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 2006  gennaio 19 Giovedì calendario

MANIERO Felice

MANIERO Felice Campolongo Maggiore (Venezia) 2 settembre 1954. Ex mafioso. Per anni a capo della cosiddetta “Mala del Brenta”. Condannato a venticinque anni per sette omicidi (lui se ne attribuisce però 5), associazione a delinquere di stampo mafioso, rapine, traffico di droga e sequestri, ridotta a diciassette, dal 2010 in libertà con una nuova identità. La figlia Elena morì suicida a 29 anni (a Pescara il 23 febbraio 2006). «[...] Le azioni di Felice Maniero [...] cominciano nei primi anni Settanta. Sono i furti d’esordio, i piccoli taglieggiamenti, la furfanteria miserella per la pizza e la birra. Ma sempre più su, seguendo uno schema hollywoodiano, con le discoteche mandate a fuoco, le pistolettate, le mani sul gioco d’azzardo e sulla droga. I quattrini ostentati di notte con le puttane migliori e le bottiglie dal botto costoso. Fino al villone con la piscina [...] aveva cervello e pelo sullo stomaco. La mattina del 16 luglio 1982, cinque persone armate e mascherate fecero irruzione all’Hotel Des Bains del Lido di Venezia. Nella hall rivolsero le armi contro i dipendenti, li legarono, poi con arnesi da scasso forzarono le cassette di sicurezza. I turisti che per sventura entrarono nella hall, si trovarono le pistole puntate in faccia e vuotarono i portafogli. I cinque fuggirono con un’auto e poi con un mostoscafo portandosi via un bottino di due miliardi di lire. La sera dell’1 dicembre 1983 sei persone armate e mascherate fecero irruzione in un magazzino dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia e immobilizzarono una decina di persone fra impiegati, operai e agenti della Guardia di Finanza. Caricarono su due automobili e un furgone venticinque casse contenenti 170 chili d’oro pronti a essere imbarcati su un volo Lufthansa. Valore: oltre tre miliardi. La notte del 30 aprile 1984 cinque persone armate e mascherate fecero irruzione nel palazzo del Casinò di Venezia raggiungendo le casse e obbligando i dipendenti a vuotarle. I cinque se la batterono su un taxi d’acqua con oltre due miliardi e mezzo di lire. Fu così che Maniero e i suoi svoltarono. Ma non si trattava soltanto di capolavori incruenti buoni per le scenneggiature dei cartoni animati. O soltanto di soprannomi da noir marsigliese di serie B: “Faccia d’angelo”, così chiamavano Maniero. C’era un territorio da controllare. Rivali. Traditori. Le vittime della mafia del Brenta furono decine. Sette attribuite direttamente a Maniero. Che, certo, ha un celebre e spiccato senso della famiglia. Aveva la sua bimba adorata. Aveva l’inflessibilità del capo con chi sgarrava, ma le vedove e gli orfani venivano mantenuti coi soldi dell’organizzazione. Sono cose saltate fuori nei processi [...] faceva dentro e fuori, fra arresti rocamboleschi e fughe spettacolari nelle quali si giocava la scena con Renato Vallanzasca. Lo ribeccavano sullo yacht a Capri, per esempio, non certo nascosto in qualche appartamentino di periferia. Così, quando Maniero decise di chiudere coi vecchi compagni, di collaborare con la magistratura e di fare i nomi, si guadagnò la promessa di vendetta di molti e molti. E perse Elena. Lei, la ragazzina, arrivò col sillogismo: hai scelto di fare il criminale? Da criminale te la sei spassata? Da criminale paga il prezzo. “Gli voglio bene, ma non andrò più a trovarlo”, disse. [...]» (Mattia Feltri, “La Stampa” 24/2/2006) • «[...] “Faccia d’angelo” che si pentì alla fine del ’94. Il suo pentimento chiuse quasi vent’anni di storia criminale che aveva il suo teatro nel Nordest ma che spesso si era incrociata con nomi di mafiosi che nulla c’entravano col Brenta. Soprattutto gli anni Ottanta furono quelli delle alleanze mafiose. Con il clan Fidanzati, per gestire i traffici di armi dalla Jugoslavia, con le cosche campane per piazzare refurtiva e stupefacenti, con i boss locali dell’Emilia, per gestire bische clandestine. Erano i tempi delle amicizie con i capimafia siciliani in soggiorno obbligato in Veneto, Totuccio Contorno e Angelo Epaminonda. “Faccia d’angelo” diventò un pentito e il suo impero criminale crollò. Ma per istruire il processo ci sono voluti 11 anni, e nel frattempo alcuni dei 149 imputati chiamati in causa da Maniero hanno avuto il tempo di “lavorare” alla ricostituzione della nuova Mala. [...]» (Giusi Fasano, “Corriere della Sera” 19/1/2006).