Varie, 24 gennaio 2006
BISCEGLIA Francesco
BISCEGLIA Francesco Laurignano (Cosenza) 6 novembre 1937. Frate. Noto anche come “padre Fedele”. Il 6 luglio 2011 fu condannato a 9 anni e 3 mesi di reclusione per 5 episodi di violenza sessuale singola e di gruppo, ai danni di una suora e altre donne • «Missionario in Africa e capo ultrà rosso-blu, fustigatore di benpensanti e confessore di prostitute, fondatore di centri sociali e difensore d’emarginati. [...] Una vita trascorsa sopra le righe [...] La polizia lo ha arrestato per “violenza sessuale, singola e di gruppo”, perpetrata ai danni di una suora tra le mura dell’Oasi Francescana di Cosenza, un centro d’accoglienza per diseredati. [...] Il “monaco ultrà” era noto per la sua capacità aggregativa e per la sua “concretezza per gli altri”, ma in Calabria lo conoscevano anche per i suoi eccessi. [...] Tre lauree e linguaggio “colorito”, il prete negli anni aveva conquistato le cronache per il suo inusuale modo d’interpretare il vangelo. Capo degli ultrà del Cosenza, nel 2004 divenne persino presidente della squadra di calcio, nel vano tentativo di salvarla dal fallimento. Stazionava spesso ai semafori con i lavavetri per distribuire il Vangelo agli automobilisti. Nel 2000 è stato artefice della presunta conversione della pornostar Luana Borgia [...] In tanti ricordano la sua partecipazione agli stand dei festival “hard”, dove c’era sempre una cassettina per la raccolta delle offerte. [...]» (Giuseppe Baldessarro, “la Repubblica” 24/1/2006) • «Barba bianca, saio marrone spesso attraversato dalla sciarpa rossoblù del Cosenza, viso rubizzo e occhi incendiari, lingua sciolta. Laurea in filosofia e teologia, presa alla Cattolica con Mario Capanna compagno di studi. Poi in biologia e in medicina, perché i poveri hanno bisogno di medici e a furia di sgobbare sui libri padre Fedele poteva offrirne uno in più. [...] Padre Fedele non è persona facile, lavora per conto di Dio e a Dio rende conto: per gli altri sono parole brusche - se gli vai contro - o dolci, ma allora devi essere disposto ad aiutarlo davvero, una mano sul cuore e l’altra sul portafogli. A meno che non rientri nella categoria a cui Padre Fedele dà tutto: i disperati. Le immagini, quanto meno insolite. Padre Fedele sulle scalinate del San Vito, lo stadio cittadino, padre Fedele in ospedale per uno sciopero della fame contro la retrocessione del “suo” Cosenza in serie D, padre Fedele presidente del nuovo Cosenza, nato sulle ceneri di quello inghiottito dalla solita storia di conti fasulli. Padre Fedele con la pornostar Luana Borgia - l’aveva convertita, dicevano entrambi, poi cominciarono a farsi vedere insieme allo stadio e i pettegolezzi piovevano - padre Fedele che viene alle mani con un gruppo di ribelli in Congo e l’ha vinta, che stringe in braccio la piccola Anna, una bimba africana malata che ha voluto adottare per strapparla alla disperazione dell’Africa. Insomma, frate, padre e perfino papà. Lo dice il nome: un uomo di fede. E l’uomo, e la sua fede, si rispecchiano in modo geometrico nell’Oasi francescana. Né palmizi né dromedari, invece un palazzo di cinque piani costruito su uno degli ultimi strapuntini di terreno (edificabile) liberi a Cosenza. Un fazzoletto di terra che faceva gola a tutti i costruttori della città. Tutti han dovuto inchinarsi al francescano, al termine di più sessioni di lotta all’ultimo sangue nella commissione edilizia del Comune. Ma a quei tempi in Comune regnava il vecchio Giacomo Mancini, che aveva padre Fedele in simpatia. E tanto bastava. Orfano, cresciuto dai frati e fattosi frate a sua volta lo avevano mandato, prima missione, alla Montagnola di Acri: frazione periferica sui monti della Sila, dove negli anni Settanta si viveva ancora senza luce e senza corrente. Fece costruire un campo di calcio, una chiesa e un asilo poi portò i suoi parrocchiani a manifestare nelle strade di Cosenza: che il capoluogo sapesse in che condizioni vivevano i suoi figli nella provincia. Francescano e ultrà, all’indomani della tragedia dell’Heysel convocò un vertice di tutte le tifoserie italiane. E così i capi delle curve - dalla Juve alla Roma, da Milano a Napoli - si trovarono a discutere di violenza negli stadi sulla costa del mar Tirreno, a Fuscaldo. Poi l’incarico di segretario delle missioni estere: e in Africa sono spuntate otto chiese, un centro per bambini disabili, un ospedale, un intero villaggio. Allo stesso modo l’Oasi di padre Fedele è cresciuta con i suoi cinque piani, a suon di offerte dei fedeli. Dentro, la chiesa multietnica: navata centrale dedicata ai cattolici, cinque cappellette sui lati per le altre grandi religioni del mondo. Una quarantina di posti letto per accogliere chi non ha un tetto, e un miniospedale con tanto di studio ginecologico, oculistico, dentistico, otorino e di medicina generale. Quaranta medici volontari impegnati, cento persone visitate al giorno. Poi la farmacia, il minibar, una sala conferenze da 300 posti, le aule per la scuola di lingua dedicata agli stranieri, la lavanderia, una boutique di abbigliamento, perfino il night francescano. Duemila metri quadrati per i bisognosi e i disperati. Che si trovano, vuole il caso, all’imbocco del ponte Mancini, il viadotto che a Cosenza è il capolinea della disperazione più nera: di lì si butta chi è stanco della vita, e in tanti si son fermati qualche metro prima, al campanello di padre Fedele, per lasciarsi convincere a fare un passo indietro e tornare salvi a casa. [...]» (Marco Sodano, “La Stampa” 25/1/2006) • «Nell’immediato dopopartita Bruno “Maciste” Bolchi, un uomo che nel calcio credeva di averle viste tutte, scuoteva la testa incredulo. “A che punto siamo arrivati — disse ai giornalisti —. Sono stato preso di mira da un ultrà travestito da frate. Ma vi rendete conto?”. Marzo 1983, e l’allenatore del Bari che aveva appena espugnato il campo del Cosenza, senza volerlo introduceva all’Italia intera un nuovo personaggio. Perché “l’esagitato barbuto” che gli si era parato davanti invitandolo a recarsi in più amene località, poteva in qualche modo essere definito come un ultrà, ma era anche, innegabilmente, un frate francescano. Da quel lontano alterco domenicale, l’immagine di padre Fedele Bisceglia è stata addomesticata negli anni da una quantità notevole di interviste e apparizioni nei salotti Rai e Mediaset, due libri, tre videodocumentari, decine di sue iniziative sicuramente benefiche e sempre in favor di telecamera. Don Fedele ha sempre saputo di avere una faccia commestibile, e l’ha usata come passe-partout per generare quella simpatia umana destinata poi a sfociare in un gesto di solidarietà che lui avrebbe fatto fruttare nelle zone più povere e difficili dell’Africa. “Si gioca a calcio? Mi risposero che avevano addirittura il pallone di cuoio”. Solo dopo aver ottenuto questa garanzia, Fedele si decise a seguire il consiglio del padre ed entrò in convento. “A quei tempi noi ragazzini giocavamo con palle di lana appena tosata alle pecore e stretta in vecchie calze da donna”. Nato il 6 novembre 1937 a Laurignano, a sud di Cosenza, don Fedele è il primo di quattro fratelli. A cinque anni rimane orfano, la madre muore di polmonite. Diventa sacerdote nel 1964. Si laurea tre volte, in teologia, filosofia (era compagno di studi di Mario Capanna) e medicina. Negli autunni caldi è sempre in corteo a benedire contadini, operai e studenti. All’inizio di ogni inverno, invece, vola in Africa centrale, protagonista di innumerevoli iniziative umanitarie. A Cosenza fonda l’Oasi francescana — “Un’isola di speranza nella tua città” —, dove accoglie i più poveri, 500 persone al giorno, l’80 per cento extracomunitari. La passione per il calcio torna a farsi sentire negli anni del riflusso. All’inizio degli Ottanta diventa capo ad honorem della curva del Cosenza. Nel 1985 organizza all’Oasi il primo convegno nazionale degli ultrà. Memorabile l’incipit del suo discorso di apertura dei lavori: “Ragazzi, basta casino o vi prendo a mazzate”. L’inevitabile soprannome di “frate pallone” gli arriva quando è già sopravvissuto a qualche faida curvaiola e si è visto respingere dalla Curia una scherzosa (si spera) richiesta di scomunica del bomber catanzarese Massimo Palanca, reo di accanimento contro il suo Cosenza durante i derby regionali. Nel novembre del 1994 diventa definitivamente famoso. Per lanciare un messaggio d’amore nelle curve italiane, si presenta allo stadio di Lecco in compagnia della pornostar locale Luana Borgia. Lui doveva tornare in Africa a consolare i bambini malati, lei aveva finito di girare Turpex, sesso alchemico. Criticato dalla Curia che poco gradisce l’ambulanza acquistata con una donazione della pornostar, risponde appostandosi ai semafori per distribuire copie del Vangelo agli automobilisti. Contro le stragi del sabato sera, nel giugno 2004 lancia nelle discoteche calabresi una bevanda analcolica a base di cedro e bergamotto. Lo slogan è: “Bevi sano, bevi francescano”. La sua fama mediatica spesso ha fatto passare in secondo piano il lavoro svolto in Africa. Soltanto l’anno scorso è sfuggito ad un agguato a Brazzaville, Congo. Nel 2002, tornato dall’Etiopia, i confratelli lo sentono urlare nella sua stanza. Temono sia vittima del demonio. Era invece una forma violenta di malaria, tre settimane di ospedale. L’attitudine francescana lo porta a scontrarsi con ogni forma di autorità.Quando decide di realizzare un centro per ragazze madri, il Comune gli nega l’autorizzazione. Per protesta, padre Fedele trascorre mesi a dormire sotto ad un ponte. Diventato presidente del Cosenza retrocesso in serie D, manda in campo la squadra con l’immagine di San Francesco da Paola sulle maglie e dedica le sue attenzioni al presidente della Federcalcio Franco Carraro, “colpevole” di non aver ripescato la società. All’Oasi e in città appaiono fotomontaggi con la testa di Carraro sul corpo di un lupo e il fumetto che recita in dialetto: “Attientu, ca ti muzzicu”. Era l’inizio del 2005, “la nuova impresa di padre Bisceglia”, titolarono i giornali. Perché di un personaggio gigione, verace e irruento come don Fedele, basta lasciar passare del tempo e se ne riparla. [...]» (Marco Imarisio, “Corriere della Sera” 24/1/2006).