La Stampa 26/01/2006, pag.13 Paolo Mastrolilli, 26 gennaio 2006
Osama, un timido patito di calcio e telegiornali. La Stampa 26 gennaio 2006. New York. Da ragazzino Osama giocava a pallone, centravanti, perché con la sua altezza segnava bene di testa
Osama, un timido patito di calcio e telegiornali. La Stampa 26 gennaio 2006. New York. Da ragazzino Osama giocava a pallone, centravanti, perché con la sua altezza segnava bene di testa. Però era timido e lasciava la fascia di capitano ai compagni più piccoli. Non ci sono solo curiosità come questa nel libro di Peter Bergen «The Osama bin Laden I Know», l’Osama bin Laden che conosco, biografia del terrorista più braccato al mondo. Anche i dettagli, però, aiutano a capire la costruzione dell’uomo che ha fatto diventare realtà lo scontro fra le civiltà. Bergen aveva conosciuto il capo di al Qaeda nel 1997, quando lo intervistò per la Cnn, ma il suo rapporto è stato superficiale. Perciò ha intervistato una cinquantina di persone che hanno vissuto vicino a Osama, dal cognato al maestro di inglese, per farselo raccontare dal vivo. Osama è nato nel 1957 da Mohammed bin Laden, costruttore originario dello Yemen diventato miliardario in Arabia Saudita. Aveva 53 fratellastri e sorellastre, nati da oltre 20 matrimoni diversi, ma lui era figlio unico di sua madre. Da bambino era fanaticamente religioso: pregava sette volte al giorno, digiunava il lunedì e il giovedì, ed era convinto che Allah l’avrebbe punito se non gli avesse obbedito. Secondo il suo maestro di inglese, Brian Fyfield-Shayler, «era timido e certamente non il cervello del gruppo». Usava i soldi del padre per aiutare i poveri di Jedda, ma era abituato al lusso, e amava i film western e quelli di Bruce Lee. Durante un viaggio in Svezia col fratello preferito, Salem, girava in Rolls Royce e comprava camicie di Christian Dior e Yves Saint Laurent che buttava dopo averle indossate una sola volta. Però aveva deciso di non seguire l’esempio del padre, che aveva divorziato 20 volte: lui si sarebbe attenuto alla «monogamia poligama», ossia le quattro mogli consentite dalla legge islamica, sostituendone solo una perché lei aveva deciso di abbandonarlo quando era in Sudan. La svolta della sua vita è avvenuta alla Facoltà di Economia della King Abd al Aziz University di Jedda, dove ha conosciuto il professore palestinese Abdullah Azzam. Lui reclutava militanti per combattere i sovietici in Afghanistan, e aveva creato il Services Bureau a Peshawar, in Pakistan. Così Osama era arrivato nella regione, dove poi aveva costruito la sua prima base a Masada, vicino al villaggio afghano di Jaji. In quel periodo aveva conosciuto il medico egiziano Ayman al Zawahiri, diventato poi suo vice, e si era radicalizzato studiando il pensiero di Sayyid Qutb. Zawahiri lo aveva convinto a globalizzare la guerra santa vinta contro i sovietici. Forse è stata la morte del fratello Salem in un incidente aereo in Texas a spingere Osama a puntare gli occhi sull’America. L’amicizia di Zawahiri con lo sceicco cieco Omar Abdel Rahman, arrestato nel 1993 per il primo attentato alle Torri Gemelle, lo avrebbe spinto a colpire New York. Forse aveva anche visitato l’America in segreto, per far curare un figlio. Bergen sostiene che la ricchezza di Osama è esagerata: il padre non gli ha lasciato 200 milioni di dollari, ma 20. Non è malato ai reni e non fa la dialisi, però soffre di pressione bassa e forse della sindrome di Marfan, come Lincoln. Non sopportava Saddam, con cui non avrebbe mai collaborato, ed era davvero a Tora Bora, da dove gli americani lo lasciarono scappare. Anche quando non era braccato si era abituato a mangiare formaggio rancido e bere acqua calda, ma non si nasconde in una caverna. Vive in maniera agiata in Pakistan, ama guardare Larry King sulla Cnn ed è fissato con le notizie. Vuole morire nella guerra santa per ricreare il califfato, e se ci riuscirà diventerà ancora più pericoloso come martire. Paolo Mastrolilli