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 2006  gennaio 19 Giovedì calendario

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 8. Il ristorante a Tor di Quinto Un incubo ricorrente

Il signore delle mosche: prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 8. Il ristorante a Tor di Quinto Un incubo ricorrente. Ritrovarsi con la contessa De Blank nell’ascensore che si blocca tra il terzo e il quarto piano per una improvvisa interruzione di corrente. I reality hanno questo di buono, che tolgono per un pezzo dalla circolazione gente con cui non vorresti mai restare chiuso in ascensore. vero, hanno liberato Edoardo Vianello, uno che nell’attesa torni la corrente sicuro ti parte con «Siamo i watussi, siamo i watussi, gli altissimi negri, ogni tre passi facciamo sei metri, alle giraffe guardiamo negli occhi, agli elefanti parliamo negli orecchi» ma lei, la contessa in pelliccia di visone, è ancora lì quasi inoffensiva, chiusa a chiave nel ristorante romano a Tor di Quinto, che bolle il ragù e fa la sguattera in cucina, insieme a Giucas Casella e a Serena Grandi che somiglia sempre di più all’ultimo Maradona, istigate alla rissa lavandaia da Antonella Clerici, quella che sembra un’iguana a cui hanno lobotomizzato una parte consistente di cervello. Chiudere un bel po’ di valchirie assatanate e qualche scoppiato in un ristorante di Tor di Quinto, il quartiere delle antiche battone romane che resistono accovacciate al freddo e al buio, aspettando che si finiscano un giorno a colpi di mestolo e coltelli da bistecca, sguattere, contesse e battone, è un’idea malvagia ma non abbastanza. Ingaggiare come consulente il cuoco di D’Alema è banale. Vissani era interessante quando era un orco e non era nessuno e ammazzava in giardino le mosche con le mani, le stesse mani analfabete con cui cucinava da Dio. Avrebbero dovuto, gli autori del reality, mettere piuttosto a contratto Issei Sagawa, the japanese cannibal, il celebre cuoco di carne umana, che sarebbe stato forse meno esoso di Vissani, ma di sicuro più estroso e più interessante ai fini dell’auditel. Un altro con cui augurarsi di non passare del tempo insieme in un ascensore guasto. Figlio di un facoltoso industriale giapponese, studente alla Sorbona, Issei Sagawa è l’Andy Warhol della pop art applicata ai cosciotti da human being piuttosto che alle minestre in scatola. Una sera invita a cena l’olandese Renee Hartevelt per conversare di letteratura. la svolta. Invece che amarla, la uccide e ne assaggia il naso all’insù e un tocco di tetta. Il resto lo stipa nel frigidaire, dopo averlo sezionato con la sega elettrica. Dimesso dall’ospedale psichiatrico di Parigi e rimpatriato, oggi Issei è un’icona giapponese, autore, scrittore di best seller, pittore affermato, apparso in decine di film e programmi televisivi, curatore di una rubrica di gourmet su un magazine di cucina. «Considero i culi femminili il mio soggetto preferito in quanto sono la parte più deliziosa da mangiare». Immaginate come si sarebbe esaltato uno così con il fondoschiena della contessa, le tette della Grandi o il doppio mento di Casella, anche se lui, Issei, dicono, ha una passione per Del Noce, che travestirebbe da Cappuccetto Rosso per dargli più glamour. Il suo piatto preferito, da mangiare e da cucinare, resta il tonno crudo, perché gli ricorda l’olandesina di Parigi. Sul dilemma se la vita consista nel mangiare o nell’essere mangiati, a commentare in studio oltre all’iguana, Pamela Prati, la marchesa Marina Lante e Luca Giurato, che da quando frequenta i corsi di teologia s’interroga e non si risponde sull’esistenza di Satana. In alternativa a Issei Sagawa, avremmo visto bene a Tor di Quinto l’ispettore Colombo, Peter Falk, grande esperto di enogastronomia oltre che collezionista di raffinate bevute, da cui quell’aria sempre un po’ strabica e spiegazzata. Uno con cui ci passeremmo la vita in ascensore. Giancarlo Dotto