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 2006  gennaio 14 Sabato calendario

Lo scrittore va al bordello. La Stampa 14/01/2006. Al protagonista di Camilleri per ora sta andando bene

Lo scrittore va al bordello. La Stampa 14/01/2006. Al protagonista di Camilleri per ora sta andando bene. Niente di paragonabile con il cadetto lussurioso di Musil, che nel Giovane Törless avvicina Bozena, la puttana del villaggio, «creatura di mostruosa bassezza», e finisce col pensare orrificato alla propria madre. E forse neppure con Alessio Mainardi, il liceale di Elio Vittorini, che nel Garofano rosso compie la sua iniziazione con Zobeida, misteriosa prostituta drogata, abbandonandosi alla grande tenerezza che la donna gli offre, quasi un amore, e trascurando ovviamente la scuola. Quelle signore sono onnipresenti nei romanzi, nella memorialistica e nella poesia di tutti i tempi (basti pensare a Catullo), per non parlare della filosofia. Se Nietzsche frequentava i bordelli pur limitandosi a suonare il pianoforte per intrattenere le ragazze, sappiamo dal Libro dei cinici che Cratete di Tebe (IV secolo a. C.) «portò il figlio, finita l’efebia, nell’abitazione di una meretrice e gli disse che suo padre così aveva celebrato le sue nozze», a testimonianza di una pratica durata almeno fino al grande Jorge Luis Borges: secondo il suo più recente biografo, Edwin Williamson, durante l’adolescenza a Ginevra fu indirizzato dal padre a una prostituta che lo iniziasse all’età adulta. Per strada gli venne però da riflettere sul fatto che forse il genitore era già stato a letto con la donna, e da allora non riuscì più a separare il sesso dalla vergogna. Situazione limite? No, basta tornare in Sicilia per incrociare le ginnastiche del Bell’Antonio di Vitaliano Brancati. Nel romanzo Antonio Magliano, grande fama di conquistatore, è in realtà impotente; e il padre Alfio, che non se ne vuol convincere, va a cercare la bella morte per redimere, se non il figlio, almeno il buon nome della famiglia. Con un grido invero gallista: «Voglio che tutta Catania sappia che Alfio Magnani coi suoi 70 anni andava a puttane!». L’incontro con la prostituta, luogo letterario per eccellenza, è ambiguo e complesso. Quello con la casa di tolleranza lo è ancora di più, perché fa parte esclusiva della nostra modernità. Non ci sono veri bordelli nei libri anteriori al XIX secolo, per la semplice ragione che non esistevano nella realtà. Vennero istituiti in Francia a partire dal Consolato, quindi alla fine della Grande Rivoluzione. Lo scopo era di creare, come spiegano gli storici, un luogo dove rinchiudere la prostituzione, renderla invisibile, controllarla, circoscriverla e gerarchizzarla. La novità era il sistema, non l’idea in sé, che risale almeno a Sant’Agostino, cui tutti i teorici della regolamentazione si richiamarono. Nel De ordine scrive infatti il vescovo di Ippona: «Se sopprimete le prostitute, le passioni sconvolgeranno il mondo; se conferite loro il rango di donne oneste, l’infamia e il disonore corromperanno l’universo intiero». Gli scrittori moderni, bisogna ammetterlo, presero la faccenda molto sul serio. Sarà stato un alibi per frequentare i bordelli, divenuti a poco a poco, da «case chiuse» piuttosto opprimenti, «case aperte» dove concedersi ogni piacere, da quelli più trasgressivi alla più banale e consueta socializzazione tra maschi? In ogni caso, l’elenco è interminabile, dagli Splendori e miserie delle cortigiane di Balzac al delizioso bordello di provincia che ci racconta Maupassant in Casa Tellier, dove le ragazze si rivelano, in una scampagnata organizzata dalla «madame» per festeggiare la prima comunione della nipotina, non solo nostalgiche dell’antica purezza, ma devotissime e addirittura commoventi. Sono donne del popolo. La letteratura al bordello privilegia i «lupanari», quelli cui si rivolgevano la classe operaia e gli studenti, più che le «maison» sontuose di gran lusso, riservate ai grandi borghesi. C’è naturalmente Des Esseintes, l’eroe di Huysmans, che le ama e le descrive. In A rebours, testo sacro del decadentismo, le contrappone sdegnosamente alle «birrerie con ragazze», altra istituzione parigina che ebbe grande fortuna. Ma nel complesso trionfa nei romanzi la prostituta ingenua, povera, indifesa, poco trasgressiva, di buon cuore. Non la pericolosa Nanà di Emile Zola (del resto cortigiana di alta classe), ma una rassicurante massaia del sesso. Il cliché si conferma, per citare ancora un capolavoro, quello di Tomasi di Lampedusa, nelle prime pagine del Gattopardo (la preponderanza di riferimenti siciliani, va da sé, è un esplicito omaggio al nostro Camilleri). Il principe di Salina si dirige a piedi «là dove era deciso ad andare», pensando fra sé e sé di essere un «peccatore», e due ore dopo torna soddisfatto, anche se con qualche senso di colpa verso la moglie Stella (madre dei suoi sette figli, primatista mondiale nel farsi segni della croce), perché «Mariannina lo aveva guardato con gli occhi opachi da contadina, non si era rifiutata a niente, si era mostrata umile e servizievole». Anzi, lo aveva chiamato «principone», divertendolo un mondo. Tomasi di Lampedusa ci dice quel che hanno ripetuto infiniti suoi predecessori: il bordello è l’adulterio legalizzato e sterilizzato. Ma non è la sola definizione possibile. C’è per esempio quella di James Joyce, che, nel cuore del Novecento, archivia un’epoca. Il culmine dell’Ulisse, quando Leopold Bloom incontra Stephen Dedalus, è infatti il capitolo sotto l’egida di Circe, dedicato al bordello. Qui, dove ogni cosa si allucina in qualcos’altro, compaiono dalla cappa del camino cabbalisti e teste recise, parlano i berretti e anche i campanelli mentre i due protagonisti rivelano la figura archetipica del padre e del figlio, le prostitute sarcastiche e sapienti Zoe, Kitty e Florry danno filo da torcere, per così dire, al mondo. Altro che adulterio soft. Il bordello non è più rassicurante, getta in faccia ai lettori la traduzione più ovvia, nel suo linguaggio, del dilemma di Amleto sull’essere o non essere. il luogo dove i figli incontrano i padri e le madri, come Odisseo nell’Ade, e viceversa. Ragion per cui forse aveva ragione Borges a turbarsi per così poco, quel giorno ormai lontano, a Ginevra. Mario Baudino