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 2004  dicembre 23 Giovedì calendario

Le disavventure dell’homo eroticus, Vanity Fair, 23/12/2004 Lo aspettiamo in uno studio fotografico a due passi dal Vaticano

Le disavventure dell’homo eroticus, Vanity Fair, 23/12/2004 Lo aspettiamo in uno studio fotografico a due passi dal Vaticano. Arriva puntuale, si piazza al centro della sala, saluta col vocione e subito è più Buzzanca che mai, l’ex homo eroticus del cinema italiano: «Belli, come state? Ma ditemi: vi piacciono ancora le donne o siete dell’altra sponda pure voi». Il 9 e 10 gennaio, del resto, Lando Buzzanca, 67 anni, torna in tv come protagonista di una miniserie di Raiuno intitolata Mio figlio, regia di Luciano Odorisio, in cui recita la parte di un commissario di polizia che scopre d’avere un figlio gay. Ma come? Proprio lei... «Sì. un’idea tutta mia». Si è divertito a smontare se stesso? «No. Ma con l’età si ha voglia di approfondire e fare cose sempre nuove. A me interessava raccontare l’omosessualità vista con gli occhi di un padre. Descrivere il cazzotto allo stomaco che gli arriva quando viene a sapere che il suo unico figlio è gay». Lei ne ha due: uno di loro per caso... «No. Tutto a posto». E se lo fosse stato? «Mi avrebbe fatto malissimo. Ma poi l’avrei accettato». Ha accettato il fatto che uno di loro recita? «Sì. Massimiliano, l’avvocato [l’altro fa il manager, ndr], dopo dieci anni di tribunali, mi ha detto che non ce la faceva più e voleva provarci. L’ho visto recitare, è bravo [...]».  vero che far partire questo progetto televisivo non è stato facile? «Da quando politicamente ho detto da che parte sto, alle cose difficili mi sono abituato». Si è sentito discriminato? «Dico solo che per 10 anni, in Rai, non c’è mai stato un progetto giusto per me. Un po’ troppo, non crede? Comunque non mi pento». Appunto. Il regista disse che con «uno sporco fascista» come lei non avrebbe mai lavorato? «Sì. Poi ci siamo incontrati e chiariti: lui mi ha detto che non condivideva le mie scelte politiche, ma era un mio ammiratore e avrebbe fatto volentieri il film con me. Insomma, alla fine io e Luciano siamo diventati amici». Ma lei si sente «uno sporco fascista»? «Mi lavo tutti i giorni e non sono fascista». Non è fascista? «Ma è tutto cambiato ormai... Io sono un socialista di destra. Un finiano di ferro. Gianfranco assieme a D’Alema è il politico più bravo d’Italia. Quando è diventato ministro degli Esteri volevo mandargli un telegramma con 5 effe: Fini, forza, fedeltà, fortuna e f...». [...] Quando vi siete conosciuti? «Nel ’93, quando si candidò a sindaco di Roma. Allo stadio gli chiesi perché lo facesse, non sarebbe mai stato eletto. E lui: ”Meglio lottare e perdere che stare fermi”. Mi fulminò. E qualche giorno dopo, all’alba, mi fece una telefonata: ”Lando, nel mondo dello spettacolo nessuno mi sostiene. Posso fare il tuo nome?”. ”Te lo ordino”, risposi. Da allora è come un fratello». Voleva farla anche senatore, giusto? «Sì, ma rifiutai. Sono un attore. E poi all’epoca lo stipendio era di 18 milioni lordi al mese. Con il mio lavoro guadagnavo di più».  vero che fate sempre una scenetta? «Sì, o meglio facevamo, perché adesso ci vediamo poco. Ma prima, se volevamo passare una serata divertente con gli amici, ci davano appuntamento al ristorante e quando io entravo, lo guardavo, lo indicavo e urlavo ”Aaah! Mi batte il cuor, mi batte il cuor...”. E lui faceva il regista: ”Rifalla, questa è venuta male. Azione!”. E io, di nuovo: ”Oooh! Il cuor mi batte, il cuor mi batte...”». Le batteva forte anche quando lasciò il cinema dopo essere stato l’attore più pagato d’Italia? «No. All’epoca, primi anni 80, mi arrivavano solo copioni con dottoresse, poliziotte, segretarie, Pierini... Ricordo che in uno di questi io e la Fenech avremmo dovuto fare Adamo ed Eva con la foglia di fico davanti. Ma io avevo 40 anni, volevo fare altro. E così andai all’estero». Dove? «Messico, Brasile, Argentina. A Buenos Aires ancora oggi c’è un fan club a mio nome e anche negli Stati Uniti, nel New Mexico. Feci qualche film, poi tornai e mi misi a fare teatro». Ma gli autori continuavano a non chiamarla. «Niente. I registi che adoravo come Risi, Scola, Montaldo non si accorgevano di me e questa indifferenza mi faceva male. Per loro forse ero troppo caratterizzato, le cose che avevo fatto negli anni 60 e 70 erano davvero molto forti. Nel ’71, caso unico al mondo, sono usciti tre miei film contemporaneamente: Homo eroticus, Il merlo maschio e Il vichingo venuto dal Sud. Guadagnavo 180 milioni a film, Sordi 110».  vero che ha fatto ingelosire anche lo Scià? «Sì, ma in quell’occasione ho avuto paura. Poche settimane prima della rivoluzione, nel ’78, vado a Teheran dove la gente impazziva per me. Pensi che in aeroporto c’era un testone di marmo con la mia faccia. Sul giornale più importante compare una vignetta dove io sono più grande dello Scià e sotto c’era scritto che lui era invidioso di me. E in più c’era Moira Orfei che mi invitò al circo...». E che cosa accadde? «Che il marito mi voleva far entrare nella gabbia dei leoni. Io faccio per andare, la gente mi incita ma poi mi blocco e penso: ”Che me ne fotte a me dei persiani e dei leoni?”. E sono andato via. E dopo un po’, per fortuna, sono rientrato in Italia. Moira e i suoi, invece, con la rivoluzione sono rimasti bloccati lì per mesi». Con la sua faccia c’erano anche i fumetti porno: ”Il montatore” e ”Tromba”. «Sì, con la mia faccia hanno fatto miliardi, ma io non c’entravo nulla. Portai anche in tribunale chi li pubblicava, ma non ci fu verso di fermarli né di prendere una lira». Anche con le femministe non andava bene. «Mi odiavano a morte. Ma non capivano proprio niente: io nei miei film mettevo in scena un maschio vittima di se stesso, una figura tragicomica e non all’altezza dei cambiamenti. E loro mi chiamavano maschilista schifoso!». Se è per questo neppure nella Dc la amavano. «Nel film All’onorevole piacciono le donne, del 1972, c’era un politico ossessionato dal sesso che ricordava il ministro Emilio Colombo. Che ancora oggi ce l’ha con me». Per chi votava allora? «Dc. Poi nel ’72 incontrai Giorgio Almirante. E rimasi folgorato». Come è diventato attore? «Io sono nato attore, ma per farlo ho sofferto. A 17 anni Lucia, la mia fidanzatina di allora, rimase incinta. Io ne avevo 19 e ci sposammo. Ma ero infelice, mi stavo consumando e a un certo punto le dissi di farmi andare a Roma all’Accademia d’arte drammatica, altrimenti sarei morto. Mi disse sì. Per un po’ feci la fame, e spesso non sapevo dove dormire, ma poi andò bene. E moglie e figlio mi raggiunsero». Da quanto tempo è sposato? «Quarantacinque anni. Lucia è la mia vita, per lei mi butterei nel fuoco. E lei per me. A volte dice che morirà prima di me, ma non è vero. Io me ne andrò prima perché non potrei vivere senza di lei. E se dovesse morire prima, mi ammazzo subito dopo. E non scherzo». L’ha mai tradita? «Mai. Però ho ”incontrato” un bel po’». Le sarà capitato di tutto... «Abbastanza». Tipo? «Una ragazza bellissima che stava a Roma in viaggio di nozze. Sarà stato il ’74 e io ero al ”Jackie ’O”, lei in un albergo vicino. Passa, entra e mi cerca. Mi voleva, la bacio. Ho pensato a quel poveraccio del marito... Non me la sono sentita, l’ho convinta ad andar via». Crede in Dio? «No, al vecchio con la barba che guarda tutto da lassù, no. Ma in una forza cosmica, sì. Senza sarebbe tutto assurdo. Le religioni, comunque, sono necessarie per frenare gli istinti peggiori: l’uomo è una bestia». Rimpianti? «Nessuno». E il film che doveva fare con Benigni? «In Pinocchio dovevo fare Mangiafuoco, ma ho rifiutato perché nei titoli di coda non volevo apparire assieme agli altri». E perché? «Perché io ho fatto centinaia di film in tutto il mondo, ho una storia! Gli ho detto: Roberto, ti chiedo solo di mettere il mio nome per ultimo preceduto da una ”E”. Non ha accettato. E nemmeno io. Comunque gli ho affittato lo stesso la mia villa di Amelia, in Umbria, dove hanno girato parte del film». A prezzo di mercato? «Certo. A dir la verità io volevo dargliela gratis, ma mia moglie s’è impuntata e anche Roberto. M’ha detto che pagava la produzione... Però sono rimasti 3 mesi in più e quelli gliel’ho offerti. un collega, di sinistra, ma collega». A proposito di sinistra: è vero che in Toscana e Umbria lei con i suoi spettacoli non passa? «Sì. Per me lì non c’è mai una piazza libera. Sono di destra e quindi niente da fare». E nel Lazio di Storace? «Lì è successo un casino perché l’anno scorso me n’avevano data una e poi me l’hanno tolta. E io mi sono arrabbiato con Storace. E lui con me. Alla fine sono stati quelli di sinistra, il presidente della provincia Gasbarra, a farmi lavorare. Poche storie: quelli di sinistra con lo spettacolo ci sanno fare». E quelli di destra? «Creda a me: purtroppo non ci capiscono niente, zero assoluto». Andrea Scarpa