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 2006  gennaio 20 Venerdì calendario

«Compagno tesoriere, dormivi?». La Stampa 20 gennaio 2006. Roma. L’atmosfera si scalda, piano ma si scalda

«Compagno tesoriere, dormivi?». La Stampa 20 gennaio 2006. Roma. L’atmosfera si scalda, piano ma si scalda. Alla fine sono tutti o quasi piuttosto delusi, qualcuno anche furioso, chi esce dicendo che «è una vergogna», chi scuote la testa», chi gli strilla «ma rispondi alle domande», chi se ne va dicendo che «forse lui dormiva quando c’era il dibattito perché ci ha raccontato un altro film». Lui è Ugo Sposetti, tesoriere dei Ds, loro sono la famosa base, un pezzetto di base. Iscritti ma anche non iscritti alla sezione Salario di Roma, media borghesia, militanti, elettori, cittadini del quartiere che hanno visto i manifesti che annunciavano l’incontro: «Noi siamo gente perbene». Sono tanti, più di cento, la sala è piena, e sono tanto per bene che ascoltano con pazienza l’introduzione del loro tesoriere. Il quale ricostruisce la vicenda (poco), fa un accenno di autocritica – «dobbiamo capire cosa è successo» – la butta molto sul futuro e rivendica con orgoglio la legge che ha aumentato i rimborsi elettorali dei partiti. Un punto sul quale insisterà due, tre, dieci volte: «C’è scritto nella Costituzione, art. 49». Spiega come ha fatto a ripianare i debiti del Partito («quel colpo di culo», dichiarato da lui al Corriere fu proprio la legge sui rimborsi del 2002). Infine, invita a chiudere il capitolo e ad andare avanti, «parliamo dei problemi del Paese ché sennò le elezioni non le vinciamo». «E infatti non le vinceremo», gli dirà più tardi la compagna Beatrice: «Se avessi vent’anni non voterei a sinistra perché non abbiamo più ideali, parliamo solo di economia, di finanza, siamo economicisti, i nostri dirigenti non salgono mai su un autobus». Critiche anche più articolate, i militanti vogliono sapere perché l’Unipol ha fatto il passo più lungo di due gambe, perché Consorte e Sacchetti si sono costruiti una fortuna privata, perché – soprattutto – sono costretti a mettere in discussione la loro diversità, con Berlusconi che mette il dito nella piaga. Un vecchio professore di filosofia, Raffaele Lauretta, cita Benedetto Croce: «I partiti non hanno solo una testa e un’anima ma anche un ventre e un culo». Per dire sì al finanziamento pubblico della politica, ma per dire anche che «qualche volta il convento è povero e i frati sono ricchi. E’ giusto che il presidente del nostro partito riceva finanziamenti per la sua rivista Italianieuropei, che oltretutto trovo noiosa?». Molti lamentano il tifo dei loro leader e il ritardo della loro reazione, «già a luglio si poteva capire cosa stava succedendo». A Nino Andreotti, economista, l’idea del tifo proprio non va giù: «Quando la politica fa il tifo dimostra la sua subalternità al mercato e ai suoi attori». Il signor Mazzetto, non iscritto, sostiene che D’Alema e Fassino hanno fatto benissimo a esprimere la loro opinione, «peccato sia un’opinione sbagliata. Perché se l’Unipol fa lo stesso mestiere degli altri operatori finanziari, allora non ne capisco il senso. Se invece avesse detto, chessò, compro la Bnl per farci la prima banca etica nazionale, oppure per investire nel Mezzogiorno, allora sarebbe stato diverso». Un compagno alto con barba, si chiama Banchieri ed è stato un manager del mondo cooperativo, padroneggia la materia. Dichiara di conoscere Consorte da tempo e di essere rimasto sorpreso di quel che avrebbe fatto. Mette il dito nella piaga: «I soldi dei suoi conti non sono risorse sue ma sottratte all’Unipol, possibile che nessuno del Cda se ne fosse accorto? E Fiorani, e Ricucci, personaggi che muovevano milioni di euro protetti dai politici di centrodestra, non possono essere compagni di strada dell’Unipol, noi non c’entriamo con questi qui, non dobbiamo entrarci. Io non ci credo ai capitani coraggiosi» (applausi). Vorrebbe che Sposetti gli rispondesse, anche perché «penso che la storia non sia finita e non mi piace questa nostra timidezza, sembra che non siamo liberi...». Non poteva mancare il metalmeccanico, reduce dal contratto firmato con i suoi cento euro. La sua domanda è tanto semplice quanto demagogica: «Non è un problema per la sinistra che uno paghi 8000 euro mensili di mutuo?». Rumori in sala, qualcuno disapprova. Ritocca a Sposetti. L’unica risposta che dà alle domande dei suoi militanti è questa: «Le vostre domande sono anche le mie». Delusa, la base se ne va mentre il compagno alto con la barba, che il gioco lo conosce, mormora: «Non poteva dire altro». Riccardo Barenghi