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 2006  gennaio 24 Martedì calendario

Liala - L’ultimo volo dell’aviatore nero. La Stampa 24 gennaio 2006. La signora Primavera non vuole sentire ragioni, Beryl Absul - purtroppo - dovrà morire

Liala - L’ultimo volo dell’aviatore nero. La Stampa 24 gennaio 2006. La signora Primavera non vuole sentire ragioni, Beryl Absul - purtroppo - dovrà morire. Una morte già decisa e organizzata nei minimi dettagli, la sua: l’aviatore s’inabisserà nell’oceano col suo aereo, un MB 326. Il depliant con le caratteristiche tecniche del velivolo, un jet a reazione utilizzato tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli Ottanta per l’addestramento dei piloti dell’Areonautica Militare Italiana, è ancora lì sulla scrivania, tra le pagine ingiallite affiora anche un appunto: l’incidente dovrà lasciare più d’un dubbio sulla possibilità d’un errore volontario del pilota, insomma un suicidio. Accanto al depliant, dentro una cartellina, ci sono ottantatrè fogli di carta velina azzurrata trapunti dai tasti della macchina per scrivere. Il romanzo che Amalia Cambiasi Negretti Odescalchi, in arte Liala, quasi centenaria e afflitta dalla cecità, non ha fatto in tempo ad ultimare, se non con la fantasia che ormai correva più veloce delle dita. La figlia Primavera, 82 anni, e l’anziana governante Tarsilla detta Tilla, conoscono a memoria ogni sviluppo di quell’esile trama: «Mamma ce la raccontava in continuazione». Invece l’estranea che ha l’onore di sedersi alla scrivania ordinata e ingombra di cimeli (il portasigarette in argento con dedica incisa, per dire, è un regalo di D’Annunzio), a un certo punto sobbalza, torna indietro, rilegge meglio. così: Beryl, l’ultimo pilota di Liala, è nero, anzi negro perché questa è la parola che la scrittrice usa quando, negli anni Settanta, inizia a lavorare alla storia, e che non sente il bisogno di cambiare nei suoi ultimi anni di vita, quando la riprende in mano. Liala era così, lavorara a quattro, cinque romanzi per volta. Partiva dal titolo. Se le veniva in mente un bel titolo, ci costruiva una storia. Ogni tanto perdeva il filo, confondeva le trame, e allora toccava alle figlie o alla cameriera ricordarle come si chiamasse la fanciulla e se il giovane si era già dichiarato. Con Beryl perdutamente era stato messo da parte per cominciare Frantumi d’arcobaleno: «Era morto il generale Dalla Chiesa, mamma molto colpita volle subito scrivere un romanzo che avesse per protagonista un carabiniere» ricorda Primavera. L’aviatore negro fu una folgorazione mentre andava dal parrucchiere: «Vide passare per strada dei giovani di colore e volle sapere chi fossero. Le fu spiegato che erano i piloti congolesi che frequentavano i corsi d’addestramento alla vicina scuola aeronautica. Arrivò a casa molto eccitata e disse: ”Devo scriverci una storia”». Detto fatto, di Beryl dalla «pelle color dell’ebano» s’innamora Marta, bionda e ricca ragazza di Varese; ma l’amore tra i due, com’è logico, è osteggiato dalla famiglia di lei. Fin qui il maestro, direbbe Toscanini. Già, perché a dieci anni dalla morte della mamma, Primavera s’è convinta a consegnare l’inedito all’editore Sonzogno, permettendo che sia qualcun altro ad ultimare il romanzo. Ed è a questo punto che cominciano le nuove tribolazioni di Marta e Beryl, perché la figlia di Liala, indifferente alle trovate dell’editoria creativa, ha fin’ora bocciato risoluta tutti i nomi che, in ipotesi, le sono stati fatti, da Aldo Busi (il più logico e conseguente, scrisse anche L’amore è una budella gentile. Flirt con Liala) a Luciana Littizzetto (interessante ossimoro); da Dacia Maraini a Maria Venturi. Primavera è stata chiara: «Non si deve mettere in burletta il mondo di mamma. Non si deve cambiare la trama che Liala aveva ideato». E la trama non prevede lieto fine: la bionda di Varese e il negro del Congo s’innamorano e vanno a letto (Primavera: «succede il patatrac»), ma moriranno entrambi, «trent’anni fa l’unione sarebbe stata impensabile e anche oggi, si sa che il Santo Padre ha raccomandato prudenza con le unioni miste». Dunque, caccia alla Liala del Duemila, impresa non semplice, perché se negli anni Sessanta Edoardo Sanguineti non avrebbe avuto dubbi - per lui, la nuova Liala era Carlo Cassola, e va da sè che non si trattava d’un complimento - oggi i tempi sono maturi per una vera riabilitazione dell’ultima artigiana del feuilletton amoroso: antesignana del vivere soap ben prima dell’avvento di Dallas e Beautiful, capace di gran bella scrittura, ottanta titoli venduti come il pane senza una virgola di pubblicità. E allora, chi? Unioni miste, consiglierebbero le leggi del mercato. Continuità, preferirebbe Primavera, che prima di bocciare un nome consulta le lettrici più fedeli. «So che Busi è bravissimo, venne anche qui a fare un’intervista a mamma, già molto anziana; ma a un certo punto chiese di andare a cambiarsi e tornò vestito da aviatore... Mi arrabbiai molto, gli urlai che non doveva permettersi di prendere in giro Liala». Un «no» più deciso è per Luciana Littizzetto: «L’abbiamo vista in tv, io e Tilla e le amiche di mamma... guardi, siamo inorridite». A incassare il «ni» di Primavera il nome di Dacia Maraini, «lontana da mamma per stile e valori», e quello di Maria Venturi, «ha fatto Incantesimo, lo so, ma non mi convince del tutto. Io e mia sorella Serenella vorremmo che l’incarico fosse affidato a Mariù Safier, biografa di Mafalda e Jolanda di Savoia. Mamma aveva i suoi valori, bisogna tenerne conto». Quali? «Eleganza, pulizia, e chi sbaglia paga. Liala era per certi versi una donna moderna, s’arrabbiava moltissimo quando la definivano una scrittrice rosa: ”Ma quale rosa!”, diceva, ”io io miei protagonisti li mando sempre a letto”». Li mandava a letto, ma poi scattava la punizione: il matrimonio quand’era possibile, altrimenti la definitiva uscita di scena, con stile però: «Una volta - ricorda la figlia - chiese un consulto a un importante primario perché voleva sapere qual è la malattia che fa morire senza far emanare cattivi odori. Lui rispose: il linfogranuloma. E la giovane morì di linfogranuloma». Primavera è una ben severa custode di quel lontano mondo. «Povera mamma, dieci milioni di libri venduti e mai un premio: c’era abituata, ma ne soffriva. Dieci anni prima di morire le lasciarono intendere che avrebbe vinto il Bancarella, era felice, poi all’ultimo lo assegnarono a Umberto Eco per Il nome della rosa». Aveva quasi novant’anni, Liala, ma inghiottì la delusione e si rimise alla macchina per scrivere. Voleva raccontare la storia dell’incontro postumo tra lei e il suo grande amore, quel pilota d’idrovolanti la cui fine prematura fu causa d’una sterminata produzione letteraria. Voleva terminare Con Beryl perdutamente. Da allora, l’aviatore negro è un dead man walking che sconta la sua dorata prigionia in questa casa bianca - villa La Cucciola - sulle colline di Varese: tra i ritratti degli antenati (in famiglia c’era anche un papa, quell’Innocenzo XI che «i musulmani li tenne fuori a cannonate») e le fotografie del Vate (una dice: «A Liala, compagna d’ale e d’insolenza» e porta la data venerdì 13, Santa Fosca, 1931), i profumi della buona cucina di Tilla e il chiacchiericcio lieve ed incessante delle due anziane signore affaccendate tra il salottino azzurro e il giardino con le camelie e i cani e i gatti salvati dalla strada. L’ultimo aviatore di Liala, in attesa di partire per il suo ultimo volo. Anche così, che romanzone. Stefania Miretti