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 2006  gennaio 24 Martedì calendario

FALCONI Gigino.

FALCONI Gigino. Nato a Giulianova (Teramo) il 21 marzo 1933. Pittore. «Gli italiani la chiamano ”nostalgia” che, alla lettera, significa ”dolore del ritorno”, del nostos. Gli inglesi lo chiamano spleen. Gli americani lo chiamano homesickness. I tedeschi lo chiamano sensucht. I portoghesi lo chiamano saudade. Gli austriaci lo chiamano heimweck. I polacchi lo chiamano zal. I russi lo chiamano toska. I giapponesi lo chiamano sabiski. Sotto il segno della nostalgia che spolpa il tempo e lo distorce in una smarrita fissità minerale è il mondo figurativo di Gigino Falconi [...] Lungo, lunghissimo è il cammino che porta alla consapevolezza di Musil di ”una nostalgia senza scampo dell’io, nel mondo e tra gli uomini” che Falconi insegue inseguendo il mito di una visione naturale sempre sul punto di dissolversi. Figure sospese nel vuoto e nell’attesa, incastrate in un tempo imploso e impazzito senza scansione né volto. Donne sensuali e caste, seduttive e ritrose, avvolte nella carnalità e nel mistero. Forme piene eppure accennate nella tensione plastica delle forme e dello spazio che diventano fossili di un mondo imprendibile nella realtà. Un infinito presente amoroso senza disegno, al di là della nascita e della morte, al centro della felice fluidità di un racconto in eterno movimento, senza fini né argini. Vasi di fiori, conchiglie, violini, porti glaciali dove le navi sono imprigionate, scale, tovaglie bianche, deserti, rocce improvvisamente affiorate come dolmen, gelide e inospitali marine sullo sfondo. Sono rappresentazioni del tutto oniriche, scene non naturali, accensioni fantastiche che Falconi replica e verifica dentro una compattezza interpretativa che lo stile, il passo felice dell’esecuzione rendono tessere di un mosaico continuo, tattile e luminoso. Che assorbe la nostalgia della bellezza e la pena dell’amour-passion, crepe improvvise oltre il confortevole manto della ripetizione. Una incantata lucidità, una smarrita e ostinata trasparenza in cui sembra rivivere il brusio della lingua delle favole. Il rigore visivo, il nitore costruttivo, la sapienza esecutiva delle immagini di Falconi (scrive Silvia Pecoraro nell’introduzione al bel catalogo Il mito della pittura da lei curato) ”non narrano storie, ma le immobilizzano in un tempo senza storia” che ha il senso di ”un’ostinata, fragile, sognante e limpidissima meditazione narrativa sull’esistenza”. Sulla via del simbolo e dell’archetipo la nostalgia diventa il modo in cui il sentimento dell’esistenza non riesce a contenere tutto, ma non può dire nulla in più di ciò che pensa di dire senza neppure dirlo» (Renato Minore, ”Il Messaggero” 22/1/2006).