Adriano Sofri, Panorama, 27/01/2005, 27 gennaio 2005
Capelli/1. Il Caro Leader li vuole di 5 cm, Panorama, 27 gennaio 2005 Sul ”Corriere della Sera” l’altro giorno c’era un pezzo siglato, che riprendeva un’inchiesta della Bbc, sulla Corea del Nord
Capelli/1. Il Caro Leader li vuole di 5 cm, Panorama, 27 gennaio 2005 Sul ”Corriere della Sera” l’altro giorno c’era un pezzo siglato, che riprendeva un’inchiesta della Bbc, sulla Corea del Nord. Sono attratto da tutto ciò che riguarda la Corea del Nord. Di tutti i luoghi pazzeschi di questo mondo, quello è il più pazzesco. Lo sapete: carestie che falcidiano milioni di persone, sfide atomiche, un tiranno per discendenza ereditaria da un altro tiranno che si proclamava comunista, e che non si limitò a morire di vecchiaia ma prese il volo accompagnato da uno stormo di anatre, o gru, o non so quali altri magnifici volatili. Asceso così al cielo, Kim Il Sung fu proclamato Presidente Eterno. Kim Jong-Il, suo figlio, denominazione ufficiale Caro Leader, ha perfino fatto qualche osservazione, di recente, sugli eccessi del culto della personalità nel paese di cui è per diritto paterno, cioè divino, despota assoluto: ciò che fa sperare in una riduzione di qualche metro alle colossali statue che raffigurano lui o il suo eterno padre. Insomma, il ”Corriere” intitolava: «Corea del Nord, vietati i capelli lunghi: sono borghesi». E riferiva di una campagna in corso da alcune settimane su televisione, radio e giornali, con la parola d’ordine: tagliatevi i capelli. Più esattamente: tagliatevi i capelli due volte al mese. «La capigliatura di un uomo riflette il suo spirito ideologico». Il regime dà le misure: massimo di 5 centimetri di lunghezza sulla sommità del cuoio capelluto, da 1 a 5 centimetri per i lati e la nuca. I capelli lunghi, dice la campagna riformatrice, sono un segno di «decadenza capitalistica». Non solo, ma (continuo a copiare dall’articolo del ”Corriere”) «possono privare il cervello di una parte di energia», e infine: «Le persone che conducono un tipo di vita che non è il loro diventeranno degli idioti e provocheranno la rovina della nazione». L’articolo è giustamente umoristico, non era difficile. Anche voi, se state ridendo, ridete pure. Ecco, avete riso? Ora ridiventate seri e spaventatevi. Non solo per la povera Corea del Nord. Perché norme barbieristiche come quelle appena citate si ritrovavano fino a poco fa (e forse ancora) nei nostri regolamenti militari, o di collegio, o di seminario, o di galera, o negli ordini domestici di padri di famiglia all’antica. Quante volte avete letto di un ragazzino, o una ragazzina, che si sono suicidati perché erano stati costretti dai genitori a tagliare i capelli? E ogni volta la notizia veniva commentata come se ci fosse una sproporzione inspiegabile fra la fatuità della motivazione e la tragicità della protesta. Il fatto è che la regolazione delle capigliature altrui, maschili e più ancora femminili, è stata il nocciolo dell’autorità, cioè del potere sui propri simili, pressoché in tutte le società. La tonsura, militare o religiosa (la chierica, no?) è un rito cruciale di passaggio, iniziazione e sottomissione. La capigliatura, dalla ciocca della monaca di Monza ai capelloni degli anni 60, è il più evidente segnale di ribellione. Si potrebbe raccontare la vicenda dei gusti e delle aspirazioni degli ultimi decenni, il ciclo delle proteste e dei nuovi conformismi, attraverso le modificazioni nella foggia dei capelli. Tetra mi appare la voga delle teste rasate, in creature tutt’altro che penitenti. Fanno somigliare il mondo a una galera, o a una cupa caserma punitiva. Una caserma, appunto, come il grottesco socialismo nordcoreano. In Corea del Nord il servizio militare è obbligatorio a partire dai 16 anni e, come leggo nel ”Calendario Atlante De Agostini 2005” (nessun detenuto può fare a meno del ”Calendario De Agostini” aggiornato), dura dai 5 agli 8 anni nell’esercito, dai 5 ai 10 in marina, dai 3 ai 4 in aviazione. Le spese militari coprono quasi il 30 per cento del Prodotto nazionale lordo. Per intenderci, in Italia la percentuale è dell’1,5, in Corea del Sud del 2,8. I capelli delle donne sono la questione decisiva, naturalmente. Gli infiniti tipi di veli e mantelli devono coprire prima di tutto i capelli, nei quali i desideri degli uomini possono impigliarsi come in una trappola senza scampo. Scoprirli e scioglierli solo per il proprio padrone, questa è la regola universale, ora violata in una parte del mondo, sicché l’altra parte si è infuriata e vuole vendicarsene: lo scontro di civiltà. Per i capelli. Quanto ai maschi, la paura dei regimi duri è che si effeminino. C’è un rapporto fra il delirio di potenza atomica del dispotismo socialista straccione nordcoreano e la campagna sulla sfumatura alta. I capelli dei maschi vanno mozzati come le orecchie dei cani da combattimento: per non esporsi ai morsi e agli strappi del nemico. Intendiamoci, vale anche per gli uomini ciò che è decisivo per le donne: ognuno decida dei propri capelli, se li ha. è la prima determinazione della libertà. Quando ero ragazzo, andavano forte i capelli a spazzola crew-cut, il taglio dell’equipaggio. Andava forte la brillantina. C’era l’omino del Brillcream (come si scriveva?), somigliava a Berlusconi giovane. Su Silvio Berlusconi e i capelli tutto è stato detto, come su Sansone e Dalila. C’è stato anche un socialismo guerrigliero barbudo: la differenza latinoamericana. Strada facendo ha perso il pelo e ha preso il vizio. I dannati boss nordcoreani denunciano l’occidentalizzazione che insidia i loro sudditi coi capelli lunghi. Corriamo il rischio di farcene condizionare, di persuaderci che l’Occidente stia nei capelli lunghi. Macché, l’Occidente sta nella libertà di disporre dei propri capelli. Oltretutto, l’Occidente è il mercato prediletto dei capelli tagliati delle ragazze coreane e di altri paesi asiatici, per fabbricare parrucche lussureggianti. A proposito, l’articolo del ”Corriere” si concludeva avvertendo che il Caro Leader, Kim Jong-Il, il figlio del Presidente Eterno, fino a qualche tempo fa si faceva una vistosa permanente. Poi ha cominciato a perdere i capelli. Adriano Sofri