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 2006  gennaio 27 Venerdì calendario

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 11. Qualunque suicidio Il vero rebus per uno vivo (capita di essere vivi e nessuno ti ha mai saputo spiegare perché) è come disfarsi del proprio corpo senza lasciare tracce

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 11. Qualunque suicidio Il vero rebus per uno vivo (capita di essere vivi e nessuno ti ha mai saputo spiegare perché) è come disfarsi del proprio corpo senza lasciare tracce. Se sei fortunato e t’imbatti in un tipo alla Giovanni Brusca, ci pensa lui. Nelle pellicole truculente l’assassino che non sa come disfarsi del cadavere se lo trascina nella vasca da bagno, lo accovaccia come una creatura e lo smonta pezzo a pezzo, con la sega elettrica o i coltellacci da bistecca, cominciando dalla testa e poi gli arti. Lo chiude in una valigia, finge di essere un turista e lo getta di notte nel Tamigi o nella Senna. Tu sei un tonfo nell’acqua e poi mangime per i pesci. Perfetto. In alternativa ti sciolgono nell’acido, che al massimo risputa qualche frammento spugnoso. Meglio ancora dell’inceneritore che brucia bara e corpo a mille gradi centigradi. Ma, prima di arrivare al beccamorto che schiaccia il pulsante della combustione, c’è sempre un corpo rigido che tanfa di fiori marci da vegliare e poi sigillare.  l’idea di lasciare un corpo qualunque alla mercè dei vivi che vengono lì in massa a curiosare, a singhiozzare, a simulare un dolore specialmente se vero. A toccarti e a lasciarti messaggi strazianti tra le dita che già devono stringere il rosario, la foto dei figli e forse anche quella dei nipoti. Tu che odiavi le foto. Suicidarsi non serve. In Europa il suicidio è la prima causa di decesso, secondo un rapporto della commissione europea. Il suicidio mancato è ridicolo. Ma il suicidio riuscito è indecente. Spesso una deplorevole piazzata. Gettarsi dal balcone di casa, terzo piano, lasciare una pozza di sangue, gente che urla, che domanda, sfaccendati, ambulanze, referti. Spararsi un colpo alla tempia o in petto non migliora le cose. La badante ucraina dovrà usare guanti, detersivo e ramazza per cancellare le tracce della tua materia grigia che non ti è servita un granché se ora sei lì ammucchiato nella scopa della badante. Avvelenarsi? Volgare. Spasimi, contorsioni, lamenti. Impiccarsi? Peggio. Spettacolo greve per i più impressionabili e poi il rischio di essere scambiato per un capolavoro d’arte moderna com’è successo alla salma mummificata che penzolava da una corda nell’ala in corso di restauro dell’Accademia delle Belle Arti di Budapest. Buttarsi dal ponte può essere la soluzione ma c’è sempre l’eventualità che il corpo riaffiori e i corpi che riaffiorano non sono mai una bella cosa. Farsi esplodere con una cintura di dinamite o, a scelta, 50 pezzi di marrons glacés doppio strato, non risolve il problema. Resta l’ignominia del corpo smembrato, che è pur sempre la somma delle sue membra. Estinguersi allora con un digiuno feroce che lasci solo lo scheletro perché, come dice quell’allegrone di Tertulliano, «niente piace più a Dio della magrezza del corpo»? Tutto sottratto, ci convince di più Steve McQueen che sparisce con il suo cancro al polmone in una clinica messicana. O Petronio Arbitro che, dopo essersi fatto aprire le vene dal medico, chiude le porte e, circondato dalle concubine e dagli schiavi che lo baciano ovunque e lo accarezzano nelle parti intime, si lascia la vita sfuggire. Giancarlo Dotto