazioni sono minoritarie e il governo non le incoraggia. Perché? Di fronte a questa domanda uno dei dirigenti del gruppo Murdoch a Hong Kong mi risponde con candore, a condizione di rimanere anonimo. «Per il partito comunista la tv commerciale che facciamo noi è funzionale, è lo svago che serve a tener buono il popolo. Perciò i leader di questo paese non sono critici, sanno che con il crollo dell’ideologia si è creato un vuoto morale e il partito unico non ha la credibilità per riempirlo. Di qui il rischio che sia riempito da fenomeni come Falun Gong. Piuttosto che Falun Gong, preferiscono le nostre tv». Anche perché Murdoch è riuscito a rassicurare su un punto: lui non è qui per far politica, solo per far soldi. Nel suo quartier generale di Shanghai, una raffinata villa liberty del 1920 con soffitti decorati da vetrate floreali, l’ex giornalista Huang Ping oggi è il direttore responsabile delle relazioni con il governo. Nel suo studio sono affissi alle pareti i complicati organigrammi del potere cinese che lui sa decifrare: gerarchie di partito, organi legislativi, ministeri. Sulla biblioteca in bella vista l’autobiografia di Murdoch. «Noi non siamo qui per rifare la Fox News - dice subito, alludendo alla forte connotazione politica della rete Usa - e Mr. Murdoch è stato molto efficace nelle sue relazioni con il governo. Distribuiamo perfino il canale inglese della tv di Stato cinese Cctv in America, un favore molto apprezzato». Altri gesti sono stati apprezzati perfino di più, come a suo tempo il rifiuto di pubblicare le memorie dell’ex governatore di Hong Kong Chris Patten (critico verso Pechino) o la direttiva politically correct emanata ai presentatori del Tg di Phoenix, dove non si pronuncia mai l’espressione «presidente di Taiwan». Risultato, l’accesso di Murdoch ai vertici del potere cinese ha pochi eguali nel mondo occidentale. stato il primo businessman straniero invitato a tenere una lezione alla Scuola centrale del partito. I suoi incontri con il primo ministro Wen Jiabao sono routine. Ma i suoi collaboratori sono convinti che l’apertura al mercato sta cambiando anche la qualità dell’informazione. «Molti media cinesi ormai si mantengono da soli, con la pubblicità, quindi devono guadagnarsi l’interesse del pubblico - dice Huang Ping - e le conseguenze positive si vedono: per esempio l’informazione su eventi negativi, come le stragi nelle miniere, è molto più trasparente».  meno fiduciosa Zhang Yan della università Renmin. Osserva che in una Cina non ancora anestetizzata dalla tv commerciale la gioventù degli anni 80 - la generazione di piazza Tienanmen - era «alleata di tendenze liberali», cioè faceva politica e voleva riformare il sistema. I teenager di oggi rischiano di non sapere neppure chi era Zhao Ziyang, l’ex segretario del partito morto domenica scorsa, dopo 15 anni passati agli arresti domiciliari per aver condannato il massacro dell’89. Sanno tutto invece di Jay Chow e Ye Pei, i vincitori del trofeo della musica-pop benedetto da Murdoch. Federico Rampini