Pietrangelo Buttafuoco Panorama 20/01/2005, 20 gennaio 2005
Amori: Mezzecalzette, Panorama, 20 gennaio 2005 Il romanzo popolare italiano fatto di sposa e madre esemplare, con annessa vipera e partecipazione di sciupafemmine e mangiauomini, è ormai materia morta
Amori: Mezzecalzette, Panorama, 20 gennaio 2005 Il romanzo popolare italiano fatto di sposa e madre esemplare, con annessa vipera e partecipazione di sciupafemmine e mangiauomini, è ormai materia morta. Il drammone di palpiti e lacrime issato a corredo di rotocalco, a uso di Traviate e sventurate, ma anche di Issa, Isso e ’o Malamente, è definitivamente tramontato, perché dovendo scegliere se stare dalla parte di Cristina Parodi o dalla parte di Simona Ventura, una che scimmiotta il garbo e una che scimmiotta il pop system intorno alle spoglie maschie di Giorgio Gori (marito della prima, presunto amore dell’altra), non funziona più l’alibi del melodramma, né quello del fotoromanzo né quello della cronaca: ci si regola con quel che resta del divismo che fu. Dallo straordinario pianeta delle stelle inarrivabili ci s’infila nell’appiccicoso mondo ordinario delle mezzecalzette. Non a caso Parodi e Ventura sono figurine della televisione, magari sono donne niente male, ma sono signore dal fascino relativo. Sono donne cui nessun re darebbe alcun regno, femmine a zero grado di fatalità che nessun viaggiatore di commercio vorrebbe avere per vederle andare via. Nessun camionista le ha appiccicate in cabina. Varianti delle Lecciso, impastate nella stessa farina, su quest’ultime hanno l’ovvio vantaggio di essere comunque due ragazze del Nord. Non sono pane di casa come quelle, non hanno il conforto della letteratura meridionalistica di Al Bano coniugato a Benedetto Croce. Seppure sotto vuoto, Parodi e Ventura sono brioche di un banchetto autoreferenziale: la tv appunto, un posto dove non ci sono le dialettiche servo-padrone per la conquista di una sottana. La fabbrica dei sogni relativi e ordinari accompagnati da spot è una tana neutra senza altro dramma che colpi di scena studiati a comando, senza neppure i particolari in cronaca: infatti qui non c’è un palo del popolo in aperta guerra con un avvizzito membro aristocratico, né si vedono muratori dalle spalle quadrate sprofondati su carni odorose di peccato. Il manager Gori che è un uomo mite, un Veneranda del novissimo establishment, non certo un Sean Connery, stravince su Stefano Bettarini, calciatore in disarmo ma pur sempre palestrato, uno depilato e pare anche addobbato di mèches, che sono ritocchi cromatici su quei capelli che un esemplare maschio di ogni storia di femmine dovrebbe lasciar cadere o far diventare bianchi. Ma gli è che in televisione, nella scatola chiusa dell’universo piccolo pop, si celebra lo sciacquettismo e basta. E l’humus del frocismo è il parametro estetico dove tutti, maschi e femmine, aspirano al ruolo di Violetta, se è vero che il più forbito tra i protagonisti del dibattito a margine, Alessandro Cecchi Paone, se ne esce con una dichiarazione manco a dirlo spiritosa e disarmante: «L’unica cosa che invidio a Simona Ventura è Bettarini». Il romanzo popolare italiano costretto all’aggiornamento televisivo delle due dame, una in Rai manco a farlo apposta, l’altra a Mediaset, è la tomba del gusto, è la sovversione delle eccellenze. Nel rovinio di questa storia di finto grande amore c’è tutta la crisi dell’Italia. Nella morte del romanzo popolare italiano dove donnine di un mondo piccolo si aggirano tra le rovine di un mancato romanticismo c’è qualcosa come la crisi della grande industria dove improvvisati uomini d’impresa piluccano le briciole di un mancato capitalismo. Non a caso Giovanni Agnelli diceva che l’amore è «solo, un sentimento da cameriere», ma la cattiveria dell’illustre padrone che non doveva faticare a consumare bellone non rende giustizia al diritto degli operai di doverseli fare i sogni squadernando l’album del mito nazionale e popolare con Isso, Issa e ’a Malamente, fatti di carne, sangue, passione e conseguenti sette bellezze. Oggi non c’è un’Eleonora Duse che fa impazzire d’amore i poeti e gli impresari miliardari, non ci sono le dive che l’Italia cinematografica di ieri ha conosciuto: Sofia Loren, Alida Valli, Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, ma anche Ornella Muti, donne magnifiche, o perfino le Yvonne Sanson, le muse del fotoromanzo, divine fosse pure per una sola posa. Addette ai sogni del consumo telegenico, le due donne che sbranandosi un uomo oggi dividono il pubblico italico sono spericolate solo nel rasentare il ridicolo. Parodi (Grace Kelly orobica), la regina di ”Verissimo” che si fa maestra di bon ton nientemeno, quindi musa del pomeriggio perbene, faccia giusta per i collegamenti dalla Sala Nervi in Vaticano per il Concerto di Natale, tipo perfetto per il Mulino bianco dei Mulini bianchi, ormai fa ridere. Ventura poi, costretta a recitare il ruolo della seduttrice, macinatrice di successi stratosferici, faccia giusta per trasmissioni maschiacce, quelle del calcio, ma anche regina del circo trash, dominatrice del reality, adesso chiamata nel preserale di Raiuno, è probabilmente la candidata al ruolo di cattiva nazionale ma non può che avere solidarietà: a suo credito va aggiudicata la messinscena orchestrata dai giornali popolari che la raggiunse fino a Malindi, in vacanza, per metterla a conoscenza del trionfo della rivale. In pieno tsunami in un’isola delle Maldive salvata dall’onda, Isso e Issa, regolarmente fotografati, facevano ritratto di famiglia on the beach. Solo la patria del risarcimento patteggiato, quello con gli avvocati in redazione, può concepire certi capolavori: nel frattempo che dal Sudest asiatico arrivavano le notizie della tragedia, Isso e Issa, attraverso comunicato stampa, celebravano la morale della loro favola: «Un po’ di maremoto ci fa bene». segue dalla prima pagina Isso e Issa, sotto gli occhi delle creature, si baciavano alla faccia della Malamente, veramente ridotta male dopo che lei, forse per lui, aveva lasciato marito e figli e dunque lasciato per sempre il suo Natale, la sua Pasqua e la sua Epifania. A proposito di Epifania, gli spettatori di Parodi l’hanno potuta ammirare nel suo unico sottinteso aperto a magnanime interpretazioni: «Oggi è il giorno della Befana, è la festa dei bambini, ma una befana a cui fare gli auguri io l’avrei». Sempre a proposito di interpretazioni di questa storia, a scegliere tra le due signore, se ne fa gara giocando con i due marchi di riferimento della sensibilità femminile: ”Sex and the city”, che è il modello della donna moderna, disinibita e aggressiva (così come ha stabilito il fortunato telefilm dove le protagoniste consumano uomini e indossano scarpe Manolo), e poi lo stile Mulino bianco, lo spartito italico che la signora Gori interpreta al meglio, soprattutto adesso che è ferita ma pur sempre assisa sul trono del sorriso. Ci sono tutti gli ingredienti per fare chiacchiera, c’è infatti a far da cornice tutto il sottobosco di sottopotentato telegenico e relativo habitat: un citofono per dire, fotografato come prova, quindi un elenco di sms offerti da una manina gentile quale traccia di una storia profonda, poi il ritorno a casa del marito tra le braccia di una sposa e madre esemplare, a dispetto dello tsunami. Praticamente la lunga lotta tra «il pene e il Male» direbbe la sublime Guia Soncini, l’arrabattarsi di personaggi che somigliano sempre più alle comparse dei reality da loro stessi prodotti, uomini che non sono più i tipi e i caratteri della commedia italiana forgiati nella complessità dell’amore e costretti ai tempi comici dell’intrattenimento popolare. Strepitosa la battuta di Tiberio Murgia, il Ferribotte di Mario Monicelli: «Fimmina cucinera: pigliala ’ppi mugliera. Fimmina piccanti: pigliala ’ppi amanti». E non ce ne sono di tempi comici per farci il romanzo popolare italiano di una volta in questa storia delle due donne d’Italia. Una, Parodi, è la bella e buona Biancaneve e l’altra, Ventura, è l’intrigante e cinica Sarah Jessica Parker, il personaggio cult di ”Sex and the city”, ma come è normale che accada nel passaggio tra interpretazione e realtà, la brava ragazza, la moglie indifesa, la madre santa, la povera donna abbandonata, si rivela algida e calcolatrice come un killer lasciandosi fucilare dagli scatti dei paparazzi durante la sua fuga di riconciliazione. E non è certo una Crudelia invece la mangiauomini, l’amante, la maliarda ammaliatrice intubata nei completi Dolce & Gabbana che si svela fragile, forse sconfitta, sola: costretta a piangere nella solitudine di un rifugio a Malindi, ospite di Flavio Briatore, giusto per non negarsi dettagli nel festival del pop. Hanno ammazzato la Traviata e non come poteva ammazzarla l’incolto spettatore di una pomeridiana dopolavoristica a Leonforte quando, indignato, avendo in testa quest’operaio la dialettica servo-padrone, esorcizzava ciò che vedeva in scena dicendo addosso alla soprano: «Pensa un po’ questa puttana: sta morendo e ancora canta?». Donnine di un mondo minore, giorno dopo giorno, fanno la crisi del romanticismo e però potrebbero prendere esempio da una madre di famiglia di Taormina, una signora dall’incredibile faccia di pietra, concentrata ad apparecchiare il pranzo di Capodanno quando dal televisore ci sono i tg che danno notizie sulla tragedia dello tsunami. La signora ascolta le parole, scaraventa sulla tavola delizie, fiori e argenteria. In tv dicono che adesso c’è da far partire la gara della solidarietà. La signora che in Thailandia ha un marito, navigato pendolare del turismo sessuale, rassetta la tovaglia e con tono rassegnato dice ai suoi cari in attesa di procedere al pranzo: «Mah! è da una settimana che aspetto una telefonata di condoglianze. Speriamo che m’arrivi presto». Pietrangelo Buttafuoco