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 2004  dicembre 15 Mercoledì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 20 DICEMBRE 2004

Tra Fiat e Gm alla fine potrebbe pagare Pantalone.
Tra Fiat e Gm è finita. Salvatore Tropea: «L’alleanza stretta nel marzo del 2000 al Four Seasons di Milano è stata archiviata e non certo tra le mosse strategiche di successo del Lingotto e del numero uno dell’auto mondiale. Con una regia dai contorni rocamboleschi e forse neppure all’altezza degli eventi importanti, il sipario è stato abbassato in un albergo sul lago di Costanza». [1] Paolo Madron (’Panorama”): «Siamo all’epilogo e si fatica a trovare aggettivi che lo definiscano. Triste? No, perché non può essere tale una scelta che interrompe un lungo travaglio. Lieto? Tutt’altro, perché questo finale di partita contempla l’ipotesi di una dolorosa rinuncia. Semmai liberatorio, questo sì, visto che la decisione della Fiat di chiamare la General Motors al rispetto degli accordi siglati smuove un rapporto irrigiditosi fino a diventare una battaglia di principio». [2]

L’accordo Fiat-Gm fu firmato a Milano il 14 marzo 2000. In calce, le firme dell’allora presidente Paolo Fresco e dell’amministratore delegato Paolo Cantarella. Per la Gm quelle del presidente Jack Smith, che di lì a poco lasciò la società, e dell’attuale Ceo Richard Wagoner. L’intesa, che venne definita «storica», puntava allo sviluppo di piattaforme industriali comuni e al coordinamento degli acquisti con l’obiettivo di creare economie significative. [3] Alla Fiat andò il 5% di Gm (poi venduto), agli americani il 20% di Fiat auto (poi ridotto al 10%). La clausola put prevedeva che Fiat potesse cedere l’auto al gruppo di Detroit, opzione esercitabile dal prossimo 24 gennaio al 2010. Adesso General Motors dice che non è più valida perché Fiat ha cambiato le condizioni ricapitalizzando e vendendo parti importanti come la finanziaria Fidis. [4] A parziale compensazione offre un indennizzo di 200 milioni di dollari (ma potrebbe arrivare a 500). Torino dice che l’accordo è ancora valido e chiede 3 miliardi (ma potrebbe scendere a 1). [5]

Giovedì è partita la ”mediation”. L’atto formale è la lettera che la casa di Detroit ha inviato al Lingotto (dopo aver informato la Sec, la Consob americana) [6] Claudia Guasco (’Il Messaggero”): «La mediation è l’intervento numero uno - come sancito dall’intesa firmata nel marzo 2000 - in caso di controversie sui temi dell’accordo, una sorta di ultima spiaggia per ricomporre i dissidi e trovare una soluzione senza ricorrere al tribunale. Le modalità prevedono un incontro in campo neutro tra Marchionne e Wagoner entro 20 giorni lavorativi dalla notifica della mediation. Dopo di che ci sono dieci giorni (lavorativi) di tempo dall’incontro per risolvere ”in buona fede” la questione: se Fiat e Gm non riusciranno a trovare un’intesa, allora ”ciascuna parte può chiedere il ricorso alle vie legali”. E visto come si è risolto il summit di Friedrichshafen, il passaggio del dossier alla United States Court del Southern district di New York, la quale ha ”esclusiva giurisdizione sul caso”, viene considerato assai probabile». [7]

Quattro anni da dimenticare. Giancarlo Galli (’Avvenire”): «Un lustro fa, la Fiat pareva sana, pur operando in un settore industriale maturo; la Gm decisa a espandersi in Europa, potenziando con un matrimonio di alto lignaggio la presenza della sua Opel. Gianni Agnelli non se la sentì di concludere. Voleva mantenere una Fiat italiana, e si limitò a un fidanzamento, facendo entrare gli americani dalla porta di servizio: il 20% della Fiat-auto. Per fare accettare il modesto boccone a Gm, propose che a partire dal 2005 avrebbe potuto in qualunque momento cedere a Gm e non ad altri, il tutto». [8]

 probabile che fin dall’inizio non ci fossero le condizioni per un ”matrimonio felice”, ma a complicare il tutto è arrivata la crisi Fiat. Tropea: «Se c’è una data dalla quale muovere è il 10 dicembre 2001. Quel giorno il Cda Fiat presenta un piano di ristrutturazione per la società dell’auto che è quella che accusa i guai maggiori. La proposta si forma sulla creazione di 4 business unities alle quali affidare la cura della ”grande ammalata”. Giancarlo Boschetti viene invitato a lasciare la poltrona di a.d. dell’Iveco per passare alla guida della società dell’auto al posto di Testore. Per la prima volta si scopre che i conti dell’azienda sono in rosso come non lo sono mai stati. Il presidente Fresco nel febbraio 2002 annuncia che nel bilancio 2001 ci sono perdite per 791 milioni di euro». [9]

Il caso di Torino diventa una questione nazionale. Tropea: «In aprile il Lingotto raggiunge un accordo con le banche per la ricapitalizzazione e due mesi dopo, esattamente il 10 giugno cade un’altra testa eccellente». Paolo Cantarella, l’uomo che aveva sostituito Romiti, si dimette da a.d. e lascia il posto a Gabriele Galateri di Genola. Il 27 di quello stesso mese la Fiat inizia le dismissioni cedendo a Mediobanca il 34 per cento della Ferrari. [9]

 solo l’inizio e la strada è in salita. Tropea: «In ottobre la Fiat presenta ai sindacati un piano nel quale si colgono i primi veri sacrifici: esso prevede la riduzione del 20 per cento della capacità produttiva e 8.100 esuberi. In dicembre, quando ormai è passato un anno dall’inizio della crisi, il Lingotto chiede la cassa integrazione per altri 5.600 lavoratori. Una settimana dopo anche Galateri lascia il comando e al suo posto viene chiamato Alessandro Barberis. Soluzione provvisoria in attesa che Fresco si dimetta da presidente. Il 9 gennaio 2003 la Fiat, in un incontro con le banche creditrici, fa sapere che il suo indebitamento è sceso sotto i tre miliardi. Ma la novità non inverte la rotta negativa. Il 24 gennaio muore Giovanni Agnelli e, benché annunciato, questo fatto getta un’ombra di cupo scoramento sul gruppo. Quattro giorni dopo, la presidenza della Fiat passa da Fresco a Umberto Agnelli che arruola Giuseppe Morchio come a.d.». [9]

Viene varato un aumento di capitale di 5 miliardi di euro di cui 3 infragruppo. Tropea: «Umberto e Morchio presentano un altro piano di tagli e nuovi modelli. Si accelerano le dismissioni: il 51 per cento di Fidis, la Toro e poi Fiat Avio. Morchio conferma gli obiettivi del pareggio operativo per il 2004 e del ritorno all’utile nel 2005. Tutto sembra andare verso una soluzione. In ottobre arriva Herbert Demel. L’azienda concorda con GM lo slittamento di un anno della data in cui Fiat può esercitare la put option». Ma il 27 maggio muore Umberto Agnelli e dopo due giorni al suo posto arriva Montezemolo». Morchio esce di scena, tocca a Sergio Marchionne pilotare il Lingotto. [9]

Adesso tra Fiat e GM è una questione di soldi. Il prezzo del divorzio. Angelo Curiosi (’Panorama”): «A fomentare gli animi dei due ex alleati, i cattivi consiglieri delle due fazioni legali. Quella americana, apparentemente sicura che l’aumento di capitale varato dalla Fiat Auto nel 2003 e la cessione della Fidis abbiano invalidato il contratto. E quella italiana, sicura del contrario. In effetti, la ricapitalizzazione non fu una libera scelta ma un obbligo civilistico (il capitale dell’azienda andava ricostituito per legge, dopo le perdite accumulate) e la finanziaria Fidis è stata sì venduta a un pool di banche italiane, ma salvando il diritto di riacquisto in capo alla Fiat Auto». [10]

Fossero certi della vittoria, gli americani andrebbero diritti in causa. E gli avvocati di Freshfields, Bruckhaus e Deringer se la vedrebbero con i colleghi di Sullivan & Cromwell (che curano gli interessi Fiat). Contando per di più sul ”fattore campo”. [11] Curiosi: «Ma in causa non vogliono andare e offrono soldi per evitarlo, consapevoli del fatto che una volta avviata, la macchina della giustizia americana non si ferma più e potrebbe anche portarli all’obbligo di comprare la casa italiana». [10] Bruno Perini (’il manifesto”): « uno scontro all’ultimo codicillo che potrebbe cambiare la storia economica del nostro paese, perché se prevalessero le ragioni di Fiat, come prevede il put, e il 90% venisse ceduto agli americani, alla famiglia Agnelli non rimarrebbe che cavalcare camion e trattori, visto che anche Edison rischia prima o poi di finire nelle mani dell’Edf». [12]

Qualcuno, dentro GM, un pensierino ad acquistare Fiat auto ce l’ha fatto. Madron: «A sentire i manager industriali, il gioco vale la candela: la Fiat porta in dote quei 2 milioni di automobili l’anno che le consentirebbero di scrollarsi di dosso la Toyota, oggi a un passo dal soffiarle il primato mondiale tra i costruttori. A dar retta ai finanziari, prendersi Torino vuol dire invece aggravare una situazione debitoria già compromessa, e tirarsi addosso l’inevitabile reprimenda delle agenzie di rating. In sedicesimo, sembra il dibattito sui parametri di Maastricht: meglio sforarli se ciò serve a dare nuovo impulso all’economia, o rispettare le regole e compiacersi di conti formalmente ineccepibili?». [2] Guasco: «Le vere difficoltà consisterebbero nel determinare il valore di Fiat Auto: la società ha 5 miliardi di debito netto, ha registrato perdite operative per sei anni su sette, non genera cash flow dal ’97 e chiuderà il 2004 con perdite stimate per 1,5 miliardi». [13] Loris Campetti (’il manifesto”): «Per intenderci, la Fiat Auto ha debiti per 8 miliardi di euro. Secondo Wagoner, però, le attività delle quattro ruote del Lingotto non varrebbero più di 2 miliardi di euro. Un modo semplice per dire che il 90% di Fiat auto non meriterebbe da parte di Gm l’esborso di un solo euro». [14]

Anche volesse, Gm non potrebbe comprare Fiat. Danny Hakim (’New York Times”): «Negli Usa, la casa di Detroit è indebolita dai costi crescenti delle cure sanitarie e continua a perdere quote di mercato a dispetto dei forti investimenti in sconti e altre forme di incentivo all’acquisto. In Europa, le perdite sono salite a quasi 400 milioni di dollari nei primi 9 mesi del 2004, contro i 220 milioni di dollari dello stesso periodo del 2003. Gm, il cui marchio europeo più importante è la tedesca Opel, sta pensando di ridurre la forza lavoro di circa 12.000 unità, dalle 63.000 attuali». [15] Campetti: «Il fatto che il fidanzamento della Fiat con General motors si stia sciogliendo, non spingerà certo i sindacati a strapparsi i capelli: un acquisto da parte degli americani dell’automobile italiana avrebbe come conseguenza un massacro sociale (checché ne dica Marchionne): licenziamenti di massa e chiusura di tutti gli stabilimenti italiani, tranne forse Melfi e Pomigliano d’Arco». [14]

La Fiat non realizza profitti dal 2001. In buona parte a causa delle difficoltà del settore auto. [15] Un indennizzo da 3 miliardi di dollari la rilancerebbe? Curiosi: «La risposta è una sola: no. L’auto brucia cassa e assorbe investimenti: quasi 4 miliardi di euro tra perdite e nuovi lanci di qui alla fine del 2005. La Fiat holding non ce la può fare perché Iveco e Cnh fanno utili ma non al punto da compensare simili voragini. E poi c’è l’incognita delle otto banche del ”prestito convertendo” che [...] non hanno certamente voglia di sovvenzionare questa missione impossibile. Saranno forse costrette a farlo, ma allora cercheranno di minimizzare i danni. E come? Solo con l’aiuto di qualche soggetto economico forte quanto unicamente uno stato (meglio se due) può esserlo». [10]

Privatizzare i profitti, nazionalizzare le perdite. Con un argomento fortissimo: il peso sociale di almeno 50 mila posti di lavoro tagliati tra Germania e Italia. Curiosi: «Divisi su tutto, i capi della Fiat e della General Motors si sono trovati d’accordo su un solo punto: da sole le loro aziende non riusciranno mai a uscire dalla crisi. C’è bisogno di un ”gigante buono”, meglio se due, che metta mano al welfare e diluisca nel tempo e nello spazio due crudeli ristrutturazioni industriali, quelle ineluttabili della Fiat Auto in Italia e della Opel in Germania». Un anonimo consigliere Fiat: «O si manda tutto all’aria e si bruciano decine di migliaia di posti. Oppure paga Pantalone». [10]

I politici italiani hanno fiutato la trappola. Curiosi: «Ma anche l’opportunità che si nasconde in essa: creare attorno al caso Fiat una sorta di nuova Iri che restituisca un ruolo sociale meritevole al Palazzo e che, se trasversale tra Italia e Germania, sarebbe automaticamente al riparo dagli strali di Bruxelles». [10] Gianni Rinaldini, della Fiom: «Non penso all’assetto della Renault, dove lo Stato francese è l’azionista di riferimento. Piuttosto alla Volkswagen, nel libro soci della quale ci sono i Länder». [16]

Alternativa: trovare un cavaliere bianco. Maurizio Maggi (’L’espresso”): «L’identikit del salvatore ideale, in Europa, è la Peugeot, che però ha smentito più volte ogni voce in proposito. Il gruppo controllato dalla famiglia Peugeot [...] è rinato non con le acquisizioni o le fusioni, ma per merito di una strategia di alleanze tecniche e produttive». Gianclaudio Chiais, responsabile londinese del Credit Lyonnais Securities Asia: «Toyota e Honda generano rispettivamente 12 e 4 miliardi di dollari di flussi di cassa. La Fiat è piena di debiti e capitalizza 5 miliardi di euro: se i due gruppi giapponesi volessero, potrebbero comprarsela senza problemi. Ma loro preferiscono crescere organicamente, coi loro marchi». [9]

In Cina ci sono tre giocatori ancora relativamente piccoli. Comprando la Fiat diventerebbero grandi in un colpo solo. Sono la Saic (Shanghai Automotive), la Dongfeng e la First Auto Works. Chiais: «Forse i tempi non sono ancora maturi, ma dopo l’acquisizione dei pc Ibm da parte dei cinesi della Lenovo, è chiaro che Pechino ha cominciato sul serio la campagna acquisti oltre confine». [9]