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 2004  novembre 04 Giovedì calendario

Pansa e le primarie: la profezia su Prodi, la verità su Vendola/1, L’espresso, 4 novembre 2004 Già, le primarie! Romano Prodi le aveva volute per due motivi

Pansa e le primarie: la profezia su Prodi, la verità su Vendola/1, L’espresso, 4 novembre 2004 Già, le primarie! Romano Prodi le aveva volute per due motivi. Il primo era di ottenere una conferma popolare della propria candidatura alla guida della Grande Alleanza. Il secondo di far vedere ai partiti quanto lui, il Professore, fosse gradito agli elettori. E dunque che i partiti non rompessero e gli lasciassero mano libera su tutto. Prodi era sicurissimo di centrare entrambi gli obiettivi. Il ricordo del trionfo nelle suppletive dell’ottobre 2004 lo confortava e lo eccitava. Il trio dei suoi consiglieri (Arturo Parisi, Giulio Santagata e Ricky Levi) coniò uno slogan alla moschettiera: «Prodi per tutti, tutti per Prodi!». E decise come sbarrare il passo ad altre candidature: per presentarsi alle primarie occorrevano 15 mila firme di cittadini, raccolte in almeno undici regioni diverse. L’impresa sembrava bene avviata quando nel piano di Prodi comparve una prima crepa: la norma delle 15 mila firme venne subito depotenziata da un paio di società demoscopiche in grado di raccoglierle per chiunque e a un prezzo modico. Poi emerse un secondo guaio: la candidatura di Fausto Bertinotti. «Non si possono fare le primarie su un nome solo», dichiarò il Parolaio Rosso. In realtà, Berty aveva un obiettivo segreto: raccattare i voti degli scontenti di Prodi, conquistando un bottino del 15-20 per cento. Per poi convincere un po’ di partitini a seguirlo in una nuova formazione, la Sau, la Sinistra Antagonista Unita. Ma anche Bertinotti aveva fatto male i conti. Dopo di lui emerse un terzo candidato a sorpresa: la deliziosa e bravissima Giovanna Melandri, diessina. Dichiarò di voler partecipare alle primarie affinché non fossero un affare soltanto tra maschi. E chiamò al voto tutte le elettrici della Grande Alleanza. La discesa in campo della Melandri fu l’nizio di una valanga. Spuntò la candidatura di Armando Cossutta che spiegò: «Sono per Prodi, ma voglio battermi contro quel comunista fasullo di Bertinotti, un ribellista dannunziano». Dopo Cossutta, si presentò Cesare Salvi che voleva testare la forza del suo gruppo, Socialismo Duemila. Lo seguì a ruota Sergio D’Antoni che, approdato a Montecitorio con le suppletive, s’era montato la testa e aveva deciso di chiamare alle armi tutti i democristiani del Sud, di entrambi i poli. A quel punto anche Clemente Mastella entrò in lizza, ma per interposta persona. Infatti candidò la moglie Sandra, bella, intelligente e poliglotta, una perfetta rappresentante delle donne uliviste del Mezzogiorno. Pure i Verdi non vollero essere da meno. Ma non si accordarono sul candidato. E alle primarie si presentarono in tre: «er Piotta» ossia Paolo Cento, un tal Bulgarelli, critico d’arte a Riccione e l’eroico chirurgo Gino Strada. A quel punto i nomi in ballo risultavano già dieci. Una vera inflazione che faceva stramazzare di rabbia Prodi. Ma la tragedia non era finita. Spuntò un undicesimo concorrente: Achille Occhetto, sempre alla ricerca di una disperata rivincita. Infine emerse il dodicesimo, il più imprevisto: il commissario Montalbano, al secolo Luca Zingaretti, attore quanto mai popolare e testa fine. «Chi lo manda?», ringhiarono gli altri candidati. «Nessuno», garantì il suo addetto stampa, Raul Bova, specializzato nelle fiction sui carabinieri, «ha soltanto il desiderio di partecipare». Dodici candidati e una campagna elettorale disastrosa. Per la quantità di soldi bruciati. E per le cosacce che tutti i candidati, tranne le signore Melandri e Mastella, si videro costretti a dire sui concorrenti. Era una deriva fatale, però i giornali del centro-destra ci inzupparono il pane. Prodi se ne lamentò. Ma gli venne rinfacciato il suo vecchio motto: «Competition is competition». Il più scatenato si rivelò Bertinotti, capace di sposare qualunque causa: dalla lotta alla Coca-Cola a quella contro la Costituzione europea. E pronto ad accusare gli altri candidati di essere fantocci al servizio del liberismo e, per Cossutta, dei defunti capi sovietici. Comunque, il clima di scontro favorì la partecipazione elettorale. Nel febbraio 2005 andarono a votare in 15 milioni. I risultati furono uno choc. Prodi si fermò al 44 per cento, seguito dal commissario Montalbano al 22 per cento e dalla Melandri al 14. La signora Mastella conquistò il 7 per cento, un punto più di Bertinotti, fermo al 6. Tutti gli altri rimediarono un misero 1 per cento. Amareggiato, Prodi ritirò la candidatura a premier e si esiliò sull’Appennino reggiano. Il caos si placò tre giorni dopo. Quando Ds e Margherita dichiararono che, vista la rinuncia del Professore, avrebbero schierato contro il Berlusca un ticket di tre nomi: Enrico Letta, Pier Luigi Bersani e Giovanna Melandri. A quel punto, i cervelli prodiani capirono tutto. Le primarie erano servite per liquidare Prodi. Strumento della congiura: il commissario Montalbano. Era o non era il fratello di un dirigente diessino e deputato europeo, Nicola Zingaretti? Sì, lo era. Come reagire? Studia e ristudia, il rimedio fu trovato. E un giorno di marzo del 2005 Prodi annunciò che... Giampaolo Pansa