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 2006  gennaio 22 Domenica calendario

Le parole «scandalose» mai pubblicate. Corriere della Sera 22 gennaio 2006. Gli interventi realizzati da Pasolini furono intesi a purgare il testo dalle scene troppo spinte e dalle parole «volgari»

Le parole «scandalose» mai pubblicate. Corriere della Sera 22 gennaio 2006. Gli interventi realizzati da Pasolini furono intesi a purgare il testo dalle scene troppo spinte e dalle parole «volgari». Come dice Silvia De Laude, leggere il testo prima della censura è leggere un altro libro. Allora la domanda è questa: nella marea di manifestazioni e libri dell’anno pasoliniano, perché nessuno ha pensato di pubblicare il Ragazzi di vita non purgato? Per avere un’idea delle differenze tra il prima e il dopo si può ricorrere alle Note al testo del Meridiano 1998 e, in attesa del saggio della De Laude, si può confrontare l’autografo conservato della Biblioteca Nazionale di Roma con il testo a stampa. Intanto, appare regolare la ripulitura lessicale, specie nei dialoghi. Attraverso abbreviazioni: «fatte li cazzi tua» diventa «fatte li c... tua»; e così via in altre combinazioni; «Vaffanculo» viene ridotto a «vaffan...»; «nerchia» diventa «n...»; «je trema er culo» diventa «je trema er c...». Oppure: «Ma chi te s’è inculato mai, a fungo cinese» diventa «ma chi te s’è in... mai, a farlocco». E ancora: «Viè a faje na p... ar cane» dove l’iniziale, che non basta a nascondere «pippa», viene sostituita da un più innocuo «grattachecca»; «stronzo» diventa «coso», «broccolo», «fesso»; «spacca er culo» diventa «spacca er didietro alle tartarughe». La bestemmia «mannaggia la m... addolorata» si attenua nel semplice «madonna». Altre volte i passaggi sono un po’ più complessi, per cui «Viecce a lavà la s... de tu madre!» (dove l’iniziale sta per il volgare romanesco «sorca») viene sciolto in «Viecce a lavà tu sorella!». Il nome proprio Zinzello subentra a Cazzosecco. Durante un litigio con lo Sgarone «il Roscetto si mise a balzare su di lui»: nel testo originario salta «a colpi di reni, come sopra una femmina», in quello censurato «come c’avesse il ballo di San Giusto». Nel capitolo 5, un passaggio in cui il Lenzetta insidia il fratello addormentato perde tutta la sua malizia. Spariscono l’invito «Mettete a culambrina, daje» e l’assalto del Lenzetta che «ubbriaco fraccico gli si mise addosso, tentando pian piano d’imbrosarselo». Nel testo purgato, il Lenzetta si limita a irritare il fratello cantando «a tutto gasse». I tagli. Nel capitolo 6, «Il bagno sull’Aniene» (già studiato nel Meridiano), che rappresenta anche secondo l’autore «il punto più basso del racconto» per «immoralità», viene soppresso un brano che narra un litigio tra il Caciotta e Armandino: «A fijo de na puttana, che te possino rompe er culo come a quella bocchinara zozza de tu madre!». Non si salva neppure il finale (previsto nella redazione non censurata), dove al Piattoletta, legato a un pilone, veniva inequivocabilmente dato fuoco da un gruppo di ragazzi in un’atmosfera da inferno dantesco: «Così il fuoco (...) s’attaccò alla tela secca, facendo tutta una fiammata. Poi lingueggiò su per la canottiera, che crepitava come fosse di sacco, fino al berrettone bianco che gli penzolava sugli occhi». Niente di ciò nel libro. Nel capitolo 7, «Dentro Roma», la peregrinazione notturna di Alduccio e del Begalone viene semplificata. Nella redazione non censurata, in cammino verso il Circo Massimo, «il Bègalo vedendolo [ALDUCCIO] gli allisciò una chiappa; Alduccio s’interruppe di botto: "Aòh – gli disse – va fanculo". "Me fregherebbe puro mi’ nonna – disse il Begalone, ghignando cogli occhi strabici e la bocca gonfia ”. E’ na mesata, che nun frego". "A me lo venghi a ddì? – fece Alduccio con aria abbacchiata – tengo na fame de sorca, che mmh" e si morsicò una mano». Segue un lungo brano in cui i due amici hanno un crudo scambio di battute con una puttana incinta di sette mesi che si lamenta del fatto che la sua «capitana» «vol’le che se fam’mo fregà all’impied-di (...) que’a disgrazziata!». Il tutto si conclude con una serie di impoperi rivolti dalla «mignotta» ai due ragazzi: «A ghiaviconi, a brutti (...), a fiji de na put’tana zoz’za!». E’ vero che quelle pagine diventeranno un racconto a sé, ma anche lì la crudezza viene stemperata. Infine, il capitolo 8 del testo non censurato viene integrato nel precedente per evitare la titolazione blasfema «IL DIO C****». Solo leggendo la versione originale si può capire a che cosa alludeva quel titolo. Riccetto, Alduccio e il Begalone nei pressi di Campo dei Fiori adocchiano un tizio che dagli sguardi riconoscono subito come un «frocio»: solo nel testo censurato il «froscetto» osserva il Riccetto «in un punto che lo sguardo competente aveva già individuato. "Dorme" fece il Riccetto, seguendo la traiettoria di quello sguardo». Appena si trovano nei pressi di una grotta dove poter consumare al sicuro, il Riccetto dà istruzioni per raggiungerla e si congeda. Il «froscetto» si ribella: «Ma addò vai, che ce lasci mo?». Riccetto: «Ammazzete (...) due non t’abbastano, che?». E aggiunge: «te piace er dio C...., eh?». Una bestemmia risolta nel libro con un innocuo: «te piace de divertirte, eh?». Fermiamoci qui con la speranza di poter leggere a stampa il vero Ragazzi di vita, quello che Pasolini avrebbe voluto pubblicare prima che Garzanti si facesse prendere dagli scrupoli. Ingiustificati oggi, sacrosanti per quei tempi. Perché come si sa, anche il romanzo censurato fu sottoposto a un processo, nel ’56. Pasolini andò alla ricerca di testimoni accademici che dichiarassero in tribunale la qualità letteraria del libro: con qualche delusione. Contini gli rispose che aveva impegni di lavoro, De Robertis finse di non capire e Schiaffini confessò: non sono mai stato un eroe... Paolo Di Stefano