varie, 24 gennaio 2006
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Smith Steve
• Los Angeles (Stati Uniti) 12 maggio 1979. Giocatore di football americano • «[...] quando passi da spazzare il parcheggio di un fast food per 5,75 dollari all’ora, a spazzare le ”end zone” della Nfl sognando il Super Bowl, non c’è dubbio che la fortuna ha deciso di baciarti in fronte. Steve è il ricevitore titolare dei Carolina Panthers [...] tanto per cominciare, è un barattolo. A vederlo da fuori, nemmeno la mamma Florence avrebbe scommesso un penny sul suo destino come giocatore di football. nato a South Central, il ghetto nero più povero di Los Angeles, che si è conquistato un posto nei libri di storia grazie alle innumerevoli rivolte scoppiate nelle sue strade. Quando nel 1992 esplose quella per il pestaggio di Rodney King, in cui morirono una sessantina di persone, Stevonne avveva tredici anni: abbastanza per capire che in certi casi correre veloce aiuta a salvare le penne. Di mestiere mamma Florence faceva l’assistente sociale per i drogati, e certe volte si portava il figlioletto sul lavoro, per mostrargli dal vivo la devastazione dei tossici: ”Pregavo - racconta lei - che tanto squallore avesse qualche effetto su Steve”. L’effetto c’è stato, forse in più di una direzione. Comunque il ragazzino aveva deciso che non sarebbe diventato come quei relitti, e avrebbe cercato di fare qualcosa della sua vita. Partire da South Central non è facile per nessuno, anche se corri i cento metri in meno di dieci secondi. Smith, al principio, si era accontentato di arrivare in autobus alla University High School, dove gli facevano sfogare la rabbia accumulata a South Central sul campo da football. Era un barattolo e sfigurava davanti ai marcantoni della squadra, ma quello per lui era un incentivo alla sfida, invece di un buon motivo per farsi ancora più piccolo e timido. Tuttora il suo scopritore, Fred Gaves, ripete che l’unica difesa buona contro Stevonne è il silenzio: ”Se in campo lo provochi e lo sfotti, lui si sente obbligato ad umiliarti. Meglio tacere. Così lo disorienti, e non sa più contro chi indirizzare la sua rabbia”. Per arrotondare lo stipendio della madre, sempre in autobus, Smith andava a lavorare al Taco Bell di Pico Boulevard, un maleodorante fast food messicano. Gli facevano spazzare il parcheggio, e quando erano proprio in buona vena gli permettevano di mettersi dietro alla cassa. In cambio gli infilavano in tasca 5,75 dollari all’ora, quasi la paga minima legale, che gli bastavano a mala pena per pagarsi l’autobus con cui tornava a casa e a scuola. Quando la fortuna decide di alzarsi la benda, però, non la ferma neppure la puzza dei fast food di Los Angeles. Qualcuno aveva notato il tappo della University High School e l’aveva presentato a Robert Tyalor, allenatore del Santa Monica College: ”Quando me lo portarono - ricorda lui - era un piccolo uomo incazzatissimo”. Giocava e litigava, correva e urlava. ”Una settimana - ha raccontato Taylor al New York Times - si picchiò con tre compagni diversi. Lo chiamai nel mio ufficio e gli chiesi: Steve, con chi sei così arrabbiato? Lui mi guardò confuso e rispose: non lo so”. Il coach lo avvertì: ”Non ti farò più giocare fino a quando non avrai una risposta per questa domanda. Magari perderò delle partite, ma non voglio perdere te”. Smith ci pensò sopra, e una settimana dopo tornò nell’ufficio di Taylor a chiedere un’altra chance. Da allora smise di fare idiozie, almeno a Santa Monica. Laggiù infatti lo andò a pescare Fred Graves, per portarselo alla University of Utah: ”Per discutere l’ingaggio ci incontrammo al Taco Bell di Pico Boulevard. Mi innamorai subito”. Altro giro, stessi problemi. Neppure il gelo dello Utah aveva raffreddato gli spiriti bollenti di Stevonne, e durante un allenamento Graves fu costretto a cacciarlo perché gli aveva risposto male: ”Lui smise di giocare, come avevo ordinato, ma non uscì dal campo. Rimase nella end zone, con il casco in testa, a piangere. Qualunque altro ragazzo mi avrebbe mandato a quel paese. Lui no: aveva troppo bisogno del football, non possedeva altro”. A forza di scatti, salti, ricezioni improbabili, pugni, mete, litigate e pianti, il barattolo di South Central era diventato materiale buono per la Nfl. Come ci sarebbe entrato, però, è un’altra storia da raccontare. Durante una delle ultime partite nella sua carriera universitaria, a San Diego, gli agenti facevano la ressa per parlargli e convincerlo a firmare il contratto con loro. Solo uno, Derrick Fox, stava zitto in un angolo. Stevonne lo vide e lo apostrofò: ”Ehi, come mai non vieni qui?”. Derrick rispose: ”Sarebbe tempo sprecato. A te ti corteggiano i pezzi grossi”. Smith con i pezzi grossi aveva sempre avuto problemi, soprattutto in campo, e quindi da quel giorno in poi Fox divenne il suo agente. Adesso lo chiamano Jerry Maguire, come il protagonista del film con Tom Cruise, perché pure lui ha una scuderia composta da un solo giocatore. Uno che fa le uova d’oro, però. Nel 2001 Stevonne era stato ingaggiato dai Panthers, e nel febbraio del 2004 era già in campo per il suo primo Super Bowl, perso per un soffio contro i Patriots a Houston. Ma quel giorno era morta la moglie di Taylor, e la cosa più importante per Smith era stata telefonare al vecchio coach mentre andava allo stadio. L’anno dopo i Panthers gli avevano allungato il contratto, dandogli il posto da titolare, ma lui si era frantumato una gamba alla prima partita. ”Farmi male è stata la migliore fortuna che potesse capitarmi. Durante la stagione passata a letto ho capito che perdevo troppo tempo a preoccuparmi del mio status nella squadra, e troppo poco a realizzare le mie potenzialità”. [...] Il commentatore della Nbc Mike Celizic ha scritto che ”le difese riescono a contenere Smith, come le dighe di New Orleans hanno contenuto l’acqua durante l’uragano Katrina”. [...]» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 23/1/2006).