Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  gennaio 21 Venerdì calendario

Ricordi d’un capofamiglia qualunque: Paolo (Cirino) Pomicino, Corriere della Sera, giovedì 21 gennaio 2005 «Sì, ricordo molte notti difficili

Ricordi d’un capofamiglia qualunque: Paolo (Cirino) Pomicino, Corriere della Sera, giovedì 21 gennaio 2005 «Sì, ricordo molte notti difficili... E so che mia moglie e io abbiamo sbagliato cercando di rimanere insieme a ogni costo. Credevamo che così le bambine avrebbero sofferto di meno, invece...». Ascoltando le parole aspre con cui Ilaria Cirino Pomicino ha descritto la sua infanzia nell’intervista a ”Vanity Fair”, la voce di suo padre s’incrina per un attimo e l’emozione fugge a nascondersi dietro un colpo di tosse. Perché di mari in tempesta puoi averne attraversati mille, come è toccato a Paolo Cirino Pomicino, ma di fronte ai rimpianti di una figlia non scampi al naufragio. «Mi consolo pensando che quest’oscura miscela di emozioni s’è addensata nell’anima di un’artista ed è diventata poesia, cinema. Ad appena 33 anni, Ilaria ha già diretto due film. Molto belli, fra l’altro. Lo dicono perfino quelli che detestano il mio nome...». E questo come padre le basta? «No, perché mi rendo conto che avrei dovuto fare di più e meglio. Ma la nostra, purtroppo, è anche la storia di una famiglia qualunque, una delle tante che provano disperatamente a restare unite spostando sempre più in là il capolinea. E alla fine scoprono di essersi perse irrimediabilmente». Ma in quegli anni un cattolico come lei, ministro ed esponente di punta della Dc, poteva mandare in frantumi un matrimonio? «Per la mia generazione, la difesa della famiglia era un valore civile ancor prima che religioso. Oggi le cose sono diverse ed è giusto così. Ai vertici delle istituzioni siedono uomini come Berlusconi e Casini: entrambi cattolici, entrambi separati. E, grazie al cielo, nessuno ci fa caso. Il problema è un altro». Quale? «Il mestiere di genitore è già difficile, figuriamoci poi quando vivi fuori di casa cinque giorni alla settimana e la tua vita diventa una trottola impazzita...». Ma se Ilaria le avesse chiesto di mollare? «Non l’ha mai fatto perché, al fondo, ha condiviso le mie scelte. Non quelle politiche, sia chiaro, visto che ha sempre votato Rifondazione. Cosa che, fra l’altro, mi riempie d’orgoglio». Davvero? «Certo, perché vuol dire che sono riuscito a trasmetterle il valore della libertà. E per me questo conta più di tutto. Ricordo che nel ’92, quando ero ancora ministro e abitavo a Roma, tornai a casa una sera e trovai sulla scrivania una cassetta registrata. Le elezioni erano vicine e Ilaria avrebbe votato per la prima volta. Come? Lo seppi ascoltando quel messaggio in cui mi spiegava la sua scelta. Piansi di gioia e pensai che, forse, non avevo fallito tutto come padre». Però l’ombra di quelle notti sembra pesare come un macigno nella memoria di sua figlia. «Lo so e anche allora mi accorgevo di quanto soffrisse. Ma nel ’79 ebbi il primo infarto e la situazione precipitò. Ilaria aveva otto anni e già mostrava una sensibilità profonda. A quell’età, una bambina non dovrebbe avere fantasmi e invece lei si ritrovò accanto lo spettro di un padre malato, in bilico fra la vita e la morte». Uno spettro che l’ha inseguita a lungo? «Non lo so... Ilaria è un miscuglio di forza e debolezza. Nell’85, quando venni operato d’urgenza al cuore, aveva appena 14 anni: volle prendere l’aereo da sola per Houston. Non ci fu verso di farle cambiare idea». Poi scoppiò Tangentopoli... «E fu la mazzata finale. Mia moglie ed io avevamo già deciso di separarci, ma quel ciclone travolse tutto. Ilaria avrebbe potuto allontanarsi: lei, così orgogliosa d’essere comunista, si ritrovò con un padre scaraventato nel fango, dipinto come un lestofante. Mi rimase accanto, invece. Sapeva che non avevo rubato. E quando, dopo il secondo infarto, mi diedero poche ore di vita, fu lei a chiamare Di Pietro». Già, ma adesso? Adesso mi rendo conto che un politico, soprattutto a certi livelli, non può essere un padre come gli altri. Ti mancano il tempo, l’energia... Chi afferma il contrario, mente. Ogni passione ha il suo prezzo. Forse io l’ho sempre saputo e questa consapevolezza è servita a modellare il rapporto con le mie figlie in maniera diversa». Dunque si assolve? «No, ma invoco qualche attenuante. E le spiego il motivo. Quando fui dimesso dal Gemelli, incontrai Fausto Bertinotti che mi disse: ”Lo sai che Ilaria ti vuole bene davvero? Mentre eri in ospedale, mi ha scritto una lettera che grondava affetto per te”. Fu una sorpresa, perché ignoravo l’esistenza di quel messaggio. Insomma, non sarò stato un padre come gli altri. Ma ci ho provato e continuo a provarci. Con tutto l’amore possibile. Come la mia ex moglie. E credo che questo Ilaria lo sappia». Enzo d’Errico