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 2004  dicembre 23 Giovedì calendario

Il vizio della Repubblica: mezzo secolo di sigarette accese, Corriere della Sera, 23/12/2004 «Non bevi, non fumi, se bevi te ’mbriachi subito

Il vizio della Repubblica: mezzo secolo di sigarette accese, Corriere della Sera, 23/12/2004 «Non bevi, non fumi, se bevi te ’mbriachi subito... Ma che te godi da ’a vita, tu?» (’Il sorpasso”, 1962, di Dino Risi). Godersela e fumarsela: l’arcitaliano Gassman, quello che sgommava in spider e dava la sveglia allo sbarbato Trintignant, è un vitellone fuoriquadro nella foto di famiglia di questo Paese che - Doxa dixit - all’83 per cento sta con Sirchia e boccia il fumo nei locali. Meglio Bacco che Tabacco, a sentire la generazione col casco e la cintura di sicurezza: addio stereotipati belli-bulli che nei nostri cinema, davanti a un pubblico fumante, la sigaretta se l’accendevano al bar, a letto, per strada, in macchina, ovunque servisse all’arte perché, come raccomandava Mario Soldati, l’artista «che non fuma è un mostro». Oggi, perfino Bruno Vespa e Topolino sono stati denunciati dal Codacons per aver fatto pubblicità più o meno occulta alle «paglie». E se negli anni Settanta fumare era ancora in e negli Ottanta era già squallor, per dirla col D’Agostino cantore dell’edonismo d’allora, figurarsi che cos’è diventato nel salutismo dei Novanta o nel neoproibizionismo del Duemila. Sempre al cinema, quarant’anni dopo: «Lo sapevi che la nicotina si usa anche come insetticida? Contro i pidocchi» (’Un caffè e una sigaretta”, 2004, con Roberto Benigni). Fumavamo come turchi, prima che discutessimo se averli in Europa, e per mezzo secolo non ce ne siamo mai vergognati. Nell’Italia Liberata, scrisse un giornale del ’45, la prima legge violata dagli alleati fu il Regio Decreto del 1934 che vietava di offrire sigarette ai minori di 16 anni: sotto il Duomo di Milano, la nuove «bionde» americane volavano dai tank come i piccioni dalle guglie. Una liberazione anche quella, dopo un ventennio a inspirare autarchiche foglie di rosa e di noce o, se fortunati, a 5 centesimi il pacchetto, le Milit della guerra d’Etiopia che i tabagisti dell’epoca storpiavano nell’acronimo: Merda Italiana Lavorata In Tubetti (poi sarebbero arrivate le Ms, Merda di Stato pure quelle). I pacchetti ornati di saladini e danzatrici erano la prima forma di pubblicità per nulla occulta a tabacchi orrendi. Marche sparite: si chiamavano Africa Orientale, Tre Stelle (più care), Eva (per signore), Principe di Piemonte (target monarchico, riconoscibili dallo stemma sabaudo dorato). Col chewing-gum e il Ddt, c’intossicarono subito di Pall Mall e di Lucky Strike e la guerra fu, di nuovo, perduta: chi voleva fa’ l’americano, era meglio non ostentasse troppo le nostrane Macedonia, il vascello delle Nazionali, le Serraglio, le Moresca, men che meno le supereconomiche Popolari Marca Rossa fatte con gli scarti delle Nazionali. Fratelli d’Italia e figli di Carmen. Fumavano a sinistra, perché l’aveva fatto anche Gramsci e la vulgata voleva fosse «l’unico hobby del compagno Stalin». Fumavano i padri democristiani come Fanfani e qualche tiro, narrano, se lo concedeva ogni tanto pure Papa Pacelli. Fumavano a destra perché, se al Duce non era mai piaciuto, era Vittorio Emanuele II ad aver detto che «in Italia una croce di cavaliere e un sigaro non si negano a nessuno». Pipavano i ricchi - quanti cumenda col sigaro ci ha raccontato Flaiano? - e gli aspiranti ricchi: «Il fumo per me è legato alle usanze della malavita», parola di Guido Ceronetti. Le cronache raccontano che prima del colpo «fumavano nervosamente» i banditi di via Osoppo, 1958, e durante il processo anche i mostri del Circeo.  da mezzo secolo un vizio senza classi sociali: sulla ”Domenica del Corriere”, in pieno autunno caldo, Guglielmo Zucconi descriveva il mercato delle cicche di Parco Sempione, pensionati che recuperavano dai mozziconi il tabacco non bruciato e lo rivendevano ai grossisti. La materia prima non mancava, del resto, e il fascino della sigaretta cascante alla Humphrey Bogart, roba che oggi fa solo ridere, non risparmiava né Gigi Rizzi professione playboy né Gigi Riva professione calciatore. Un tic, anche: ricordate l’Albertone Sordi del ”Vedovo”, che si sente esaurito solo perché non riesce più a chiedere una sigaretta? Il vizio non è mai stato troppo assurdo. Una piccola storia italiana della trasgressione: l’iniziazione nei cessi del liceo, l’arte dello scrocco, la ricettazione dai contrabbandieri, le donne in strada a sfidare le dicerie da casino... C’era il pittore Emilio Tadini che cominciò «imitando gli attori», il politico Massimo D’Alema «per battere lo stress», l’attrice Dalila Di Lazzaro «per colpa degli uomini». Fumo negli occhi, durante le chilometriche e notturne maratone sindacali. Fumi di parole dalle storiche pipe di Lama e di Pertini, dai sigarilli di Bossi e Di Pietro, dalle boccate di Craxi e di Berlinguer. Fumo di guerra, nei formidabili anni delle assemblee: fu con una sigaretta in mano che Renato Curcio, a Trento, decise di fondare le Br. Una certa bohème, che fosse politica o culturale, non ha mai smesso d’apprezzare «l’india delizia e il lusinghiero incanto» delle azzurre volute: la prima cosa che la milanese Camilla Cederna notò, dovendo descrivere gli habitués del bar Jamaica, fu che giravano con cappotti puzzolenti di fumoir. Il fumo borghese di Montanelli e delle Turmac che lo calmavano, a 80 anni suonati, nella tipografia della ”Voce”. E poi l’altro fumo, la «Maria Maria» dei cantautori e dei rapper e di Nanni Moretti e di alzi-la-mano-chi-non-s’è-mai-fatto-una-canna. Segnali di fumo, per dire qualcosa. «Non chiedo altro. / Fumare / la mia pipa in silenzio come un vecchio / lupo di mare»: vent’anni fa Bearzot s’impadronì d’una citazione di Saba, vantandosi d’essere stato iniziato all’arte della Savinelli da Pertini, sull’aereo di ritorno dal Mundial, e da allora non smise di tirare di pipa come il nemico Gianni Brera. Oggi Zeman, uno che le sigarette le accende a ripetizione in panchina, vuole dirci che le droghe sportive sono ben altre. In mezzo secolo, del resto, lo sport ha abituato a una certa schizofrenia fumatoria: il centauro Giacomo Agostini, che non fumava, aprì la pista alle sponsorizzazioni, seguito da Clay Regazzoni e Mario Andretti. Negli anni 80, fece scalpore un nuotatore che pubblicizzava «la sigaretta che respira». Ora, è normale che un prodotto cancerogeno s’abbini a Formula Uno, tennis, vela... Smoke gets in your eyes. Chi fuma avvelena anche te, ma dirgli di smettere non è mai stato facile. Ci siamo respirati le sigarette senza fumo e quelle radioattive (da Chernobyl), c’insegnarono a leggere le facce nascoste nel dromedario della Camel e a distinguere i cavallini falsi delle Marlboro. Ci hanno tolto la cicca dalla bocca di Andy Capp e battezzato Muratti perfino un’isola delle Maldive. Sappiamo tutto dei rischi, delle mammografie, siamo certi che se smettiamo viviamo una settimana di più e quella settimana pioverà sempre. Qualcosa abbiamo capito, in mezzo secolo di nicotina: fumare non è più sexy. Eppur si fuma. Come canta Mango: «Per averti pagherei / un milione o anche più, / anche l’ultima Marlboro darei...». Francesco Battistini