Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  gennaio 15 Domenica calendario

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/8. Tutti i misteri aperti dell’"affaire Calvi". Il Sole 24 Ore 15/01/2006

I gialli finanziari del Ventesimo secolo/8. Tutti i misteri aperti dell’"affaire Calvi". Il Sole 24 Ore 15/01/2006. Un omicidio eccellente, la grande banca che implode in una voragine di debiti, il Vaticano che gioca al più spregiudicato Monopoli: nel giallo Calvi c’è di tutto e di più, tra protagonisti e comparse. Tutti finiscono per ruotare attorno a una banca e al suo banchiere che ha l’ambizione di controllarla. Pronto, per questo obiettivo, a scendere nei più tenebrosi gironi, spirali perverse che lo portano a contatto con una genia di personaggi, chi in clergyman, chi in doppiopetto, chi in coppola, tutti strani, imprevedibili, tutti assetati di denaro e di potere che da alleati possono trasformarsi in carnefici nel terribile gioco dei ricatti incrociati. l’avventura tragica di Roberto Calvi e del suo Banco Ambrosiano, chiusa per il banchiere a Londra con una corda al collo, appeso a un’impalcatura sotto l’arcata del Blackfriars Bridge, il corpo semisommerso nelle acque limacciose del Tamigi. Per la banca con un fragoroso crack da almeno 2mila miliardi di vecchie lire. All’inizio Londra sposò la tesi del suicidio di un uomo disperato. Poi anche Scotland Yard riaprì il caso concludendo che quello di Calvi era un omicidio premeditato in ogni dettaglio, dall’esecuzione fino alla macabra messinscena finale. Ma chi fu a ucciderlo? A quasi 24 anni da quel cupo 18 giugno 1982 non vi è ancora una sentenza definitiva. Sul banco degli accusati, nel processo appena iniziato, quattro nomi di varia estrazione, tutti legati al riciclaggio del denaro sporco: l’ex cassiere della mafia, Pippo Calò un affarista immobiliare, Flavio Carboni; il boss della Magliana, Ernesto Diotallevi; Silvano Vittor, l’ex-contrabbandiere che aiutò Calvi a espatriare; e Manuela Kleinszig, amica di Carboni. Ma questi sarebbero solo il primo livello dei "manovali". I magistrati romani hanno aperto un fascicolo di secondo livello, cercando di mettere a fuoco anche i possibili mandanti. E il primo nome che vi compare è quello di Licio Gelli, oggi ormai ottantaseienne, l’ex maestro venerabile della Loggia P2, figura onnipresente nei misteri d’Italia. Un giallo quello di Calvi che viene spesso preso a paragone per gli scandali bancari che infiammano l’Italia oggi giorno: come Calvi, Fiorani è diventato il padrone autoreferente della sua banca, la Popolare italiana; ci sono prove di lauti finanziamenti ai politici; anche a Lodi starebbe per entrare in scena di nuovo lo Ior, la banca vaticana, che secondo le ammissioni di Fiorani - ancora "omissate" - avrebbe ricevuto soldi per almeno una settantina di milioni dalla Bpi; c’è la scalata (fallita) al Corriere della Sera; ci sono gli immobiliaristi rampanti di sempre; c’è l’ombra sinistra della banda della Magliana. L’Ambrosiano era la banca dei preti, fondata nel 1896 da monsignor Tovini. Normale quindi che Calvi fosse in stretto contatto con lo Ior, la banca vaticana. Meno normale lo sviluppo che quei contatti ebbero negli anni 70. Calvi prestava soldi allo Ior. A sua volta lo Ior, con questi capitali, acquistava azioni del Banco Ambrosiano o li dirottava nell’arcipelago di finanziarie con sede a Panama, sotto la direzione dell’United trading company. A chiudere il cerchio era sempre l’Ambrosiano che forniva allo Ior i mezzi finanziari per restituirli. Triangolazioni per centinaia di milioni di dollari, al riparo di ogni controllo, vidimate da un nome, quello della banca pontificia, che era una garanzia "divina", un gioco perverso che nel giro di un decennio porterà al collasso il vecchio banco. Crocevia di questo traffico era la Cisalpine Overseas Bank. Costituita il 23 marzo 1971, nel luglio 1980 diventerà il Banco Ambrosiano Overseas. A Nassau, alle Bahamas, paradiso fiscale per eccellenza, Calvi cominciò la sua discesa all’inferno. Di quella stagione rampante resta la sua ex-villa a Point House. L’Overseas fu un’iniziativa concertata tra Calvi, appena nominato direttore generale del Banco; Paul Marcinkus, il prelato americano dello Ior, e Michele Sindona, il finanziere cui il Vaticano sotto Papa Montini aveva affidato la gestione di molti affari temporali. Calvi aveva intuito che più società off-shore venivano create, tanto più diventava arduo per le autorità di controllo inseguire la valanga di operazioni back to back su depositi. A dirigere l’Overseas fu per anni uno svizzero, Pierre Siegenthaler, legato all’Opus Dei. C’era la Chiesa di Roma sullo sfondo, ma gli affari di Calvi a Nassau cominciarono presto ad attirare i fari degli ispettori di Banca d’Italia e dei revisori della Cooper & Lybrand, incuriositi dal pareggio contabile tra crediti e debiti. A inquietare ancor più Calvi venne anche il crollo di Sindona. Il banchiere, che ne prendeva l’eredità, capì che era tempo di decongestionare il traffico di capitali su Nassau. Nel ’76 apre una filiale del banco a Managua. Tre anni dopo è la volta del Banco ambrosiano andino di Lima, un nome e un’operazione che saranno letali, per la voragine di debiti che inghiottirà. Nell’80 viene aperto a Buenos Aires l’Ambrosiano de Merica do Sul. Un meccanismo infernale. Per oliarlo è inevitabile per Calvi cercare nuove alleanze politiche. Crede di trovarle aderendo alla massoneria, che ha le sembianze del doppiopetto grigio di Umberto Ortolani, l’uomo d’affari legato al Vaticano, morto nel 2001, banchiere per qualche tempo in Uruguay, con il il pallino dell’editoria - fu proprietario dell’Agenzia Italia prima di venderla all’Eni e per un certo periodo della Stefani, poi divenuta Ansa. Il legame con la P2 di Ortolani e Gelli, avviato nel 1974, fu un altro passo fatale che avrebbe condotto Calvi in un nuovo girone di ricatti e pressioni, soprattutto l’avrebbe portato dentro quel tritasoldi che fu l’operazione Rizzoli. Il Corriere era il sogno di tre generazioni per i Rizzoli. Sborsando oltre 65 miliardi l’avevano acquistato nel ’74 rilevando le quote di Giulia Maria Crespi, di Moratti e quindi degli Agnelli. Contavano sull’appoggio finanziario della Montedison che venne però subito meno con l’uscita di Eugenio Cefis. Angelo Rizzoli, il figlio di Andrea, e il nuovo direttore generale, Bruno Tassan Din, il manager in cardigan, non trovarono di meglio che affidarsi a Ortolani e Gelli, che in cambio dell’affiliazione alla P2, li presentò a Calvi, il banchiere che non poteva dir di no. Nessuno s’immaginava che dietro la P2 e il Banco si muoveva niente meno che il Vaticano che, per un certo periodo, diventò l’azionista di riferimento tramite la commissionaria Giammei. Aumenti di capitale a raffica, acquisizioni di giornali, assicurazioni: a due passi da Brera era cresciuta una sorta di piovra. Nell’azionariato comparve a un certo punto l’Istituzione, con la Fincoriz di Bruno Tassan Din. C’era ancora un 40% intestato ad Angelo Rizzoli, ma di fatto era il pacchetto dell’Ambrosiano detenuto tramite la Centrale. Se per Ortolani, Tassan Din e Gelli ogni ricapitalizzazione del Corriere era l’occasione di ricche "creste" personali, per Calvi fu l’inizio della fine: assediato da Banca d’Italia che gli impose di dismettere il quotidiano; messo sulla graticola dagli stessi consiglieri del Banco che gli chiedevano il perché dei 250 miliardi impegnati nella Rizzoli. Lui in consiglio si difendeva: "Signori, c’è il Vaticano". Ed è un Vaticano in cui nel ’78 si succedono nel giro di due mesi ben tre papi, da Paolo VI a Papa Wojtyla separati dal breve pontificato di Papa Luciani, morto tra mille sospetti nella notte tra il 28 e il 29 settembre, dopo appena 33 giorni dall’elezione. Papa Giovanni Paolo I veniva da Venezia. Aveva un conto da regolare con Marcinkus che aveva venduto all’Ambrosiano, senza preavvertirlo, metà della Banca cattolica del veneto, il braccio secolare della Curia veneziana. Papa Luciani avrebbe volentieri rimosso l’ingombrante prelato come primo passo per riformare lo Ior. Ma non fece in tempo. Il 6 ottobre 1978 gli successe Karol Wojtyla, che pur legato all’Opus Dei che ne osteggiava lo strapotere, si servì di Marcinkus per alimentare ingenti flussi di denaro, prelevati perlopiù dall’Ambrosiano, per finanziare segretamente il sindacato polacco Solidarnosc. Il clima attorno a Calvi era sempre più torbido. Giulio Padalino, l’ispettore di Banca d’Italia, al termine di un’indagine avviata nel marzo 1978 aveva scoperto il trucco del banco che si autocontrollava. Un incubo per Calvi, che vedeva nemici ovunque. A tranquillizzare il banchiere non bastavano i buoni rapporti con il Psi di Craxi. Un partito finanziato a pieni mani da Calvi tramite flussi miliardari di denaro provenienti dall’Eni, ai cui vertici si era infiltrata la P2. E l’ombra della Loggia si allungò sullo scandalo Eni-Petromin, il contratto di fornitura di greggio nelle cui pieghe si nascondeva una maxi-tangente del 7% che venne pagata presso una finanziaria del Banco, la Sophilau. E sono soldi dell’Ambrosiano quelli che perverranno sul conto intestato a Claudio Martelli, delfino di Craxi, presso l’Ubs di Lugano. il famoso Conto protezione. Siamo agli ultimi mille giorni di Calvi. padrone del Banco, di un banco però spolpato da P2 e Vaticano. Alla disperata ricerca di denaro per coprire i buchi, il banchiere finirà sempre più nelle maglie di mafia e malavita, avvitandosi in rischiose operazione di riciclaggio di denaro sporco. Cerca nuovi sodalizi, li trova in Francesco Pazienza, un confidente dei servizi segreti, e in Flavio Carboni, costruttore con affari in Sardegna, a caccia di finanziamenti per la sua Sofint dopo che è venuta meno l’intesa con il gruppo Berlusconi. Carboni attribuisce molti dei suoi guai agli usurai della banda della Magliana. Affari loschi si intrecciano attorno al Banco. E un brutto affare è anche quello denunciato fin dal 1980 dalla rivista inglese The Middle East, secondo cui il Banco Ambrosiano Middle East di Beirut è al centro di un traffico di armi organizzato dalla Dreikot financial company di Hans Kunz, rappresentante di Calvi in Svizzera. Arriva il maggio 1981, un mese per gialli mozzafiato. Non è passata una settimana dall’attentato al Papa, che il giorno 20 vengono rese note le liste degli affiliati della P2. Non basta. Nello stesse ore Calvi è arrestato per esportazione illecita di valuta, collegata alla vendita di azioni Toro alla lussemburghese Manic a 35mila lire l’una, contro 13mila del mercato. Ma di chi è la Manic? Calvi, nel carcere di Lodi, per la prima volta prende coraggio: "Non sono io che controllo il banco". Una dichiarazione che di fatto segna la rottura con la P2 e lo Ior. Calvi viene condannato a 4 anni ma esce dal carcere il 20 luglio dopo aver tentato qualche giorno prima di suicidarsi. Rimesso piede nel Banco, avvia una dura trattativa con lo Ior per ottenere le lettres de patronage sui debiti delle società panamensi. Il 1° settembre Marcinkus emette le garanzie, ma in cambio pretende una lettera di manleva e la soluzione dell’indebitamento entro il 30 giugno 1982. Sembra una boccata di ossigeno, è in effetti un cappio al collo di Calvi in lotta contro il tempo. Cerca per il Banco un alleato solido. Lo trova in Carlo De Benedetti, che acquista per 32 miliardi il 2% dell’Ambrosiano e fiuta il Corriere. Ma De Benedetti prima di tutto vuole chiarezza sui conti. scontro: l’Ingegnere dopo appena due mesi esce dal Banco guadagnando una buona plusvalenza che lo porterà poi sul banco degli imputati per la bancarotta dell’Ambrosiano. L’istituto è ormai marcato a uomo da Bankitalia. Con la presidenza di Guido Rossi si è svegliata anche la Consob che obbliga il Banco a quotarsi. L’esordio è preceduto di otto giorni dall’agguato a Roberto Rosone del 27 aprile. Il direttore del Banco resta ferito. L’attentatore, Danilo Abbruciati, esponente della banda della Magliana, resta ucciso nello scontro a fuoco. La mattina del 5 maggio tutti in Borsa ad attendere l’esordio del Banco. Ammesso a 50 mila perde subito il 20% a 40mila. anche l’ultima apparizione in pubblico di Calvi. Renato Cantoni, il più noto commentatore di Piazza Affari delle grida, appoggiato al recinto di una corbeille, osserva: "Ha una brutta cera". A fine maggio la Banca d’Italia mette il Banco con le spalle al muro: l’esposizione sull’estero è vertiginosa, senza argini, ben 1.300 milioni di dollari. Calvi pensa di potercela ancora fare giocando la carta Vaticano. Ma Marcinkus non si fa trovare. Scrive allora al Papa, "Lei è l’ultima speranza", ricordando quanto l’Ambrosiano abbia fatto per Solidarnosc. Ma non ha risposta. Bussa invano all’Opus Dei. Al Banco è tempesta. Il 10 giugno Calvi scompare. Con lui ci sono Carboni, Silvano Vittor, che lo ha fatto espatriare via mare da Trieste. A Klagenfurt si uniscono anche le sorelle Kleinszing, Manuela e Stephan. Quindi Londra, al Chelsea Cloister, in Sloane Road, appartamento 881, prenotato per lui da quel Kunz del traffico di armi. Un albergo di modesta categoria tanto che Calvi chiede a Carboni di trovargli una sistemazione migliore. L’ultima volta che lo vedono vivo è nella hall dell’albergo. Sono le nove di sera del 17 giugno. solo, in attesa degli altri "compagni", pronto a cambiare residenza. Da Milano ha saputo di essere stato estromesso dalla guida dell’Ambrosiano ormai a un passo dal commissariamento. Gli arriva anche la notizia del suicidio della sua segretaria Graziella Corrocher. Alle 23 viene notata un’auto lussuosa nera che si ferma dietro l’hotel. Sembra che vi siano tre individui, scendono per far salire un uomo. Forse è Calvi. Forse nell’auto c’è quel Vincenzo Casillo indicato da alcuni pentiti di mafia come uno dei materiali esecutori dell’omicidio, morto in un agguato il 29 gennaio 1983. Calvi, lo rivedranno solo la mattina dopo alle 7.30, impiccato sotto l’arcata del ponte. In tasca ha un passaporto falso intestato a Gian Roberto Calvini. Glielo avrebbe procurato Diotallevi. L’orologio che porta al polso, un Pathek Philippe, è fermo sulle 1 e 52. A giorni Calvi doveva presentarsi al processo di appello, dove aveva intenzione di svelare l’altra faccia dell’Ambrosiano. Glielo hanno impedito. Il 6 agosto il ministro del Tesoro, Nino Andreatta, avviava la liquidazione dell’Ambrosiano. Cominciava anche il processo per la bancarotta. Il Vaticano uscirà indenne perché non è perseguibile per la legge italiana. Verserà 300 milioni di dollari come atto di buona volontà. Marcinkus, oggi 83enne, da anni è tornato in America. Ma dietro il torrione di Niccolò V, lo Ior, malgrado qualche riforma, continua a gestire flussi miliardari al riparo da ogni controllo. Non è un caso che abbia ancora a che fare con le trame di Fiorani e che ai suoi vertici oggi vi siano cardinali come Virgil Dechant, a lungo gestore in America di 47 miliardi di dollari del Vicarius Christi Fund, e Adam Joseph Maida, che cura la diocesi di Cayman. La Chiesa ha abolito il limbo, non i paradisi fiscali. Aldo Bernacchi Mara Monti