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 2006  gennaio 19 Giovedì calendario

Il signore delle mosche: Prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 7. La metro che va a Lambrate O qualunque altra metro, che non sia quella che a Londra da Baker Street arriva a Uxbridge

Il signore delle mosche: Prove inconfutabili dell’esistenza di Satana, 7. La metro che va a Lambrate O qualunque altra metro, che non sia quella che a Londra da Baker Street arriva a Uxbridge. Se una vecchia suora di Santa Brigida arriva all’ora di punta e si cala con la sua veste immacolata nei sotterranei della metro di Milano, Stazione Centrale, strusciando a piccoli passi mistici i suoi sandali lungo i centoventi metri circa del linoleum che tanfa di piscio rancido, mormorando chissà cosa e dribblando stile Pelè africani e cinesi che vendono ombrelli e cagnolini accendisigari, ma anche uomini obesi con le scarpe sudicie di fango e il lutto che gli trafora la mammella, jeans strappati e donne incinte che ci tengono a far sapere di essere state almeno una volta amate. Ci sono suore e suore, suore se Dio vuole mancate per un soffio, vedi Lilli Gruber, le attiviste di Greenpeace, tutte, o le crocerossine, che non sempre hanno un passato da pornodiva come Linda Lovelace, ma se la suora è una Brigidina e si mischia alla folla nella metro che porta a Lambrate all’ora di punta, la prova è inconfutabile non solo che Satana esiste ma sta nei paraggi oltre che nella Limousine di Mike Tyson e nella saliva di Totti. Peggio della metro all’ora di punta, a Roma o a Milano, c’è solo il settantottesimo piano delle Torri Gemelle la mattina dell’11 settembre. Dalla Stazione Centrale a Lambrate, una decina di minuti più o meno, fai in tempo ad archiviare almeno dieci buoni motivi per suicidarti, uno al minuto, uno per ogni faccia. Tutte quelle facce pensose che galleggiano come nella teca di un collezionista maniaco insieme al dito di Galileo, sospese sull’intuibile scheletro montato sotto il cappotto, appese a una maniglia o accasciate al loro posto. Dal momento che il tuo genoma è quello di un moscerino della frutta, che cos’è tutta questa faccia pensosa? Tutto questo simulare che cosa? Questo darsi una biografia, in qualche caso una leggenda? Un recente passato, una delusione d’amore, un capo che ti umilia o, peggio, ti considera? A distoglierli non servono i rumori. Le fantasie suicide altrui e neppure i suonatori di banjo e di fisarmonica che ogni tanto irrompono nel tuo lager a forma di vagone con la loro sgangherata allegria e ti passano sotto il naso il piattino su cui tuffare i dieci eventuali centesimi, che sembra nulla ma anche infilare una mano nella tasca è un’impresa per gli zombi alla Romero che vanno a Lambrate ma anche a Cinecittà in metropolitana. Ci si sente in pericolo in mezzo a tutte queste facce assorte. Terroristi registrati all’anagrafe, martiri con la scuola dell’obbligo, cinture di tritolo allacciate lungo il torace espanso dell’ego prossimo tuo, che leggono, fingono di leggere, i giornali a gratis che ti spiegano perché questo è il momento buono per andare alle Maldive. per questo che ti senti bene se scendi in una metropolitana e nel mucchio che ti alita addosso trovi, al tuo fianco, invece del solito pezzo d’armadio in tuta extralarge l’esile suora di Santa Brigida in tonaca perla, cuffia, sandali e calzettoni di lana che in quel puzzo di miseria, invece della free press, legge San Tommaso d’Aquino o il Vangelo secondo Matteo, mentre il solito forforoso imbecille attorno s’interroga sulla sua eventuale alopecia sotto la cuffia. Una così che odora di ostia sacra e di ciambelle, che si farebbe sbranare dalle tigri e dai leoni, una così non ti scipperà il portafoglio, non ti darà una coltellata, né penserà di te che sei un aborto umano. Una così, soprattutto, non pensa. Tutt’al più è lì in estasi permanente, che prega, che recita il rosario e scongiura maremoti. Giancarlo Dotto