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 2006  gennaio 24 Martedì calendario

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 9. La mano tesa (non necessariamente mancina) Nel delirante puzzle umano, la mano non è sempre quella diafana di Juliette Gréco che stringe il microfono e canta Ne me quitte pas per pochi intimi ma capita pure che sia quella pelosa di Paolo Di Canio che scatta a serramanico verso gli amici immaginari della Nord alla fine di un derby eventualmente vinto e urlato («Sono uno di voi»)

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 9. La mano tesa (non necessariamente mancina) Nel delirante puzzle umano, la mano non è sempre quella diafana di Juliette Gréco che stringe il microfono e canta Ne me quitte pas per pochi intimi ma capita pure che sia quella pelosa di Paolo Di Canio che scatta a serramanico verso gli amici immaginari della Nord alla fine di un derby eventualmente vinto e urlato («Sono uno di voi»). Destra o mancina, che sia la mano di fata del Manicure o quella legnosa di Mastro Geppetto, che sia l’arto meccanico degli androidi settecenteschi alla Jaquet Droz o la più recente CyberHand, la protesi cibernetica al silicone che si apre e si chiude, perfettamente capace di grattarsi le ascelle, di masturbarsi ascoltando Ornella Vanoni (senza Gino Paoli) o di strangolare l’amante subito dopo aver assaggiato la sua crostata ai mirtilli, cambia forse la mano, ma non il concetto. Artificiale o no, la mano resta un tic comandato dal cervello. In quanto a perfezione degli automatismi, tra Di Canio e un carillon veneziano la differenza è pressoché nulla, finché dura la carica. Tra il suo saluto romano e le scosse sincopate del dottor Stranamore, la parodia non si sa bene dove sia. E’ sempre lo stesso pagliaccio isterico sopra o sotto la luna, alla Roullet Decamps. Vale, si capisce, per la mano tesa di Di Canio all’Olimpico fascista ma anche per il pugno chiuso di Lucarelli alla curva stalinista dell’Ardenza (invertire il gesto, a volte succede nei casi di amnesia, sarebbe letale) o qualunque dito medio puntato in faccia al nemico. Ora, siamo onesti e tolleranti. Pretendere che Di Canio faccia come Muzio Scevola e metta la mano che ha sbagliato sul fuoco piuttosto che sulla coscienza o dove volete voi non è ragionevole. Senza contare che Di Canio con il moncherino non perderebbe un millesimo del suo appeal, anzi. L’ideologia resta un equivoco, un puntiglioso quanto cretino tentativo di mettere un freno al disordine che, se non sta nella testa, può stare nella prostata o nell’umore. In questo senso, la mano è sempre bucata, irresponsabile, va dove capita. Nel proprio naso o nelle fessure altrui. Stringere una mano può essere un atto di ostilità se non ti lavi da tre giorni. C’è la mano tesa, la mano sporca e c’è la mano morta. Che non sempre è quella del defunto, specialmente se l’autobus è affollato all’ora di punta. La mano si allunga, sfiora, batte, palpa, striscia, spinge, la mano apre e chiude. La mano esagera. Dipende dal Prozac che hai preso, dall’euforia o dalla malinconia immotivata che hai dentro. Se la depressione è bipolare, la mano può essere quella del pokerista dilettante. Puoi vincere anche un derby alla prima mano e fare il saluto romano un secondo dopo con la stessa mano. il tic della marionetta, il gesto riflesso della salma non necessariamente di Salò. Tra l’altro igienico, il saluto romano, come raccomanda Donna Almirante, che non sopporta le mani sudate. L’ideale sarebbe tenerle in tasca le mani, ma devi essere almeno Marlowe. L’alternativa è l’immobilità assoluta. Ma per questo ci vuole molto talento. Giancarlo Dotto