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 2006  gennaio 19 Giovedì calendario

Per carità, fate pure pettegolezzi. Corriere della Sera Magazine 19 gennaio 2006. L’America gliela giurò a Capote quando mise in piazza i segreti dell’alta società newyorchese

Per carità, fate pure pettegolezzi. Corriere della Sera Magazine 19 gennaio 2006. L’America gliela giurò a Capote quando mise in piazza i segreti dell’alta società newyorchese. Lo scrittore aveva raccontato un tradimento coniugale di Bill Paley, uno degli uomini più potenti e affascinanti del jet set oltre che amicissimo di Capote, in un capitolo di quella che doveva essere la sua Ricerca del tempo perduto (l’incompiuto Preghiere esaudite). Un racconto grottesco. Per darvi solo un’idea di quanto lo sia, pensate che la donna con cui il protagonista del racconto va a letto ha le mestruazioni e perciò lascia sulle lenzuola una macchia di sangue «grande quanto il Brasile». Che naturalmente tocca al fedifrago lavare, in una scena di puro panico, mentre la moglie sta per far ritorno. I ricchi americani (dei quali Capote era stato la mascotte, il perenne ospite d’onore di party e crociere) non gli perdonarono di lavare le loro lenzuola sporche in pubblico. Altrettanto imperdonabile fu considerato il modo che Capote scelse per morire. La lunga agonia esibita sui giornali e nei talk show televisivi di un uomo ottenebrato da alcool, psicofarmaci e cocaina. Ora l’America ha deciso di perdonare Capote onorandolo con due film. Il primo, già uscito (in Italia arriva a metà febbraio), si intitola Capote ed è candidato all’Oscar anche per la miracolosa interpretazione (ma sarebbe più esatto dire reincarnazione) dell’attore Philip Seymour Hoffman. Il secondo film Have you heard?, in lavorazione, vanta un cast con Sandra Bullock, Gwyneth Paltrow e Toby Jones. A ispirare le due pellicole c’è la meravigliosa biografia Truman Capote di Gerald Clarke (14 anni di lavoro), che esce da Frassinelli in una edizione definitiva e illustratissima (Capote è stato lo scrittore più fotogenico nella storia della letteratura, e lo sapeva). Secondo Gerald Clark il giorno decisivo della vita di Capote fu il 16 novembre 1959. A quell’epoca Capote ha 35 anni ed è già uno scrittore famoso. Al suo esordio a 23 anni un critico ha scritto: «Sembra destinato a diventare uno degli angeli della distruzione più risplendenti del nostro secolo». E un romanziere come Norman Mailer, malgrado la proverbiale gelosia di categoria, ha decretato: «Truman Capote non lo conosco bene, ma mi piace. acido come una vecchia zitella, ma a suo modo è un ragazzino con le palle, ed è lo scrittore più perfetto della mia generazione, scrive le frasi migliori parola per parola». QUELLA MATTINA DI LUNED 16 novembre 1959, lo scrittore più perfetto della sua generazione sta sfogliando il New York Times quando a metà di pagina 39 si imbatte in una notizia: «UCCISI CONTADINO E LA SUA FAMIGLIA. Holcomb, Kansas, 15 novembre: Oggi un facoltoso coltivatore di grano, sua moglie e due dei loro figli sono stati trovati morti nella loro casa. Dopo essere stati legati e imbavagliati, i poveretti sono stati uccisi a colpi di carabina». Il suo sesto senso gli dice che in quelle scarne righe c’è materia per il grande romanzo di Truman Capote, c’è materia per A sangue freddo. Su due piedi, dopo aver preso accordi con il New Yorker, lo scrittore parte per il Kansas. La sua intenzione è di scrivere un lungo reportage su quei poveri ammazzati di Herb Clutter, di sua moglie e dei suoi due figli. Sarà un reportage lungo sette anni perché nel frattempo il cast del racconto si amplia: vengono catturati i due assassini, due perfetti balordi. Uno dei due, Perry Smith, affascina Capote. All’inizio c’è una identificazione fisica: Perry Smith è basso come Capote, sfiorano il metro e sessanta. Poi c’è un’identificazione esistenziale. Perry è figlio di due professionisti del rodeo che si esibivano come Tex & Flo. Flo era un’indiana Cherokee che beveva tanto e andava a letto con tutti e un giorno è morta soffocata nel suo stesso vomito. Tex, stufo della moglie, se n’è partito per l’Alaska a fare il cercatore d’oro. Perry ha cominciato a farsi la pipì addosso la notte. Capote confronta la storia di Perry con la sua. Suo padre Arch Persons (Capote, con la e pronunciata è il cognome del secondo marito di sua madre) è un ballista matricolato, finito spesso in galera per emissione di assegni a vuoto, che dice sempre: «Io lo so, farò fortuna, c’è una miniera d’oro che mi aspetta». Sua madre, Lillie Mae (poi ribattezzatasi Nina), è andata a letto con 29 uomini in 7 anni di matrimonio. Il suo catalogo di amanti, stilato in una lettera dal cognato John, fratello del marito, è questo: «Invariabilmente sono greci, spagnoli, dongiovanni di college, giovani villani rimessi a nuovo». Ma si è fatto anche di meglio Lilli Mae: il campione del mondo dei pesi massimi Jack Dempsey. Successe sul treno Memphis-Saint Louis. C’era anche Truman bambino, un amico di Dempsey lo portò nella carrozza belvedere a bere una Coca Cola mentre la madre si tratteneva nello scompartimento dell’ex pugile. Lillie Mae, alcolizzata persa, è poi morta per una mistura di drink e Seconal, un barbiturico. DELLA MADRE CAPOTE HA DETTO: « stata la persona che mi ha fatto più male in tutta la vita». Da lei ebbe ricordi indelebili come la scia del profumo Sera di Parigi che Lilli Mae si lasciava dietro quando abbandonava il piccolo Truman a casa delle prozie in Alabama (dove trascorse l’infanzia come se fosse orfano). Una volta Truman trovò una boccetta di Sera di Parigi e la tracannò per annegare il suo dolore. Altro ricordo indelebile: la frase, finto disinvolta, in realtà una delazione, che la madre, quando scoprì l’omosessualità di Truman, rivolgeva a, più o meno, tutti quelli che incontrava: «Be’, il mio ragazzo è un finocchio ». Sì, tra lui e Perry Smith ci sono punti in comune. Scrive Gerald Clarke nella biografia: «In Perry riconosceva la sua ombra, il suo lato oscuro, l’incarnazione della rabbia e delle ferite che aveva accumulato ». A sangue freddo fu un successo storico che diede ragione a quello che Capote sentiva durante la stesura: «Qualche volta quando penso a come potrebbe essere bello, mi viene a mancare il fiato». Clarke riassume nella biografia il bollettino della vittoria capotiana: «Fu l’argomento di dodici articoli sulle riviste nazionali, di due programmi televisivi di mezz’ora l’uno e di un numero ineguagliato di spettacoli radiofonici e di articoli di giornale. Il suo viso guardava dalle copertine di Newsweek, Saturday Review, Book Week e della New York Times Book Review, che gli fece l’intervista più lunga della storia. Life gli dedicò diciotto pagine, lo spazio maggiore che abbia mai concesso a uno scrittore di professione, e fece pubblicità al suo enorme servizio facendo lampeggiare di continuo le parole A sangue freddo sul cartellone elettronico di Times Square». Capote diventò persino alto come si legge nella cronaca di una serata in suo onore: «Truman Capote può sembrare un uomo fragile che sta diventando calvo. Ma la sera scorsa, a un pubblico rapito composto dai lettori della più alta società di New York, sembrava alto tre metri». Esaltato, diede al Plaza la festa più bella mai fatta a New York col il meglio del bel mondo internazionale in maschera e rigorosamente in bianco e nero.  A QUESTO PUNTO CHE ENTR IN SCENA Santa Teresa. Capote meditava ogni giorno sulla frase di Santa Teresa che dice: «Si versano più lacrime sulle preghiere esaudite che su quelle non accolte». Temeva che quella frase contenesse il senso del suo destino. A sangue freddo era la sua preghiera esaudita: il grande libro che lo faceva definitivamente grande scrittore. Ma il prezzo da pagare era stato alto. «Nessuno saprà mai quello che mi ha sottratto A sangue freddo. Mi ha scorticato fino al midollo. Mi ha quasi ucciso. In un certo senso, credo che mi abbia ucciso davvero. Prima di cominciarlo ero una persona equilibrata, relativamente parlando. Dopo mi è successo qualcosa. Semplicemente non riesco a dimenticarlo, in special modo le impiccagioni alla fine. Orribile!». Capote aveva accompagnato i due assassini fino al patibolo e da quel momento era cambiato come dissero tutti gli amici (di colpo, come quelli che in seguito a un trauma si vedono imbiancare in un secondo tutti i capelli). Un attimo prima che il boia entrasse in azione, Perry aveva consegnato a Capote i quaderni che aveva scritto in carcere. Una frase in particolare di Perry colpì Capote: «Se non sapessimo che dobbiamo morire saremmo dei bambini; sapendolo, ci viene data l’occasione di maturare nello spirito. La vita è solo il padre della saggezza, la morte è la madre». Così Capote descrisse quello che gli accadde dopo A sangue freddo: «Mi sono liberato del ragazzo con la frangetta. Se n’è andato, semplicemente. Quel ragazzo mi piaceva. C’è voluto uno sforzo di volontà perché era facile essere una persona così, esotica, strana ed eccentrica. Mi piaceva l’idea di essere quella persona, ma doveva andarsene». POTEVA TRUMAN CAPOTE SMETTERE di essere il ragazzo con la frangetta pieno di allegria e dalla vitalità contagiosa, trascinante? Il giorno d’agosto del 1984 in cui morì, Capote era ospite di un’amica. Cominciò a sentirsi male di primo mattino ma rifiutò ogni soccorso, chiese solo all’amica di stare con lui e di ascoltarlo. Parlò a lungo, in un quieto delirio, della sua infanzia, di sua madre, di Preghiere esaudite il libro che non riusciva a finire. All’ultimo disse: «Sono io, sono Buddy... Ho freddo». Buddy era il soprannome che al ragazzo con la frangetta aveva dato la prozia Sook, la più amata, quella che lo aveva allevato nella casa in Alabama, che lo portava per boschi a cercare gli ingredienti per le sue torte di frutta (ne mandarono una anche al presidente Roosevelt e questi ringraziò con un biglietto su carta intestata della Casa Bianca). LA SUA VITA ERA STATA ASSIEME un racconto di Natale (come quello della torta mandata al presidente degli Stati Uniti) e un racconto d’orrore. Racconto d’orrore: quando aveva 9 anni e si era trasferito a New York dalla mamma, uno dei professori lo riaccompagnava a casa da scuola. Lungo il percorso, nella parte alta di Broadway c’era un cinema, l’Olympia: «Lì, nell’intimità dell’ultima fila, Truman masturbava l’insegnante mentre lui lo accarezzava». Racconto di Natale, il grande amore con Newton Arvin, l’eccelso critico autore della monumentale biografia di Melville, che, perso ogni ritegno accademico, gli scriveva lettere così: «PERSO probabilmente a Manhattan un leccalecca di menta piperita, meravigliosamente bianco e rosa, stupendamente dritto, deliziosamente dolce. Lungo circa come una mano. Di grande valore intrinseco e anche sentimentale per il proprietario». Racconto di Natale da Truman in viva voce: «Avrei potuto avere tutte le donne della terra, dalla Garbo alla Dietrich. Piaccio sempre alle donne, e a me piacciono le donne belle e attraenti, ma come amiche, non come amanti. Non riesco a capire quelli che vogliono andare a letto con una donna. noioso, noioso, noioso!». Greta e Marlene furono sue amiche, come lo furono Marilyn Monroe, Liz Taylor, Marella Agnelli («il cigno europeo numero uno») e Pamela Churchill. Pettegolezzo di Natale a proposito di Pamela Churchill: «Pamela è una geisha che ha fatto felici tutti gli uomini. Solo che non volevano sposarla. Gianni (Agnelli) voleva sposarla davvero, e lei si era perfino convertita al cattolicesimo e aveva imparato a parlare italiano: avrebbe fatto qualsiasi cosa! Ma i suoi sarebbero andati tutti ad annegarsi in qualche canale di Venezia se lui l’avesse sposata, così all’ultimo momento ha sposato la piccola Marella. Pamela rimase distrutta, ma devo dire che le ha dato una liquidazione molto generosa, tra cui uno dei più begli appartamenti che abbia mai visto a Parigi». Super-racconto di Natale: Capote in Italia negli Anni Cinquanta che frequenta a Taormina Peggy Guggenheim, Orson Welles, Jean Cocteau, Christian Dior, e a Venezia mangia e beve (martini) esclusivamente all’Harry’s Bar. E, super-raccontissimo di Natale, Capote che pranza a Londra in casa del fotografo Cecil Beaton (suo grandissimo amico) con la regina madre che dirà poi a Beaton: «Penso che il signor Capote è proprio meraviglioso, così intelligente, così bene informato, così divertente». «Sì, è un genio», risponderà con aria grave Beaton. CAPOTE RIVENDETTE L’EPISODIO al padre (Arch, l’imbroglione) dicendo che era stato a pranzo a Buckingham Palace con la Regina Elisabetta. Il padre fece stampare delle cartoline per gli amici in cui si vedeva Capote con la seguente didascalia: «Truman Capote, amato figlio unico di Arch Persons, proprietario della Dixie Scale Co., di recente in visita a suo padre a Shreveport, Louisiana, nella sua nuova Jaguar fuori serie del 1963. Autore di Colazione da Tiffany, Altre voci, altre stanze, L’arpa d’erba e molti altri libri famosi, viene considerato tra i primi tre della sua professione in tutto il Paese. stato di recente ospite sia alla Casa Bianca sia a Buckingham Palace». Così anche Arch ebbe il suo racconto di Natale. Poi ci fu il super-racconto d’orrore della fine della sua vita. Non più torte di frutta ma pinte su pinte di screwdriver (vodka e succo d’arancia) e manciate di Lotusate, il suo sedativo preferito: « l’unica medicina bella che abbia mai visto, con un grazioso color lavanda ». Aveva capito tutto il suo vecchio amico (tra mille litigate) Tennessee Williams, l’autore di Un tram che si chiama desiderio, che così lo descrisse: «La sua faccina, fotografata da Cecil Beaton contro un vasto panorama di rose bianche, ha un’espressione di dolore prenatale, come se fosse ancora nel grembo della madre e sospettasse già quant’è freddo il mondo al di là dell’entrata della vagina». Ma Capote non avrebbe mai lasciato l’ultima parola a Tennessee Williams. L’ultima parola è sua e sembra quasi un comandamento: «Ecco l’unico e solo T.C. Non c’è stato nessuno come me, prima, e non ci sarà un altro come me quando me ne sarò andato». Non avremo altro Truman fuori di lui. Antonio D’Orrico